GRAZIE PER LA FOTO

| 3 Dicembre 2016 | 2 Comments

Poesia di Pier Paolo Pasolini
Il centro del mondo

Povero come un gatto del Colosseo,
vivevo in una borgata tutta calce
e polverone, lontano dalla citta’
e dalla campagna, stretto ogni giorno
in un autobus rantolante:
e ogni andata, ogni ritorno,
era un calvario di sudore e di ansie.
Lunghe camminate in una calda caligine,
lunghi crepuscoli davanti alle carte

ammucchiate sul tavolo, tra strade di fango,
muriccioli, casette bagnate di calce
e senza infissi, con tende per porte…
Passavano l’olivaio, lo straccivendolo,
venendo da qualche altra borgata,
con l’impolverata merce che pareva
frutto di furto, e una faccia crudele
di giovani invecchiati tra i vizi
di chi ha una madre dura e affamata …

Un’anima in me, che non era solo mia,
una piccola anima in quel mondo sconfinato,
cresceva, nutrita dall’allegria
di chi amava, anche se non riamato.
E tutto si illuminava, a questo amore
forse ancora di ragazzo, eroicamente,
e però maturato dall’esperienza
che nasceva ai piedi della storia.
Ero al centro del mondo, in quel mondo
di borgate tristi, beduine,
di gialle praterie sfregate
da un vento sempre senza pace,

venisse dal caldo mare di Fiumicino,
o dall’agro, dove si perdeva
la città fra i tuguri; in quel mondo
che poteva soltanto dominare,
quadrato spettro giallognolo
nella giallognola foschia,

bucato da mille file uguali
di finestre sbarrate, il Penitenziario
tra vecchi campi sopiti casali.

Le cartacce e la polvere che cieco
il venticello trascinava qua e là,
le povere voci senza eco
di donnette venute dai monti
Sabini, dall’Adriatico, e qua
accampate, ormai con torme
di deperiti e duri ragazzini,
stridenti nelle canottiere a pezzi,
nei grigi, bruciati calzoncini,
i soli africani, le piogge agitate
che rendevano torrenti di fango
le strade, gli autobus ai capolinea
affondati nel loro angolo
tra un’ultima striscia d’erba bianca
e qualche acido, ardente immondezzaio …
era il centro del mondo, com’ era
al centro della storia il mio amore
per esso: e in questa
maturità che per essere nascente
era ancora amore, tutto era
per divenire chiaro era chiaro!
Quel borgo nudo al vento,
non romano, non meridionale,
non operaio, era la vita
nella sua luce più attuale:
vita, e luce della vita, piena
nel caos non ancora proletario…

Category: Costume e società, Viaggi e Turismo

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Comments (2)

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  1. direttore ha detto:

    (Come mai non si riesce a correggere in nessun modo la battitura sbagliata in ‘città’ terzo rigo?…Comunque, Annibale, che meraviglia!…Grazie…per la poesia!

    Aggiungo alcuni frammenti di un’ altra, la mia preferita, del resto perfettamente in tema con la tua citazione, e la tua foto, di una Roma “stupenda e misera città”, in cui “appare ancora dolce la sera”…)

    Solo l’amare, solo il conoscere
    conta, non l’aver amato,
    non l’aver conosciuto. Dà angoscia

    il vivere di un consumato
    amore. L’anima non cresce più.
    Ecco nel calore incantato

    della notte che piena quaggiù
    tra le curve del fiume e le sopite
    visioni della città sparsa di luci,

    scheggia ancora di mille vite,
    disamore, mistero, e miseria
    dei sensi, mi rendono nemiche
    le forme del mondo, che fino a ieri
    erano la mia ragione d’esistere.
    Annoiato, stanco, rincaso, per neri

    piazzali di mercati, tristi
    strade intorno al porto fluviale,
    tra le baracche e i magazzini misti

    agli ultimi prati. Lì mortale
    è il silenzio: ma giù, a viale Marconi,
    alla stazione di Trastevere, appare

    ancora dolce la sera. Ai loro rioni,
    alle loro borgate, tornano su motori
    leggeri – in tuta o coi calzoni

    di lavoro, ma spinti da un festivo ardore
    i giovani, coi compagni sui sellini,
    ridenti, sporchi. Gli ultimi avventori

    chiacchierano in piedi con voci
    alte nella notte, qua e là, ai tavolini
    dei locali ancora lucenti e semivuoti.

    Stupenda e misera città,
    che m’hai insegnato ciò che allegri e
    feroci
    gli uomini imparano bambini,

    le piccole cose in cui la grandezza
    della vita in pace si scopre, come
    andare duri e pronti nella ressa

    delle strade, rivolgersi a un altro uomo
    senza tremare, non vergognarsi
    di guardare il denaro contato

    con pigre dita dal fattorino
    che suda contro le facciate in corsa
    in un colore eterno d’estate;

    a difendermi, a offendere, ad avere
    il mondo davanti agli occhi e non
    soltanto in cuore, a capire

    che pochi conoscono le passioni
    in cui io sono vissuto:
    che non mi sono fraterni, eppure sono

    fratelli proprio nell’avere
    passioni di uomini
    che allegri, inconsci, interi

    vivono di esperienze
    ignote a me…

    Piange ciò che ha fine, e ricomincia…

    Piange ciò che muta, anche
    per farsi migliore. La luce
    del futuro non cessa un solo istante

    di ferirci: è qui, che brucia
    in ogni nostro atto quotidiano,
    angoscia anche nella fiducia

    che ci dà vita

  2. valerio ha detto:

    La a terzo rigo è stata sistemata, ma ci terrei che si comprendesse che questo bel cielo infuocato è quello di Lecce, e le pale eoliche che si stagliano contro il tramonto sono quelle che si trovano sulla strada di Torre Chianca.

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