POLEMICHE / L’ EDITORE SALENTINO PIERO MANNI HA PREPARATO UN’ ANTOLOGIA DEGLI ORRORI SU CUI CI SIAMO ACCULTURATI IN PASSATO. E MENO MALE, COSI’ ADESSO LE NUOVE GENERAZIONI POTRANNO EVITARLI MEGLIO

| 5 Ottobre 2016 | 3 Comments

di Giuseppe Puppo______

Come informa un comunicato dell’ editore – autore, “sabato 8 ottobre – ore 18 – Centro Anziani di Largo Osanna – Soleto – Piero Manni (editore e curatore del volume) e Maria Rita Zitani (dirigente scolastica) presentano: Che dice la pioggerellina di marzo Le poesie nei libri di scuola degli anni Cinquanta, a cura di Piero Manni.

L’albero cui tendevi la pargoletta mano; Ei della gondola, qual novità; Il morbo infuria, il pan ci manca; Eran trecento eran giovani e forti; O Valentino vestito di nuovo; Partì in guerra e mise l’elmo; La donzelletta vien dalla campagna…

Intere generazioni formatesi negli anni Cinquanta conoscono ancora a memoria i versi imparati a scuola, che siano opere di autori celebri o filastrocche dei “poeti dei banchi”, i quali scrivevano appositamente e unicamente per i testi scolastici: Pezzani, Angiolo Silvio Novaro, Ada Negri, Zietta Liù, Lina Schwarz, ma anche Diego Valeri, Moretti, Pascoli, Leopardi, Carducci e perfino D’Annunzio, accanto ai “patrioti” Bosi, Mercantini, Fusinato, Giusti.

In questa antologia sono raccolte le poesie più diffuse sui libri delle scuole elementari e medie di quegli anni, che dimostrano la continuità culturale e pedagogica della Repubblica con il ventennio fascista.

L’esaltazione dei valori quali religione, patria, famiglia, conformismo, etica del lavoro, propria del fascismo, prosegue infatti nel dopoguerra, e il libro di testo si conferma uno strumento di costruzione del consenso come era avvenuto nel passato. Il volume ha una struttura per sezioni che riprende quella dei sussidiari dell’epoca, con i temi: Famiglia, Scuola, Affetti, Religione, Patria, Lavoro, Povertà e rassegnazione, Storia, Natura e Giocose. 

“Fatta salva l’ipotesi che quella letteratura non abbia guastato gli animi di un’intera generazione e non abbia fatto sopravvivere il consenso a una cultura retorica, guerresca e autoritaria, c’è da chiedersi cosa abbia trasmesso, che valori, che dubbi, che pensieri emergessero da quelle letture”. (dall’introduzione di Piero Dorfles)______

Certo, adesso va meglio. Adesso alle scuole elementari e medie per fortuna le poesie non si studiano più a memoria, e quelle che si studiano ancora sono mirabolanti e divertentissime filastrocche per la festa del papà, o della mamma. Meno male che “Natale” di Giuseppe Ungaretti è stato emendato dai libri di testo redatti da menti raffinatissime, e sostituito con le strenne a tema di per ora sconosciuti, ma certo futuri vincitori di premio Nobel.

Già, perché Giuseppe Ungaretti, era fascista, insieme a quella testa calda di Gabriele D’ Annunzio, con Luigi Pirandello, Filippo Tommaso Marinetti, Vincenzo Cardarelli, e tanti altri.

Cardarelli? Chi era costui?

Fa benissimo l’ editoria progressista a preparare liste di proscrizione, e in questo c’è da lodare il ruolo d’ avanguardia assunto da quella salentina, e di damnatio memoriae, con conforto di evoluti filosofi dal periodare contorto, ma meno male, se no che filosofi sarebbero?

Fatta salva l’ ipotesi che quella Cultura ha rovinato le giovani generazioni degli anni Cinquanta e Sessanta, che alle elementari sapevano del pessimismo storico di Giacomo Leopardi, e dell’ approccio umile alla natura di Giovanni Pascoli, e alle medie studiavano latino e leggevano i classici, ci chiediamo che cosa trasmetta ora questa cervellotica scuola dell’ obbligo di adesso, in cui cinque- sei professori per classe, messi insieme, valgono, eh sì, più di uno, l’ unico, di quelli di una volta.

La memoria condivisa nazionale può aspettare, anzi sarà meglio non avercene proprio di memoria, né divisa, né condivisa, dimenticando l’ albero a cui tendevi la pargoletta mano abbiamo fatto un salto di qualità gigantesco.

