L’ITALIA HA RICORDATO IL ROGO DI PRIMAVALLE, DOVE UN GIOVANE DI 22 ED UN BAMBINO DI 8 ANNI FURONO BRUCIATI VIVI DALL’ANTIFASCISMO MILITANTE

| 17 Aprile 2022 | 0 Comments

(v.m.) ____In tante città italiane da Torino a Roma a comuni più piccoli come Rivoli, ieri  è stato ricordato il Rogo di Primavalle, il crudele assassinio di un giovane e di un bambino la cui unica colpa era quella di far parte di una povera famiglia che aveva simpatie politiche di destra, avvenuto il 16 aprile 1973.

All’epoca avevo 16 anni e cominciavo ad interessarmi di politica, o meglio mi costrinsero a farlo, coloro che tutti i giorni davanti alla mia scuole compivano, quella che una volta si chiamava vendita militante, del giornale Lotta Continua, accompagnato il tutto con frasi di odio e spesso con gesti violenti. Il mio carattere ribelle mi giocò un brutto scherzo e nonostante il fisico non me lo consentisse un giorno li mandai al diavolo.
Ma non voglio raccontarvi la mia storia è solo per dire che quell’atto terroristico, orrendo quanto vile, mi colpì profondamente sopratutto perché la RAI tentò, come buona parte dei giornali della buona borghesia di accreditare la tesi secondo secondo cui era stata una bega interna alla sezione del MSI. Insomma prima li ammazzarono in modo orrendo e poi di quell’orrore le stesse vittime venivano accusate.
Tutto quello che segue è un taglia e cuci, di dichiarazioni, di pezzi di articoli di giornale, e prese dal web, e dichiarazioni di personaggi pubblici.
Ovviamente il tutto è stato sottoposto verifica.
Io mi sono limitato a mettere insieme il tutto.

50 anni fa come ieri alcuni militanti comunisti figli della buona borghesia romana, in piena notte versarono 5 litri di benzina sotto la porta d’ingresso di una casa del quartiere popolare di Primavalle a Roma abitata dalla famiglia Mattei.

Gli attentatori lasciarono sul selciato una rivendicazione della loro azione: “Brigata Tanas – guerra di classe – Morte ai fascisti – la sede del MSI – Mattei e Schiavoncino colpiti dalla giustizia proletaria”.


Vivevano in una casetta popolare posta al terzo piano i Mattei, il papà Mario riuscì a scappare gettandosi dal balcone, la moglie Anna Maria e i due figli più piccoli, Antonella di 9 anni e Giampaolo di soli 3 anni, riuscirono a fuggire dalla porta principale quando il fuoco cominciò a diffondersi. Lucia di 15 anni grazie al padre si calò nel balconcino del secondo piano e da lì si buttò, presa al volo dal Mattei già a terra nonostante le ustioni sul suo corpo. Silvia, 19 anni, si gettò dalla veranda della cucina: batté la testa sulla ringhiera del secondo piano, la schiena sul tubo del gas, fu trattenuta per qualche istante dai fili del bucato e quindi finì sul marciapiede del cortile riportando la frattura di due costole e tre vertebre.

Gli altri due figli, Virgilio di 22 anni, militante missino nel corpo paramilitare dei Volontari Nazionali, e il fratellino Stefano di 8 anni, morirono bruciati vivi non riuscendo a gettarsi dalla finestra per scampare alle fiamme. Il dramma avvenne davanti ad una folla che si era radunata nei pressi dell’abitazione e che assistette alla morte di Virgilio, rimasto appoggiato al davanzale a cercare aiuto, e di Stefano, scivolato all’indietro dopo che il fratello maggiore che lo teneva con sé perse le forze. I corpi carbonizzati vennero trovati dai vigili del fuoco vicino alla finestra stretti in un abbraccio.

Il dramma nel dramma fu che l’intellighenzia di sinistra scrisse libri, paglioni di giornali, rilasciò interviste televisive, parlò alle piazze, per dire che quella strage era stata compiuta dagli stessi missini per dissidi interni. Jacopo Fo addirittura si divertì fare una vignetta per sostenere quella tesi, non ha mai chiesto scusa. Ma i responsabili furono individuati dalla Magistratura, uno per uno, anche se poi fu data loro la possibilità di scappare all’estero, dove goderono delle protezioni politiche ed economiche della sinistra nostrana.

L’Unità, il quotidiano del Partito Comunsta Italiano scrisse che si trattava di un “oscuro” crimine, ma di oscuro non vi era nulla tutti sapevano che i criminali erano dei comunisti.

 

«Sono trascorsi quasi 50 anni da quando Stefano e Virgilio rimasero uccisi nel rogo appiccato nella loro abitazione dai militanti comunisti di Potere Operaio. Una strage che non ha mai ricevuto vera Giustizia». Lo scrive su Facebook  Giorgia Meloni nel ricordare il Rogo di Primavalle, avvenuto il 16 aprile del 1973. Uno dei più efferati e drammatici delitti politici degli anni Settanta. «Noi non dimentichiamo i fratelli Mattei, vittime innocenti dell’odio ideologico», scrive ancora la leader di FdI.

