Provo a spiegare io che cos’è davvero l’inflazione

| 14 Giugno 2012 | 0 Comments

CAPIRE L’INFLAZIONE

Andrea Cavalleri10 Giugno 2012

Nello scrivere questo articolo, il mio principale desiderio è quello che possa essere compreso dal maggior numero possibile di persone. Per questa ragione ho profuso molto impegno per illustrare ogni concetto nel modo più semplice possibile, corredandolo di esempi leggibili da tutti. La ragione di questo impegno è che l’inflazione è un termine che ritorna spessissimo nei discorsi dei politici e dei banchieri istituzionali e viene costantemente agitato come uno spauracchio: così, «per scongiurare l’inflazione» il governo della moneta viene affidato in mani private (le sole imparziali e competenti, secondo quanto ci raccontano) e alla collettività vengono imposti sacrifici. Quindi solo una consapevolezza generalizzata di cosa sia realmente l’inflazione, può portare a liberarsi dalla paura di questo problema, paura che genera una vera e propria schiavitù finanziaria. Il modo più comune di descrivere l’inflazione è il seguente: la signora Rosa possiede un piccolo bar in una località montuosa ed è in grado di servire 100 caffè al giorno agli avventori a 1 € l’uno. Arrivano cento avventori che hanno a disposizione 1 € ciascuno, ognuno acquista il suo caffè e questa è la situazione ideale di equilibrio, per cui tutti i soldi a disposizione sono stati spesi e tutti i prodotti sono stati venduti. Se invece si presentassero centodieci avventori, sempre dotati di 1 € a testa, poiché la signora Rosa non riesce a servire più di 100 caffè, per la legge della domanda e dell’offerta il prezzo si alzerebbe a 1,1 € e le 100 tazzine di caffè verrebbero vendute esaurendo i soldi disponibili. Questa ipotesi dell’aumento del prezzo, si realizza se, idealmente, si scatena un’asta per il caffè, per cui, in media, viene a costare un poco di più. Già questo punto di partenza non è esatto, perché, come ci ha insegnato Trilussa, la media è fatta da qualcuno che il caffè lo beve tutto e qualcun altro che resta a bocca asciutta, da novanta persone che lo pagano 1 € e gli ultimi dieci che lo pagano doppio pur di non restare senza. Ma prendiamo per buona la media e osserviamo la conclusione: se i soldi disponibili per gli acquisti superano il valore delle merci in vendita, non servono a nulla e producono solo un aumento dei prezzi: questa è l’inflazione. Per comprendere bene il discorso generale, occorre descrivere anche la situazione opposta, che si chiama deflazione. Se la signora Rosa ha preparato i suoi cento caffè, ma nel bar arrivano soltanto novanta persone, pur di venderli abbassa il prezzo a 0,90 e così tutto il denaro disponibile (90 €) viene speso per comprare tutti e 100 i caffè. Anche in questo caso la legge della domanda e dell’offerta ha pareggiato i soldi alle merci, causando una diminuzione dei prezzi. Esiste un terzo caso significativo, che si è realizzato varie volte nella storia, e che si chiama stagflazione; consiste nel fatto che l’economia decresce, ma i prezzi aumentano lo stesso. Possiamo descriverlo così: dopo alcuni giorni di deflazione (quindi di cattivi affari) la signora Rosa si trova a corto di soldi, perciò, quando va a fare la spesa, compra il pacchetto piccolo di miscela, con cui potrà preparare solo 50 caffè. Al posto delle consuete cento persone, arrivano ottanta avventori nel suo bar, quindi ci sono disponibili meno soldi del solito, ma il prezzo aumenta comunque. A partire da queste definizioni e da queste osservazioni, gli economisti classici hanno frettolosamente dedotto una sorta di legge dell’inflazione che si riassume in questa idea: più soldi si immettono nel mercato e più aumenta l’inflazione, più soldi si tolgono dal mercato e più l’inflazione diminuisce. L’ipotesi dunque è che esista una proporzionalità diretta tra la quantità di soldi che circolano e l’aumento dei prezzi. L’economista Keynes illustrò questa idea con uno schemino grafico. All’estrema destra, cioè quando l’inflazione diventa catastrofica, si realizza anche la stagflazione: l’economia si deprime perché gli imprenditori sono scoraggiati a produrre, in quanto i guadagni in denaro vengono immediatamente bruciati dalla diminuzione galoppante del valore del denaro stesso.

