PARLARE DI NAZISMO PER EVITARE DI PARLARE DEGLI ORRORI DEI NOSTRI GIORNI

| 27 Agosto 2014 | 0 Comments

Ogni giorno riceviamo comunicati stampa sul pericolo di ritorno al nazismo, o come sarebbe corretto chiamarlo, al Nazional-Socialismo.
Il pericolo deriverebbe dal formaggino spalmato a forma di svastica all’interno di un panino in un Mac Donald’s americano da un inserviente, o dal ristorante indonesiano che all’interno del menù contiene la pizza nazionalsocialista, e altre amenità di questo genere che (sic!) sconvolgono la comunità internazionale.

E perchè avviene ciò? Perchè i tedeschi del secolo scorso erano i più cattivi del mondo? Perchè 80 anni fa, per ogni tedesco ucciso, giustiziarano 10 nemici durante la 2° guerra mondiale?

Oppure perchè uccisero 6 milioni di ebrei uccisi nei campi di concentramento in tempo di guerra (ovviamente c’è sempre la guerra delle cifre in questi casi) ma non essendoci nazisti che possano contestare questi numeri li diamo per buoni.

Eppure nessuno si scandalizza quando la tv di stato ci dice che oggi in tempo di pace mondiale, almeno di pace relativa, negli scontri delle ultime settimane, a fronte di 64 soldati israeliani uccisi sono stati uccisi 2136 palestinesi, di cui buona parte sono bambini. Sarebbe facile dire ieri per i tedeschi 10 a 1, oggi per gli israeliani 33 a 1.

Oppure ricordare che i regimi comunisti solo in tempo di pace hanno prodotto oltre 100 milioni di morti, almeno stando a quanto ci racconta un libro americano dal titolo “Il costo umano del Comunismo”.

Per non parlare delle stragi che nei paesi africani stanno insaguinando quelle terre.

Perchè queste disparità di trattamento, perchè tendiamo a giustificare alcuni massacri, mentre altri vengono condannati senza appello.
La risposta è molto semplice, gli uomini in ogni tempo e luogo, tendono ad alzare la voce con chi non c’è più e quindi non può replicare, mentre invece tendono a non vedere le malefatte dei potenti.
E tutti i regimi fanno in modo che nessuno possa mettere in dubbio le verità del regime, e anche in Italia si sono fatte  leggi liberticide che impediscono di discutere della nostra storia.
D’altronde basti pensare che  il più importante storico italiano, l’antifascista Renzo De Felice fu duramente attaccato dai giornali e dagli intellettuali comunisti. Non ci dimentichiamo che in Italia c’era il partito comunista più grande d’Europa.
A dimostrazione di ciò che sosteniamo riportiamo un passaggio che riguarda lo storico su wikipedia.

Nella prefazione a un’opera postuma dello storico reatino, Sergio Romano scrisse:

« In una prima fase gli intellettuali progressisti e comunisti furono insospettiti dal suo metodo e dalla minuziosità delle sue ricerche. Per gli usi che la sinistra intendeva farne il fascismo doveva resta re un monolite liscio e uniforme, perfettamente orribile e deprecabile. Non basta. Parlare di fascismo italiano era improprio. Occorreva parlare di «nazifascismo» e raggruppare in una sola categoria tutti i regimi autoritari e totalitari sorti dopo la rivoluzione bolscevica con una forte connotazione anticomunista. Soltanto così il Pci e i suoi alleati avrebbero potuto perpetuare la memoria della loro eroica lotta antifascista e rivendicare la loro indispensabile funzione «democratica». Quando si accorsero che De Felice stava storicizzando il fascismo italiano videro nel suo lavoro il pericolo di una attenuazione delle sue responsabilità storiche. Tanti documenti, così tenacemente raccolti e confrontati, rischiavano d’introdurre inopportune sfumature e distinzioni.Dopo qualche anno, per la verità, si accorsero che il lavoro di De Felice non poteva essere liquidato con qualche battuta polemica. Nessuno storico, quale che fosse la sua matrice ideologica, poteva ignorare la qualità, la serietà, la precisione e l’originalità della biografia di Mussolini e degli altri studi con cui De Felice stava componendo il suo grande affresco. Il risultato fu una sorta di schizofrenia. De Felice non poteva essere attaccato in sede «scientifica», come amano dire gli studiosi di formazione accademica. Ma occorreva evitare che il risultato delle sue ricerche uscisse dai suoi libri, raggiungesse un pubblico più vasto, avesse una qualche influenza sul dibattito politico nazionale, diventasse «verità pubblica». Assistemmo così alla singolare anomalia di uno studioso che pubblicava i suoi libri presso un editore di sinistra (Einaudi), ma veniva sistematicamente attaccato sui giornali dagli autori della casa editrice. Con tutte le differenze che corrono fra un regime autoritario e un sistema politico democratico, potrebbe sostenersi che De Felice fu trattato dall’intelligencija antifa scista come Croce era stato trattato dal sistema cul turale fascista. Non si poteva impedirgli di scrivere e di pubblicare; ma bisognava impedirgli, per quanto possibile, di concorrere alla formazione della pubblica opinione. »

Ed ora eccovi il comunicato che abbiamo ricevuto.

Una scia di polemiche è stata sollevata dal nuovo modello di pigiama per bambini lanciato da Zara.Il marchio spagnolo Zara ha ritirato oggi dal mercato una maglia da bambino con una stella gialla a sei punte sul petto dopo che erano state ravvisate similitudini con le casacche indossate dagli ebrei nei campi di concentramento. Fonti del gruppo tessile hanno assicurato che le maglie, a strisce blu su fondo bianco, erano ispirate “all’immaginario del west americano e ai film di cowboy”. Tuttavia, sono state ritirate da tutti i punti vendita, non solo nei 22 negozi che Zara ha in Israele. “Ci scusiamo con i nostri clienti”, ha detto un portavoce di Zara. Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, associazione che da anni si batte anche contro ogni tipo di rievocazione dei due regimi che hanno determinato un passato nefasto per la storia europea e mondiale, ritiene che la scelta del brand che ricorderebbero la divisa indossata dai prigionieri ebrei nei campi di concentramento durante la Seconda guerra mondiale è stata di cattivo gusto. Zara, non è nuova a simili critiche per i capi di abbigliamento che lancia. Recentemente è stata accusata di razzismo per aver messo in commercio una maglietta con un orsetto che promuoveva lo slogan: “Il bianco è il nuovo nero”.

Category: Costume e società

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