Riceviamo e volentieri pubblichiamo ( e poi commentiamo pure )

| 1 Ottobre 2012 | 0 Comments

E’ POSSIBILE UNA RIPARTENZA DEL CENTRO – DESTRA?

di Mario Bozzi Sentieri

 

Oportet  ut scandala eveniant.

Anche una frase evangelica può aiutare a ‘riposizionarsi’ rispetto al fattaccio brutto della Regione Lazio, punta di un iceberg di un più generale disagio, non solo politico, verrebbe voglia di dire ‘antropologico’, del popolo del centrodestra.
Sì, certi scandali è opportuno che vengano alla luce, se poi questo serve a prendere coscienza, a guardarsi allo specchio, interrogandosi sul percorso fin qui compiuto e a cambiare rotta.
Sia chiaro. Non ci interessano le articolesse sui valori perduti e da ritrovare. Lasciamo ad altri di fissare il confine, in verità troppo sottile, tra restyling (nuovo nome, nuovo simbolo, nuovo inno ?)  ed autentica volontà ‘rifondativa’.

Non entriamo nelle guerre interne e nelle rese dei conti, causa/effetto di certi scandali ‘ad orologeria’.
Quello che ci preme piuttosto sottolineare metodologicamente è un’ assunzione di responsabilità, che vuole essere ripensamento personale e generazionale, rispetto alle esperienze fin qui compiute da parte della destra politica, nell’ arco dell’ultimo ventennio, esperienze che, seppure con diverse graduazioni, non salvano nessuno.
A cominciare da chi certe scelte le aveva fatte, da giovane, con spirito militante, senza cercare tornaconti personali e facili carriere, restando poi travolto dall’ebbrezza del potere raggiunto, magari non in prima persona.
Quella parola, ‘Vittoria’, sparata a tutta pagina nel marzo 1994, fu ‘ per molti ‘ una sorta di sbornia collettiva, eccitante, sconclusionata, squilibrata, come tutte le sbornie. Appagati nello scoprire vecchi amici, frequentati appena qualche anno prima, nei sottoscala della politica, ora diventati ministri e sottosegretari, grand commis di Stato e protagonisti dei salotti televisivi, ci siamo, chi più chi meno, inebriati per l’insperabile ‘sdoganamento’.
Che cosa poi certi ‘amici’ facessero veramente e quanto la loro attività incidesse per realizzare l’auspicato cambio di rotta, appariva come un dettaglio, messo in ombra dal ruolo occupato. Bastava questo ed avanzava per garantire il ‘progetto’.

Magari qualche piccolo segnale c’è stato: la tenuta di certe posizioni etiche, un po’ di Patria e Tricolore (peraltro riscoperti in modo traversale); lo sdoganamento informativo (libertà minima in qualunque sistema che sia veramente democratico), seppure limitato alla cronaca politica, ma con scarsissima rilevanza per il mondo della cultura, sempre monopolizzato dai soliti noti; l’entrata nei salotti buoni della politica e della società (ma con scarsa incidenza decisionale).
In compenso, ci si è dimenticati, ci siamo dimenticati, di avere letto e metabolizzato, per curiosità e necessità, il Gramsci del ‘potere culturale’, dell’ egemonia in grado di consolidare e radicare il consenso politico. Ci siamo lasciati convincere che il tempo delle ideologie, forse anche delle ‘idee forti’, era al tramonto e che, di conseguenza, anche i partiti dovevano perdere di peso e di struttura organizzata, nel nome di un non ben chiaro ‘modello anglosassone’. Abbiamo anche trascurato, travolti dalla politica-del-giorno-per-giorno, idee e programmi, con cui avevamo riempito tomi enciclopedici, parlando di identità e tradizione, famiglia e lavoro, partecipazione sociale e modernizzazione, meritocrazia e lotta ai privilegi, sussidiarietà e solidarietà.

Non solo, sia chiaro, valori da enunciare, ma idee che si sarebbero dovute trasformate in programmi ed in azioni concrete di governo, secondo il più volte citato insegnamento poundiano delle ‘idee che diventano azioni’.
Passata la ‘sbornia’, che cosa rimane?

La consapevolezza degli errori compiuti, delle sottovalutazioni, delle improvvisazioni, delle amnesie, di quello che doveva essere fatto e non è stato fatto. E’ già qualcosa. Da lì bisogna partire. Evitando di piangersi addosso sul tempo perduto, ma anche mettendo da parte facili giustificazionismi.
Un ciclo si compie. E non solo nella politica nostrana. Molto c’è da discutere nei modelli gestionali, economici e culturali che fin qui hanno dettato legge. Gli stessi partiti vanno ripensati nella loro organizzazione e nella capacità di selezionare classi dirigenti, ai vari livelli, dal locale al nazionale.
Preso atto degli errori fatti e passati gli stordimenti ‘da potere’, si torni a guardare alla realtà con quello spirito critico, con quella volontà ‘alternativa’, con quella capacità creativa che sono state alle origini delle scelte che hanno segnato, a destra, intere generazioni. Lo spazio c’è ancora tutto. Va solo riempito. Di atti ed esempi. Certamente non di vuote parole o di meri auspici.
Mario Bozzi Sentieri

***

( g.p. ) Non ci vediamo di persona da un anno e mezzo. L’ultima volta, fu quando venne apposta da Genova a Torino a vedere un mio spettacolo teatrale. L’episodio la dice lunga, sul valore che egli sempre assegna alla cultura, per quanto sul questo versante, appunto, considerata con scarsa rilevanza e monopolizzata dai soliti noti.