 

A riguardo di questa rappresentazione grafica e quindi di questa idea dell’inflazione, si può affermare senza timore che è completamente sbagliata. Innanzitutto, per provare che questa legge è sbagliata, basta fare un paio di considerazioni. La prima è che, secondo la retta di Keynes, diminuendo il denaro circolante ad libitum, i prezzi continuerebbero a calare, mantenendo la situazione in equilibrio. Se paradossalmente fosse disponibile un solo euro in tutta Italia, i prezzi calerebbero a milionesimi e miliardesimi di euro e tutto continuerebbe a funzionare come prima, il che è ingenuamente utopistico, (come se nessuno avesse mai visto fallire un’impresa per mancanza di soldi!). La seconda osservazione che smentisce questo grafico, sono le emissioni di grosse quantità di moneta, che più volte si sono verificate senza produrre i picchi di inflazione prevista. Anche nella storia recente, tra il 2008 e il 2012, le grandi produzioni di denaro da parte della FED e della BCE (si parla di migliaia di miliardi di dollari e di euro) non hanno causato nessun improvviso aumento dei prezzi, come dovrebbe attendersi chi crede alla legge di proporzionalità diretta tra aumento del denaro circolante e aumento dei prezzi. E questo, oltre tutto, nonostante non siano aumentate né la produzione né l’occupazione, cioè, tornando al nostro esempio, sono arrivati più soldi in paese, la signora Rosa non ha fatto un maggior numero di caffè, non sono stati aperti nuovi bar, ma il prezzo della tazzina di caffè non è aumentato. Posto dunque che il meccanismo classico con cui si descrive l’inflazione è sbagliato, occorre fare delle osservazioni e delle riflessioni per trovare le spiegazioni giuste. Un passo importante l’ha compiuto Antonio Miclavez nel suo libricino intitolatoEuflazione. Questo autore si è accorto che a seconda del soggetto a cui si dà il denaro, cambiano gli effetti sui prezzi. Dunque l’inflazione non è solo questione di quanto denaro si immetta in circolazione, ma è questione di come lo si usa. Riporto in sequenza i quattro esempi di Miclavez (sempre a base di caffè della signora Rosa), perfezionandoli leggermente, per mettere in evidenza il ruolo economico che di volta in volta è stato svolto dalla protagonista. 1) Viene costruita una funivia che aumenta l’afflusso di turisti nel paesino. Notando che la richiesta di caffè è aumentata e che, complessivamente, c’è più denaro disponibile per acquistarlo, la signora Rosa, in qualità di venditrice, prova ad alzare il prezzo della tazzina, confidando di vendere egualmente tutti i suoi caffè. In questo caso si realizza la previsione di Keynes: circola più denaro e il prezzo aumenta. 2) La signora Rosa, dopo qualche giorno di buoni affari, si ritrova in cassa qualche soldo in più del solito. Allora, in qualità di ufficio acquisti comincia a pagare la merce in contanti, spuntando prezzi migliori dai fornitori e risparmiando gli interessi sugli anticipi della banca. Dato che il caffè le costa meno, può ridurre il prezzo della tazzina. In questo caso circolano più soldi e il prezzo diminuisce, contrariamente alle previsioni classiche. 3) Notando che è aumentato il numero di clienti, la signora Rosa, in qualità diimprenditrice, decide di comprare una macchina automatica per fare il caffè che le consenta di raddoppiare il numero di tazzine giornaliero, con un costo a tazzina molto inferiore a quello di prima. Anche in questo caso, la signora può abbassare il costo della tazzina, proprio perché ci sono più soldi a disposizione. 4) Un brutto giorno, la signora Rosa si vede recapitare una cartella delle tassemolto salata. L’esborso è importante e, per far fronte alle sue necessità, è costretta ad aumentare il prezzo del caffè. In questo caso sono stati tolti dei soldi dalla circolazione (tramite le tasse) e i prezzi, anziché scendere, come vorrebbe Keynes, sono aumentati. Secondo questi esempi, in ben tre casi su quattro le previsioni classiche sono smentite. Pertanto Miclavez propone di sostituire la retta di Keynes con la sua curva, che io mi permetto di correggere nella parte destra.

