PRISONER 709, QUANDO UN RAPPER D’AUTORE LANCIA LA SUA SETTIMA BOMBA CULTURALE

| 18 Settembre 2017 | 0 Comments

di Annibale Gagliani______

“No, non è vero che non sei capace, che non c’è una chiave”. Non lo dice il politicante di turno nel dissoluto talkshow. Non lo dice nemmeno il segretario di un sindacato qualsiasi all’untuosa festa del lavoro: lo dice Caparezza ai suoi ascoltatori, e in primis a se stesso. Il verso è immerso sontuosamente in Una chiave, il brano più intimo dell’ultimo album del rapper d’autore: Prisoner 709.

Michele Salvemini da Molfetta, cognome che rimembra le migliori battaglie in seno al meridionalismo. Ondata intramontabile di riccioli che non contemplano commerciali domatori: nel suo canzoniere passato (condito da sei dischi tostissimi) ha musicato l’eretismo dei Giordano Bruno, dei Pasolini e dei Galileo Galilei, senza dimenticare i grossi riferimenti all’inferno dantesco, ai “cavalieri” contemporanei che lo avrebbero dovuto rimpolpare, e alla sanità di Van Gogh (contrapposta all’isteria dell’uomo massificato).

E poi arriva Prisoner 709. Il disco più umano e umanista del Capa, costellato dalle difficoltà e dalle risoluzioni della gente comune. L’autore attinge naturalmente dai suoi pensieri più viscerali, ma affoga come Stendhal nelle suggestioni psicanalitiche di Gustave Jung, in quelle mediche di Oliver Sacks e nelle sperimentazioni tremebonde di Philip Zimbardo. Quest’ultimo è l’assoluto ispiratore del nome della fatica discografica: il suo esperimento nella prigione di Stanford impressiona a tal punto l’artista pugliese da farlo immedesimare nella vicenda del prigioniero 819, dominato da L’effetto lucifero. L’eretico rapper decide di diventare l’alterego del protagonista zimbardiano, adottando il numero 709. Questa apparente separazione tra il 7 e il 9, regolamentata dallo zero mediano, rappresenta, giustappunto, i poli fondamentali della propria esistenza: Michele e Caparezza.

Il sound complessivo rinfresca la schiena (senza andare a Riccione), torce le budella del rinco-ascoltatore e schianta le paure degli umili con un’alternanza ermetica tra rock, elettro-rap e pop “scarface”. Un habitat sonoro perfetto per rovesciare il mito del rapper medio italiano: l’idealizzato coro “droga-soldi-figa” trova – surrealmente – il trittico parodizzante che ne sancirà la fine: “draghi, saldi, fughe”. L’omologazione musicale non è poi così invicibile e Capa lo dimostra semplicemente, attraverso la sua estrosa, ma scientifica, originalità. Anche la canzone politica può essere omologata, pure la ninnananna al pargolo del futuro e perfino lo stornello meno abbiente. La differenza la fanno il sacrificio esteriore, la statura interiore, la coerenza spirituale. Il Prisoner 709 dimostra di avere totale dimestichezza con tali massime maieutiche. Questione di stile, testicoli e creatività. Nulla più, cher lecteur. Il rapper d’autore ha trafitto in questo settembre affusolato il mercato discografico nazionale, alla stregua del famoso meteriote di una premiata pubblicità.

Habemus Capa! Più che mai. Il coraggio di reinventarsi è rimasto quello del tramonto degli anni Novanta. La capacità di rivoluzionarsi, sia a livello tematico (pur sempre altissimo) che a livello musicale (genio poliedrico come pochi), gli garantisce uno status di perdurante potenzialità (ad estinguersi saranno i bambolotti da produzione industriale).

Come pellaccia d’ebano l’ho paragonato a quelle ultracentenarie dei Faber, dei Gaber e dei Gaetano; lui, con estrema umilità, ha dissentito. Ma sono sicuro che sia stato per Michele – quanto per Caparezza – un paragone giusto e corroborante, di quelli che Ti fa stare bene.

Più ondate di riccioli senza padroni e meno checche di musicanti sotto bastone. Più discorsi seri e interessati, e meno petulanza da baraccone di cafoni. Più elasticità sul pentagramma: raggae, rap, rock, pop, e anche jazz, perbacco.

Cogliete l’occasione di Prisoner 709, è un rapper d’autore ad accarezzare i vostri palati culturali. Mica il primo cazzaro dell’intossicato villaggio globale. Scegliete di aprire la porta meno probabile – seppur chiusa a tripla mandata -, quella del vostro abissale inconscio.

Non avere paura di scegliere diversamente: “no, non è vero che non sei capace, che non c’è una chiave”.

Category: Cultura

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