Per questo, per l’impianto culturale che sottende, mi è particolarmente piaciuto il suo intervento, da intellettuale, da intellettuale – militante sempre attento nel corso di tutti questi decenni ai contenuti e alle idee, con passione e sacrificio, al di là, anzi, al di sopra, delle tante prese di posizione propriamente politiche e contingente di questi giorni, alcune delle quali abbiamo anche pubblicato qui su leccecronaca.it affindandole all’attenzione di quelli ( ma ci giurerei, una minoranza ) dei nostri lettori – protagonisti della nostra community ai quali interessano in qualche modo.

Personalmente, condivido quanto ha scritto Mario Bozzi Sentieri. Ne sottolineo un dato di fondo: non so se una rifondazione del centro destra sia possibile, ma so che qualcosa comunque, sul versante propriamente politico, chi nel centro destra fa politica dovrebbe pur fare, ed è quanto appunto più che un auspicio, proprio come un perentorio invito, il dato di fondo espresso da Mario Bozzi Sentieri.

Lo chiedono i tantissimi militanti storici che si ritrovano orfani, spaesati, disorientati e come tante pecore matte, che i cani sciolti non riescono più a controllare, avendole mollate al proprio destino di senza rappresentanza e di profondissima delusione.

Si ripropone dunque l’interrogativo di sempre di tutti i rivoluzionari: che fare?

Io non lo so, non è il nostro compito.

Ma so che esistono alcuni punti fermi, nei fatti, dai quali ripartire per l’immediato futuro.

In primo luogo, occorre considerare Gianfranco Fini e il suo nuovo partito in maniera distinta e distante, dal momento che “Futuro e libertà” appoggia oramai la riproposizione del governo Monti al servizio dei banchieri e dell’alta finanza internazionale.

Distinta, distante e conclusa, pure l’esperienza storica del berlusconismo, da cui occorrerà marcare la netta differenza.

Come si fa a non capire, se non con la mente ubriaca, se non per calcolo meschino, se non in malafede, due verità assolute: che Gianfranco Fini è responsabile di una tragedia storica, l’aver disintegrato un tesoro ideale, e che Silvio Berlusconi ha fallito completamente nella missione che si era dato e che non è più credibile?

Di conseguenza, appare inevitabile una “scissione” dal Pdl di tutti coloro i quali all’esperienza del Msi prima – sciolto proprio quando la Storia gli aveva dato ragione – e della migliore Alleanza nazionale ( disintegrata in maniera criminale, per di più rinunciando a tutti i valori di fondo oggi più che mai attuali e validi per il futuro ) poi si sono rifatti nel corso della loro esperienza, stavo per scrivere carriera e avrei scritto meglio.

Analogamente, ci attendiamo lo stesso con provenienza da “Futuro e libertà”.

Se si sono ubriacati nel potere, come dice Mario ( ma molti sono riusciti a fare indigestione con le briciole della torta del potere raccolti sotto banco ) questa è l’occasione per tornare sobri.

Infine, un azzeramento radicale di tutti i partiti e partitini, gruppi e gruppetti, che nel corso di questi anni si sono coagulati il più delle volte intorno a sedicenti colonnelli e generali senza più esercito, ognuno dei quali dovrebbe rassegnare le dimissioni, promettere di rinunciare ai propri interessi personali e portare a confluire la propria formazione in una nuova, grande coalizione  di destra, e di destra sociale, sia ben chiaro, di alternativa, per, in  primo luogo, creare una comunità umana e politica, poi un vero e proprio cartello elettorale, credibile, per tutti, con nuove figure di leader di riferimento, e tanti, tutti, protagonisti, in primo luogo giovani e donne.

Questo, esattamente questo, per essere credibili nei confronti dei tanti militanti storici e dello storico elettorato missino, un popolo di onesti – ma riuscite a immaginare che cosa avrebbe fatto Almirante a Fiorito avendo appreso come venivano gestiti i fondi pubblici alla Regione Lazio? – di persone per bene, desiderosi soltanto di crescere col proprio lavoro, nell’ordine e nell’indipendenza.

A proposito, il titolo ‘Vittoria’ io lo ricordo del 1971, dopo le elezioni siciliane che allora fecero incontrare per la prima volta al Msi il grande consenso di massa.

La stragrande maggioranza degli Italiani sono ancora così.

Cari ubriachi di potere, cari ducetti che pensate a curare soltanto il vostro orticello, cari cani sciolti e care pecore matte: date loro una possibilità concreta in linea con le loro radici, non meritano di essere costretti a votare  per Beppe Grillo.

 

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