A sinistra del punto di equilibrio (che però non è determinabile a priori), dove si indica che progressivamente viene a diminuire il denaro disponibile, in un primo momento le aziende e i commercianti abbassano i prezzi per continuare a vendere e a servire i clienti. Poi arriva il momento in cui non riescono più ad abbassarli, per via dei costi fissi che non riescono ad abbattere e si ritrovano a dover alzare i prezzi per pareggiare le spese. Da questo momento in poi, diminuire il denaro in circolazione significa privare le aziende della clientela e quindi avviare i fallimenti e i licenziamenti, che, a loro volta, innescano un circolo vizioso: più disoccupati equivalgono a meno denaro da spendere, e meno denaro provoca altri fallimenti e licenziamenti. In questa situazione si realizza la stagflazione, cioè la depressione dell’economia con una contemporanea salita dei prezzi. A destra del punto ideale di equilibrio, cioè quando i soldi in circolazione superano il valore dei beni acquistabili, per un poco i prezzi scendono, perché le aziende, sicure della clientela, ottimizzano i processi produttivi e anche perché la gente mette da parte qualche risparmio. A un certo punto i prezzi ricominciano a salire e, da lì in poi, ogni aumento di liquidità comincia a diventare dannoso. La tendenza si impenna vertiginosamente, quando la gente comincia a perdere fiducia nella possibilità di un assestamento dei prezzi, e si arriva anche alla stagflazione prevista da Keynes. Gli estremi si toccano e il troppo stroppia, in entrambi i casi. Una definizione più congrua dell’inflazione, talora presente nei testi di studio e utilizzata anche da Giacinto Auriti, consiste nel dire che si ha inflazione quando la velocità di immissione di denaro sul mercato è superiore alla velocità con cui nuovi beni e servizi vengono messi in vendita. In altre parole, se si aumenta la disponibilità di moneta, cresce anche la domanda di acquisto, e se gli imprenditori non fanno in tempo ad aumentare la produzione dei beni richiesti, questi diventano più rari e ambiti e il loro prezzo salirà. Per una volta mi permetto di dissentire dal maestro Auriti, perché le realtà umane non evolvono in modo automatico, quindi non è solo questione di tempo, di velocità, ma una questione di scelte e di libere iniziative. Insomma l’aumento del denaro disponibile può sia far alzare i prezzi, sia farli abbassare, quello che conta è a chi lo si dà e come viene usato. Per comprendere meglio questo concetto, stilo una piccola classifica del collocamento dei soldi: dalle situazioni migliori, che possono mantenere i prezzi stabili o, addirittura, farli abbassare, a quelle peggiori, che provocano solo inflazione. Soldi usati bene 1) Il finanziamento dell’attività produttiva. Esso, ragionevolmente, non può provocare inflazione, in quanto al nuovo capitale in denaro corrisponderà la nuova produzione di beni. Questo investimento ha risposte molto rapide, (cioè i cambiamenti prodotti dagli investimenti si vedono in fretta), tende a creare nuovi posti di lavoro e, con essi, ad alimentare la domanda proveniente dai nuovi assunti. Ha dei rischi da tenere sotto controllo e sono che si produca più del dovuto, o, peggio, che si producano oggetti inutili o volutamente deperibili per costringere l’utente ad un ricambio frequente. 2) La sovvenzione dei poveri. Queste persone spenderanno subito i loro soldi perché hanno bisogni primari da soddisfare. Tale spesa andrà a sostegno delle aziende in attività, perché accrescerà la domanda di una quota che, altrimenti, sarebbe stata assente (il povero, senza soldi, non avrebbe potuto comprare niente). Quindi, in misura confacente al contesto, un piccolo stipendio ai nullatenenti non indebolisce il valore del denaro, ma lo rafforza, ravvivando la circolazione; inoltre, sostenendo le aziende produttrici, crea i presupposti per nuove assunzioni. 