Tanti i commenti alle parole di Giorgia Meloni. Scrive un utente: «Una vergogna tutta italiana». Un altro aggiunge: «Angeli luminosi e indimenticabili, vittime di un’inaudita malvagità…». C’è chi scrive: «Povere vittime di criminali protetti dall’intellighenzia di sinistra». E chi puntualizza: «Lo sappiamo che per la sinistra la storia è a intermittenza».

 

Francesco Storace ricorda: “Era il 16 aprile del 1973. . Bruciano vivi nel tentativo di scampare alla furia delle fiamme gettandosi da un balcone. Virgilio aveva 22 anni. Il fratellino Stefano, solo 8. L’incendio è un vile atto di terrorismo, un trasversale omicidio politico: militanti comunisti di Potere Operaio, borghesi benestanti figli della migliore società, colpiscono a morte la famiglia di un lavoratore di una proletaria periferia romana. Un atto infame, assassino, a cui segue una vicenda paradossale: tre militanti di Potere Operaio, Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo, pur condannati, diventano protagonisti di una storia giudiziaria infinita, contraddistinta innanzitutto da latitanza, rimozione della verità, mancata giustizia, da una vergognosa campagna innocentista della sinistra italiana, dalla copertura economica e morale agli assassini da parte di esponenti della ‘cultura conforme e politicamente corretta’ come Franca Rame e Dario Fo… questo era il clima cupo degli anni di piombo, per far luce su una vicenda sconvolgente, su un omicidio impunito che oltre agli assassini esecutori, ha tanti, troppi mandanti morali”

 

Stenio Solinas scrive: “La via si chiamava Bernardo di Bibbiena, il numero civico era il 33, l’appartamento popolare era all’interno cinque della scala D del lotto 15, il quartiere era quello di Primavalle. Ci abitava una famiglia proletaria e fascista, i Mattei, madre, padre e cinque figli. Una tanica, una miccia, alcuni litri di benzina trasformarono il 16 aprile del 1973 la casa in un forno crematorio in cui arsero vivi Virgilio Mattei, 22 anni, e suo fratello Stefano, dieci anni. Gli altri si salvarono, chi miracolosamente scappando dalla porta prima che fiamme e fumo rendessero mortale l’uscita, chi gettandosi dalle finestre: ustionati, fratturati, ma vivi”.

 

Il rogo e la tentata strage hanno una firma, con tanto di rivendicazione: «Brigata Tanas Guerra di classe – Morte ai fascisti – la sede del Msi Mattei e Schiavoncino colpiti dalla giustizia proletaria». Era talmente mirata e giusta quella giustizia che storpiava persino il nome di uno dei bersagli: Schiaoncin, braccio destro di Mario Mattei, il capofamiglia segretario della sezione missina Giarabub, è quello vero e il particolare, come vedremo, è significativo.

Gli assassini che si nascondono dietro quella sigla si chiamano Achille Lollo, Manlio Clavo e Marino Grillo, tre militanti di Potere operaio, ma, come titolerà Lotta continua a cadaveri appena bruciati, «La provocazione fascista oltre ogni limite è arrivata al punto di assassinare i suoi figli». Quanto al Manifesto: «È un delitto nazista. Fermato un fascista».

 

Quarantacinque anni dopo, di quel rogo tragico e bestiale nella sua stupidità si sa tutto, o quasi. Ma fra il primo processo del 1975, conclusosi con un’assoluzione per insufficienza di prove, e un secondo d’appello che rovescia il verdetto passeranno undici anni e ce ne vorranno ancora venti prima che Lollo, espatriato come gli altri fin da subito, ammetta dal Brasile che sì, quella sera, davanti a quella porta c’erano loro, e non solo loro: erano addirittura in sei, i componenti di un collettivo creato qualche mese prima e dove aspiranti proletari e veri borghesi si davano la mano.

C’era Diana Perrone, la figlia di Ferdinando Perrone e la nipote di Sandro Perrone, gli allora proprietari del quotidiano Il Messaggero; c’era Elisabetta Lecco, che poi diverrà un’affermata gallerista; c’era Paolo Gaeta, futuro gestore di enoteche.

In quel 2005 in cui verranno tirati in causa, reagiranno, come ha ricordato Luca Telese nel suo Cuori neri, con lo sdegno di classe e di censo che gli è proprio: quel Lollo è un poveraccio, un borgataro, brutto, sporco e cattivo, insomma…

Ora, al di là delle ricorrenze e del giusto omaggio e ricordo verso quelle giovani vite spezzate, verso una famiglia piegata e piagata da ciò che accadde, il Rogo di Primavalle resta emblematico per il clima intellettuale che si creò intorno a esso, la cortina fumogena del falso e della reticenza, la sapiente strategia della menzogna, la rete di solidarietà messa in atto perché alla verità non si giungesse.

Category: Cultura, Eventi, Politica

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