Oggi nell’ inutile fatica di parlare bene l’ italiano si cimentano solamente gli stranieri, quelli che lo studiano per davvero.

Gli Italiani parlano la lingua di Fantozzi, fino a una certa età, e, al di sotto di quella, la lingua dei social, fatta di una nuova punteggiatura emozionale, di insulti e di parolacce.

La xoinè degli inglesismi esasperati, che hanno sconfitto la propaganda vetero fascista contro la perfida Albione.

Abbiamo fatto benissimo a dimenticarci di vocaboli che sarebbero di uso corrente, ma che in molti nemmeno conoscono più.

Poi, se chiami il 187 della Tim, ti dicono che “la tua chiamata verrà risposta entro tre minuti”; e a mettere insieme due periodi in croce di senso compiuto è per i ragazzi (e per i meno ragazzi pure) di oggi impresa ardua.

In compenso sanno molto di spinelli, e di Pokemon.

Meno male, che i ragazzi di oggi non studiano più le poesie a memoria! E diciamolo, diciamolo una volta per tutte: “X agosto”, si legge correttamente “Ics agosto”, e si dice giustamente “Cri agosto”!

Che non leggono più!

Che invece di fare i giochi della gioventù di quella scuola retorica, guardano le partite su Sky; che invece di frequentarsi ai giardinetti, si frequentano su Whatsapp; che invece di andare nella biblioteca d’ istituto, si fanno i selfie; che invece di celebrare la festa degli alberi, celebrano la festa di Halloween.

Strapaese, stracittà, futurismo, ermetismo, maestro Manzi, Carosello. ma sì, cancelliamo tutto!

Condanniamo i fiocchetti e i grembiulini, uguali per tutti, sia i poveri, sia i ricchi, meglio ora per i ricchi le felpe firmate dai loghi delle multinazionali!

L’ abbecedario? Il sussidiario? Oh, per fortuna ci sono ora le dispense multimediali di figure quantistiche!

Giovanni Gentile, che tu sia dannato! Meglio, d’ accordo, certo, meglio adesso la buona scuola di Matteo Renzi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Category: Costume e società, Cronaca, Cultura, Politica

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Comments (3)

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  1. Piero Manni ha detto:

    Giuseppe Puppo ha usato una tecnica gesuitica: mi ha attribuito una serie di intenzioni o, non ho capito, di affermazioni, e su di esse ha esercitato la sua acribia critica. Peccato che quelle intenzioni e men che mai le affermazioni non sono mie.
    Comunque: grazie per l’attenzione.

  2. Giuseppina Cerbone ha detto:

    bravo Giuseppe Puppo, GIUSTO!

  3. franco rossi ha detto:

    Certo per scrivere che D’Annunzio, o gli intellettuali del fascismo fossero dei conformisti ci vuole una buona dose di coraggio oppure tanta ignoranza.
    Gli intellettuali del ventennio possono essere accusati di tante cose ma certo non furono conformisti, se non altro perché al di là del rispetto che mostrarono verso Mussolini, espressero tante e così diverse idee sulla cultura, sulla politica o sulla forma dello Stato.
    Intellettuali che guardavano al futuro, alla macchina, alla scienza,all’aereo, come Marinetti o i futuristi, o stesso D’Annunzio che va a liberare Fiume dalle truppe straniere, senza poter contare neppure sul consenso dello Stato italiano. Oppure Evola che viceversa era un tradizionalista convinto.
    Ma poi vogliamo parlare di Francesco Ercole, Luigi Federzoni, Giovanni Gentile, il padre di quel monumento alla cultura che è l’enciclopedia Treccani, Ugo Ojetti, Alfredo Panzini un uomo che ampliò il vocabolario italiano, introducendo tanti nuovi vocaboli utilizzati dalle diverse discipline, Luigi Pirandello, che scriveva i sono figlio del caos, Ardengo Soffici, Barna Occhini, Ugo Spirito,che scriveva.”assicurare socialmente, oggi il controllo della produzione, domani la stessa proprietà dei mezzi produttivi”. Altro che pensiero conformista.
    E poi, Giuseppe Ungaretti che nel 1926 sfido a duello Massimo Bontempelli a causa di una polemica sul quotidiano Tevere, Gioacchino Volpe, altro che conformisti.
    Uomini che si confrontarono anche aspramente, ognuno descrivendo il tipo di Stato che avrebbe voluto. Senza risparmiare critiche al regime o ad alcuni dei suoi massimi rappresentanti.

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