3) La ricerca è un investimento importante, che dà un ritorno economico in tempi lunghi Anche i soldi investiti nella ricerca tendono a non produrre inflazione, sia perché il personale impegnato è poco numeroso, sia perché le spese in attrezzature stimolano le produzioni ad alta tecnologia, importanti per il progresso industriale e per l’indotto. 4) L’investimento in infrastrutture è un altra attività che si ammortizza in tempi medio lunghi. Normalmente il ritorno non si misura in attivi prodotti, ma in risparmi, resi possibili dalle nuove grandi opere. Oltre alle strade e alle ferrovie, bisognerebbe ricordarsi che nella categoria possono rientrare i sistemi di distribuzione dell’energia, il teleriscaldamento, le opere di risparmio energetico (quali gli interventi di isolamento termico) e le bonifiche ambientali. Questi quattro, sono esempi virtuosi di destinazione del denaro immesso in circolazione, che non creano inflazione. Al contrario esistono degli esempi viziosi di destinazione del denaro, che, non producendo niente, sembrano fatti apposta per creare inflazione. Soldi usati male 1) L’allungamento della filiera. Aumentare il numero di intermediari in un’attività equivale a introdurre dei parassiti, che ne aumentano i costi senza apportare nessun beneficio. Se il piccolo commerciante, che compra dal distributore all’ingrosso e rivende al pubblico, adempie almeno alla funzione di avvicinare il prodotto al cittadino, ulteriori acquisti e rivendite speculativi, possono, invece, aggiungere ai prodotti trattati solo un costo maggiore. 2) L’economia virtuale. Fare denaro col denaro è una sciocchezza che non serve a niente: al denaro «guadagnato» non corrisponde nessuna crescita dei beni reali e il risultato può solo essere l’inflazione. Un caso particolarmente pernicioso è quello del trattamento speculativo delle materie prime, che si ha quando queste vengono «comprate e rivendute» per finta, solo sulla carta o dentro un computer. In questo caso, oltre a far denaro col denaro, si allunga la filiera che deve potare i beni dal produttore al consumatore, sommando sfruttamento a parassitismo.Tra l’altro non ci si rende conto che, essendo il denaro misura del valore, fare denaro col denaro significa accrescere le misure, senza alcun costrutto. Immaginiamo che la signora Rosa abbia commissionato a un architetto l’edificazione di una veranda per il suo bar. L’architetto si fa dare un anticipo e comincia a lavorare indefessamente. Dopo due giorni comunica che le cose procedono bene perché è passato dal centimetro al decimetro; dopo qualche altro giorno trasmette una relazione che attesta che con le sue fatiche ha conquistato il metro. La signora Rosa comincia ad allarmarsi, ma pazienta. Dopo due settimane l’architetto si ripresenta trionfante perché adesso ha il duo-decametro e contestualmente a questo avanzamento dei lavori chiede un altro anticipo. La signora Rosa, che non vede né la sua veranda, né un operaio per montarla e neppure il più piccolo materiale necessario all’opera, licenzia l’architetto, accomiatandolo con una solenne pedata nel sedere. L’esempio appare ovvio. Ma quando si fa la stessa cosa col denaro, la gente continua a cascarci e paga commissioni a gestori finanziari che non costruiscono nulla. 3) Dare denaro ai ricchi. Essi non hanno nessun bisogno di spenderlo perciò saranno tentati di tesaurizzarlo, togliendolo dalla circolazione. In alternativa tenderanno a investirlo in titoli speculativi (quindi nei due modi negativi sopra citati) perché è più comodo e meno rischioso che investirlo in attività reali. Non è una regola assoluta, perché ovviamente potrebbe esserci il ricco imprenditore che espande la propria attività, ma i ricchi sono la causa più frequente di concentrazione finanziaria, cioè di un capitale in denaro, che si sottrae dalla circolazione (1). Per comprendere il reale significato dell’inflazione occorre introdurre ancora alcune osservazioni. Utilizzando il solito esempio, propongo il quarto caso, di cui Miclavez non parla. 