CARAVAGGIO E I CARAVAGGESCHI NELL’ITALIA MERIDIONALE DALLA COLLEZIONE DELLA FONDAZIONE ROBERTO LONGHI

| 17 Maggio 2017 | 0 Comments

(s.d.)_______ “Caravaggio sarà piuttosto il primo dell’età moderna […]. Il pubblico cerchi dunque di leggere ‘naturalmente’ un pittore che ha cercato di essere ‘naturale’, comprensibile; umano più che umanistico; in una parola, popolare”.

Dopo quella dedicata a Steve McCurry nell’estate 2016, il Comune di Otranto e Civita Mostre organizzano, dall’11 giugno al 24 settembre 2017, nei suggestivi ambienti del Castello Aragonese, una mostra dedicata a Caravaggio e ai pittori caravaggeschi a cura di Maria Cristina Bandera che hanno operato nell’Italia meridionale.

Tutte le opere esposte provengono dalla Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi, che custodisce il lascito di quello che è stato il più importante storico dell’arte italiano ma anche uno straordinario collezionista.

Roberto Longhi (Alba 1890 – Firenze 1970) è una delle personalità più affascinanti della storia dell’arte del XX secolo. Alla pittura del Caravaggio (Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, Milano 1571 – Porto Ercole 1610) e ai suoi seguaci, i cosiddetti caravaggeschi, ha dedicato una vita di studi, a partire dalla tesi di laurea sul Caravaggio del 1911.

Si trattò, a quella data, di una scelta pioneristica, tanto all’epoca il pittore era uno dei “meno conosciuti dell’arte italiana”. Longhi seppe da subito riconoscere la portata rivoluzionaria della pittura del Merisi, così da intenderlo come “il primo pittore dell’età moderna”.

Nella sua dimora fiorentina – villa Il Tasso –, oggi sede della Fondazione che gli è intitolata, raccolse un numero notevole di opere dei maestri di tutte le epoche, che furono per lui occasione di ricerca e di studio. Tra queste il nucleo più importante e significativo è senza dubbio quello che comprende le opere del Caravaggio e dei caravaggeschi, formatosi attorno al Ragazzo morso da un ramarro del Merisi, da lui acquistato verso il 1928. Il dipinto, che risale all’inizio del soggiorno romano di Caravaggio, all’incirca nel 1596-1597, colpisce innanzitutto per la resa del brusco scatto con cui il giovane si ritrae improvvisamente per il morso di un ramarro, quasi come in una istantanea fotografica, ma anche per la “diligenza” con cui ha reso il brano della natura morta con la caraffa e i fiori, un genere pittorico riportato a dignità autonoma proprio dal Caravaggio.

Nella mostra, curata da Maria Cristina Bandera, direttrice scientifica della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi, accanto al Caravaggio sono esposti i dipinti dei suoi seguaci meridionali o attivi nell’Italia del Sud, che fanno parte della stessa collezione e offrono una efficace testimonianza del significato storico della sua pittura.

Grandi capolavori possono ritenersi cinque tele che raffigurano gli Apostoli, del giovane Jusepe de Ribera e la Deposizione di Cristo di Battistello Caracciolo, il principale caravaggesco napoletano. Il profondo radicamento dell’esempio del maestro nell’arte napoletana è attestato dal David di Andrea Vaccaro e dal drammatico San Girolamo del Maestro dell’Emmaus di Pau. Nelle opere di Matthias Stom, a lungo attivo in Sicilia, si materializza una perfetta sintesi tra la cultura nordica di partenza – legata al caravaggismo olandese – e la pittura italiana. Sono inoltre presentate inoltre opere di Lanfranco, del Maestro dell’Annuncio ai pastori, di Filippo Napoletano e di Giacinto Brandi. Il percorso si conclude con due capolavori di Mattia Preti, l’artista che più di ogni altro contribuisce a mantenere per tutto il Seicento la vitalità della tradizione caravaggesca.

È infine prevista la proiezione del film di Mario Martone dal titolo L’ultimo Caravaggio (durata 40‘), realizzato nel 2004. La cinepresa del grande regista scompone e riassembla dettagli rubati ora ai dipinti di Caravaggio, ora ai quartieri popolari e alle estreme periferie di Napoli, ricostruendo così, con un linguaggio che parla anche al nostro tempo, la vicenda artistica ed umana del Caravaggio nei suoi ultimi anni, vissuti nell’Italia meridionale.

La mostra, è unita negli intenti e nello spirito di divulgazione culturale a quella di Roberto Cotroneo. «C’è un profondo rapporto, un rapporto nuovo, tra narrazione e fotografia. Colpa della narrazione, merito della fotografia». Pensiamo sempre agli spazi espositivi come a dei luoghi perfetti, dove quello che conta sono le opere esposte. Le opere fanno i musei: i capolavori artistici li abitano e li rendono quello che sono. In realtà gli spazi espositivi sono luoghi abitati da persone, visitatori, e in molti casi masse di gente che si muovono, che si fermano, che guardano, che meditano, che vanno e vengono, e disegnano percorsi, raccontano una loro storia, contribuiscono a rendere l’esposizione dell’arte qualcosa di mobile, di duttile, di sempre diverso. Per dirla tutta, nessun museo o galleria d’arte è pensabile senza un pubblico.

Roberto Cotroneo, scrittore e saggista, autore tra gli altri di un romanzo “Otranto” e di una raccolta di poesie “I demoni di Otranto” dedicati alla città salentina, da alcuni anni ha affiancato il suo lavoro di scrittura con quello della fotografia. E per più di tre anni ha osservato e fotografato il pubblico negli spazi espositivi, nei loro movimenti, nelle posture, nelle espressioni, nella capacità di attraversare gli spazi, le soglie, i luoghi.

 

 

Category: Cultura, Eventi

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