GIORNALISTA: UN MESTIERE ANCORA ATTUALE?

| 11 Aprile 2015 | 1 Comment

di Roberto De Salvatore___

 La legge n. 69/1963 che istituiva in Italia per la prima volta un ordine professionale per i giornalisti ha appena 52 anni. Certo nel corso degli anni la legge è stata integrata da innumerevoli documenti a supporto e a miglioramento del testo originario. Questo perché nel corso degli anni la professione ha dovuto confrontarsi con i tempi che cambiavano e problematiche che non erano prevedibili nei primi anni ’60. Per dovere di precisione ad un riconoscimento professionale dell’attività giornalistica aveva provveduto il fascismo con l’istituzione di un Albo Nazionale dei Giornalisti nel 1925, ma non prevedeva che pochissime norme e per lo più inerenti il riconoscimento sindacale della categoria. La differenza con la legge 69/1963 è sostanzialmente inerente non tanto la natura sindacale del rapporto lavorativo giornalistico, quanto una serie di norme deontologiche inerenti diritti e doveri legati all’informazione. Mi fermo qui per non rischiare di essere noioso.

Oggi come oggi il rapporto di lavoro giornalistico è sicuramente uno dei più minuziosamente disciplinati a livello deontologico e disciplinare, prevedendo un corpus normativo imponente che riguarda le possibilità e i divieti cui attenersi per chi fa informazione. C’é da chiedersi però quanti sono i colleghi dell’informazione che conoscono a menadito tutta la legislazione che sottende l’attività di un giornalista. La storia del giornalismo italiano è satura di casi di informazione che è stata oggetto non solo di sanzioni disciplinari da parte del consiglio di disciplina dell’Ordine, ma anche di procedimenti penali a carico dei mezzi di informazione, che non sempre si sono attenuti alla deontologia professionale pur di conseguire uno scoop. Una parola fuori posto, un commento inopportuno magari a corredo di una foto non autorizzata, possono davvero procurare guai seri.

Per 50 anni ciò che pure prevedeva la legge originaria non è stato mai applicato, intendo riferirmi alla formazione professionale continua, che riguarda non solo l’ordine dei giornalisti ma tutti gli ordini professionali, doveva arrivare Mario Monti a rendere obbligatorio questo impegno inderogabile (pena la cancellazione dall’albo professionale se non si raggiungono almeno 60 crediti formativi nell’arco di un triennio). Va bene, ci si sottopone malvolentieri ma con spirito di disciplina a questo dovere, ma avendo partecipato a questi incontri formativi posso esprimere la mia opinione dicendo che un giornalista obbligato a seguire i corsi di FPC non esce più preparato per la sua professione, né al termine del corso ha conservato nella memoria che pochissimi concetti di quello che si è detto nel corso di 2 ore e mezzo circa (tanto dura un corso del genere in media). Ma in più c’è la possibilità di effettuare dei corsi online (solo 2 al momento) che al termine di ogni lezione prevedono una serie di test a risposta multipla (vi assicuro che è difficilissimo superare un test al primo tentativo, ma per fortuna c’è la possibilità di ripeterlo) che perlomeno obbligano all’attenzione il giornalista che vi si cimenta. Ma è proprio la professione di giornalista che deve essere ripensata, specialmente da noi al sud. Qui da noi, testate e testatine che nascono e muoiono nel giro di pochi anni se non di pochi mesi sono una miriade. Qui il giornalista generalmente è un volontario giacché è quasi impossibile trovare una testata che paghi i pochi euro previsti come ‘giusto compenso’ dalla carta di Firenze che disciplina, o meglio dovrebbe disciplinare il lavoro precario giornalistico.

Ricordo che per diventare giornalista ancora oggi (e non sappiamo per quanto ancora continuerà il regime in deroga) si devono completare 2 anni di apprendistato presso una testata che al termine dei 2 anni certifica l’attività svolta dall’aspirante giornalista pubblicista e i pagamenti effettuati per ogni articolo o servizio realizzato tramite modello F24 (ma quanti lo fanno?). Ma ancora di più bisogna ripensare il lavoro nell’ambito delle redazioni: è finito il tempo del direttore che aveva in mano le intere redini del giornale o della emittente, oggi le responsabilità vanno distribuite secondo le capacità e le possibilità di intervenire sul lavoro per realizzare un risultato di squadra serio ed efficiente, non affidato al caso e all’improvvisazione. Due o tre teste ragionano sempre meglio di una sola a costo di confronti anche molto serrati e fatti ad alta voce, ma il lavoro di squadra (secondo l’esperienza del sottoscritto) ha sempre pagato. L’importante che l’informazione divenga qualcosa di graffiante, pungente e irriverente, anche se nel rispetto della deontologia professionale, non diventare mai né banale né volgare, ma uno spunto per la riflessione che porti alla crescita delle coscienze di chi è destinatario della informazione stessa.

Da qualche tempo, a mò di protesta circola una immagine con su scritto ‘L’informazione non è un hobby’ che mi trova totalmente d’accordo, oggi chi più e chi meno si improvvisa giornalista, ma un giornalista non è da meno rispetto ad un medico, un avvocato o un ingegnere, è una persona appassionata che cerca di fare al meglio il proprio lavoro per il quale ha studiato, si è documentata, si è sacrificata, ha fatto esperienza, e deve vedere la sua professionalità tutelata. Chi si farebbe operare al cuore da uno che non è medico, si farebbe patrocinare per una causa in tribunale da chi non è avvocato o farebbe costruire un ponte da uno che non ingegnere? Se un paziente muore è colpa sempre del medico, chi ha perso in una causa deve dare la colpa al proprio avvocato, se un ponte è crollato il responsabile non può che essere l’ingegnere che lo ha progettato. Così alle volte una opinione espressa a mezzo stampa, radio o tv può non essere meno pericolosa o foriera di danni. Con buona pace di chi blatera sulla eliminazione dell’ordine dei giornalisti.

Category: Costume e società

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Comments (1)

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  1. Mirko ha detto:

    Ad onor del vero gli avvocati, non rispondono di nulla se sbagliano la linea difensiva e perdono una causa. Così come gli architetti se progettano una brutta casa, o strutture che deturpano il paesaggio o un contesto urbano.
    Certo le regole devono sempre essere chiare, non mi pare però che l’ordine dei giornalisti abbia mai “ordinato” alcunchè, non mi pare che in Italia i giornalisti, brillino per coraggio, coerenza, amore per la verità, o abbiano dimostrato di essere in grado di tenere la spina dorsale ritta di fronte ai diversi poteri. Si è vero a volte prende provvedimenti, ma non per tutti e non allo stesso modo, anche qui ci sono figli e figliastri, e si viene sanzionati o meno a seconda della linea politica che si segue.
    Spesso sono proprio i giornalisti di periferia, che operano (non ho detto lavorano) in piccoli giornali di provincia che hanno dimostrato di essere in grado di fare difficili e pericolose inchieste giornalistiche, spesso questi Giornalisti, con la G maiuscola, non sono neppure iscritti all’albo, valga per tutti Beppe Alfano, ucciso dalla mafia per i suoi articoli, al quale l’ordine riconobbe la qualifica di giornalista solo dopo che era stato ammazzato.
    Insomma gli ordini servono ancora? Certamente non quello dei giornalisti che non riesce a difendere i suoi iscritti neppure facendo semplice azione sindacale, basti pensare che nei giornali nazionali, quelli importanti per intenderci, dove girano un sacco di soldi, come il Corriere della Sera, Repubblica, il Giornale, ecc. il 60% del lavoro viene svolto da giornalisti che vengono pagati con quattro spiccioli.

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