4) Un giorno la signora Rosa va a fare la spesa ma non c’è più miscela di caffè, resta solo una bustina bastante per un’unica tazzina. In questo caso il prezzo del caffè aumenterebbe di cento volte, non per maggior o minor flusso di denaro, ma per mancanza del bene richiesto. Il mercato si autoregola, la legge della domanda e dell’offerta lavora e adegua il prezzo, i conti sono in ordine, ma novantanove persone restano senza caffè. La domanda che bisogna porsi è: il fine dell’economia è quello di creare un giochino aritmetico per il sollazzo degli economisti o è quello di fare in modo che la gente abbia il necessario (e pure il caffè) per vivere? Poniamo che il sindaco del paesino dove si svolgono i fatti decida che il caffè è un bene strategico e riesca a far impiantare una piccola coltivazione in serra del caffè, a spese del comune, sufficiente per il fabbisogno locale. L’intervento diretto dello Stato ha violato il libero mercato (anche se si tratta di un caso lampante di sussidiarietà), forse peggioreranno i costi, ma le tazzine sono di nuovo servite, al bancone e al tavolino. Morale: abbasso il libero mercato e viva il caffè! Immaginiamo, invece, che uno sprovveduto avventore andasse a lamentarsi che il prezzo del caffè è centuplicato, non dal sindaco, ma da un banchiere centrale, dal Draghi di turno. Questi proporrebbe subito di togliere 99 euro dalla circolazione, in modo da costringere la signora Rosa a cedere il caffè al prezzo dell’unico euro rimasto. Così, non solo la gente resterebbe senza caffè, ma il bar della signora Rosa fallirebbe immediatamente. Con questo esempio ho spiegato che il problema dell’inflazione non è prioritario, come spesso ci vogliono far credere, prioritaria è la distribuzione di beni e servizi. Perché i conti vanno impostati e adeguati al servizio delle persone e non si deve cadere nell’abominio di perseguitare e affamare le persone per il bene dei conti (questo è un principio generale che vale per tutti gli aspetti dell’economia, non solo per l’inflazione). Basti pensare cosa sarebbe successo se al paesino, al posto di mancare il caffè, fossero mancati la luce elettrica, il pane, l’acqua potabile… E poi un pochino di inflazione ha dei vantaggi: se circola più denaro di quello bastante per comprare tutto ciò che è in vendita, si ha la garanzia che, più o meno, tutti i beni verranno venduti. Meglio così piuttosto che il contrario: essere affamati, vedere gli alimentari nel negozio e lasciarli ammuffire sugli scaffali perché manca qualche foglietto di carta (il denaro quello è) con cui concludere l’acquisto. Quindi una sana economia deve temere piuttosto la deflazione (diminuzione dei soldi in circolazione) che l’inflazione. A chi davvero l’inflazione non piace, sono coloro che vivono di rendita. Infatti se il denaro, inflazionandosi, perde costantemente di valore, quando gli interessi maturano, il potere d’acquisto dei loro soldi è diminuito. Ma anche a questo proposito occorre porsi alcune domande: per la prosperità di un paese è bene premiare le rendite o premiare il lavoro? Gli architetti devono fare decametri o verande? Vivere di rendita apporta dei vantaggi alla comunità? È possibile che tutti vivano di rendita? La vita delle persone è reale e ha bisogno dei beni reali prodotti dal lavoro dell’uomo; pertanto è il lavoro che va premiato. Quando negli anni Settanta in Italia esisteva il meccanismo della «scala mobile», il potere d’acquisto degli stipendi era costante. L’inflazione c’era, e non di poco conto, ma essendo situata in busta paga, si riduceva a un fatto nominale: le cose costavano di più, ma la gente aveva più soldi e le comprava lo stesso. Il risultato è che l’economia interna era florida. Le rendite, raggiungevano a stento il pareggio con la perdita di valore data dall’inflazione e questo fatto costringeva i detentori di capitali (in denaro) a investirli nelle imprese, nel lavoro reale. Ma i banchieri e i finanzieri, dovendo investire nella realtà, erano costretti ad affrontare dei rischi, come tutti i comuni mortali, pertanto hanno fatto pressione per ottenere un sistema che premiasse le rendite e rendesse più comodo e sicuro il loro lavoro. Ecco perché hanno intonato la litania dei pericoli dell’inflazione e continuano a cantarla tuttora, per quanto siamo palesemente nella situazione opposta, cioè di troppi pochi soldi che circolano. Queste ultime osservazioni ci portano a una riflessione conclusiva: non solo l’inflazione non dipende da puri fattori monetari, non solo può aumentare o diminuire a parità di soldi immessi nel mercato, ma addirittura la stessa inflazione può essere un male o un bene, a seconda di come si produce e del contesto economico in cui si verifica. Ben diverso è il caso di più soldi in Borsa, che vengono usati per acquistare le materie prime in offerta (facendone salire i prezzi, a unico beneficio degli intermediari) o più soldi ai produttori di quelle stesse materie prime, che verranno usati per aumentare le produzioni, per migliorarne la qualità e persino, scandalo degli scandali, per aumentare lo stipendio ai dipendenti! Viene da chiedersi come mai tante riflessioni, basate solo sul buon senso, siano abitualmente trascurate dai monetaristi, dai banchieri, dai ministri e, forse, persino dagli accademici. La risposta è che la cosiddetta «scienza» economica, si è concentrata sul mercato, cioè sulle transazioni, senza occuparsi di tutto il resto. Ma l’atto d’acquisto è solo un piccolo momento del processo economico. Quando noi prendiamo un oggetto da uno scaffale e lo paghiamo alla cassa, non conosciamo la storia che c’è dietro, non sappiamo se è frutto di un lavoro amato, intelligente, in costante miglioramento, o di un lavoro odiato e malpagato, fatto il peggio possibile. Non sappiamo se il prezzo che stiamo corrispondendo porterà benessere o strozzerà i produttori, non sappiamo se ha una quota di costo sociale oppure ha una quota importante di interessi. Non sappiamo se il denaro che stiamo spendendo verrà distribuito o concentrato. Perché la compravendita è solo la superficie dell’economia, che non permette coglierne la profondità. Comprendere l’economia basandosi sul mercato è come pretendere di studiare l’iceberg osservandone solo la punta che affiora. Certamente è più comodo ridurre il discorso in cifre, utilizzando l’unità di misura del valore, cioè il denaro, e provare a misurare e calcolare le dimensioni e gli sviluppi della realtà economica. Ma se ci si limita alle misure, ad esempio i metri cubi, allora il Duomo di Milano e il capannone dell’Ansaldo possono essere identici. Andrea Cavalleri

 

1) Si può notare, a proposito di denaro mal collocato, che il rifinanziamento a lungo termine promosso da Draghi, cioè i mille miliardi di euro che la BCE ha dato alle banche (all’interesse dell’1% annuo) riesce a sommare tutte e tre le caratteristiche negative: sono soldi affidati ad intermediari (allungamento della filiera), che li re-imprestano alzando gli interessi, sono un investimento virtuale e, infine, sono dati a chi i soldi già li detiene. Questo rifinanziamento non ha minimamente frenato la recessione e se, in presenza di una offerta stabile o anche in calo, tutto quel denaro creato di botto non ha prodotto un impennata dei prezzi è solo perché quei soldi non sono mai arrivati all’economia reale, ma sono rimasti nel circuito della finanza, che ormai vive in un mondo parallelo, senza contatti con la realtà.

Category: Costume e società

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