MUSICA / “Punto di fuga”, UNICO ALBUM DEGLI Staré Město

| 9 Ottobre 2022 | 0 Comments

di Roberto Molle ______ 

Mi succede spesso di svegliarmi prima dell’alba con in testa un’immagine o un suono. Il fatto si ripete per sette, otto giorni poi si interrompe, ogni mattina la stessa immagine o la stessa musica.

In un caso, qualche anno fa, appena sveglio mi appariva il viso di un ragazzo come fosse proiettato sul muro della stanza. Mi sembrava di averlo già visto da qualche parte ma non riuscivo a ricordare dove; poi, un giorno accompagno mia madre al cimitero e tra le tante lapidi, su di una, un volto che mi sembra di conoscere… quello del ragazzo che mi appariva nel dormiveglia. Non riuscivo spiegarmi il fenomeno, ma sentii di dover fare qualcosa, all’epoca scrivevo poesie, così pensai di esorcizzare il tutto facendolo in versi: “Chiudo gli occhi nel buio / e trapasso con le mani / corpi d’aria fluttuanti / suoni ondulati / mi addolciscono il sonno / quando verso l’alba / da troppe volte ormai / un ragazzo già morto / torna a visitarmi”.

Poco più di un mese fa, stessa storia con una canzone. Verso le quattro del mattino mi sveglio con nelle orecchie un intro di chitarra e una melodia dolcissima, poi una voce calda e parole che si liberano nel silenzio come un flash nel buio: “La primavera insanguina i prati / tra cui cammino senza pensare / a quello che manca, / a ciò che è di troppo. / Lascio che il sole / mi trapassi da parte a parte. / Se rallento il respiro / tutto mi è più chiaro / e la vita è facile, / anche ad occhi aperti…”.

È come se si dovesse chiudere un cerchio… questo mi venne da pensare: Il piacevole tormentone mattutino altri non era che l’incipit di “Racconto di primavera”, una canzone degli Staré Město, band Emiliana nata tra Bologna e Ferrara nel 2011 che ha pubblicato un solo album nel 2014 prima di sciogliersi l’anno successivo.

A proposito del cerchio che doveva chiudersi, tutto partiva più o meno da quando gli Staré Město decisero di non continuare come gruppo e andare ognuno per la sua strada. Sarà stato il 2016, stavo facendo delle ricerche su un musicista salentino che aveva pubblicato un album con una piccola etichetta indipendente italiana dal nome un po’ strano (“I dischi del Minollo” n.d.r.), dal sito della label scorrendo i nomi degli artisti che facevano parte della scuderia la mia curiosità venne attirata da quel nome che sembrava appartenere più ad una band dell’est Europa che a una compagine di musicisti italiani. Scoprirò che Staré Město è il nome di un quartiere di Praga che si affaccia ad est del fiume Moldava, dove in antichità si raccoglievano pacificamente diverse etnie con culture e usanze differenti. Sempre dalla scheda del sito apprendo i nomi dei musicisti: Enrico Bongiovanni (chitarra, voce e autore dei testi), Tom “Delay” Lampronti (chitarra e cori), Giovanni “Fuzzbinder” Sassu (basso e cori), Ruggero Calabria (batteria).

Il nome del gruppo mi aveva affascinato, era tempo di ascoltare la loro musica. Cerco su youtube e trovo solo “Racconto di primavera”, il brano che al tempo aveva anticipato l’uscita dell’album che si chiamerà “Punto di fuga”. Sarà il primo di una lunghissima serie di ascolti: “Racconto di primavera” non è solo la canzone d’esordio di una giovane band deflagrata prima quasi di sbocciare, è molto di più. In poco meno di cinque minuti coesistono compressi sussulti post-punk che affondano radici nei tardi anni ottanta, innesti di catartico e liberatorio rock scivolato nel decennio successivo, testi scarni e poetici, e una voce, capace di liberare uno spleen pungente e dolciastro che si attacca addosso e come in un transfert ti fa rivivere flash-back tardo adolescenziali.

A quel punto dovevo avere lo scrigno, sicuramente custodiva altri tesori che mi avrebbero aiutato a delineare meglio la personalità degli Staré Město, ma inutilmente, ogni tentativo risultava vano nella ricerca del cd di “Punto di fuga”. Mi rimaneva quel singolo brano da ascoltare e farmi rimuginare di tanto in tanto sul perché una band così brillante avesse buttato alle ortiche quel talento che avevo percepito in quella canzone.

Poi qualche settimana fa mi sveglio per diversi giorni con l’incipit di “Racconto di primavera” nella testa (come già detto) e penso che è tempo di fare qualcosa, quello che avrei dovuto fare qualche anno fa: contattare direttamente i musicisti. Grazie alla tecnologia riesco in poco tempo a parlare con uno di loro e dopo qualche giorno il dischetto di plastica è nelle mie mani.

“Punto di fuga” è uno splendido diamante grezzo composto da otto brani. I quattro musicisti sono schierati nella formazione rock più classica (due chitarre, basso e batteria), i testi sono evocativi, delicati e graffianti in un alterno che stringe il cuore, i suoni s’impennano per poi placarsi ridisegnando un texture sonoro affascinante e decadente che calza plastico all’era che stiamo vivendo.

Apre il disco “Thalia”: i suoni combattono la ruggine del tempo, ci provano. Ma è come sbattere nel buio, tutto si confonde e l’unica arma resta la luminosità degli intenti. Echi di chitarre urticanti aprono il varco a una voce che attinge linfa a uno dei dischi più belli degli ’80 (“Il vile” dei Marlene Kuntz).

Di “Racconto di primavera” ho già detto, ma aggiungo che è un brano di ipnotica ed estatica bellezza.

“Menodizero” e “Riparo”, sono due brani quasi complementari. Rabbia, poesia e contaminazioni disseminate tra i solchi. Gighe di chitarre che regalano emozioni striscianti e la voce di Enrico Bongiovanni che martella con un pathos che se non l’ascolti non puoi capire.

“Cielo d’Africa” è la cover di un brano dei Diaframma di Federico Fiumani. Gli Staré Město omaggiano una delle band più importanti degli anni ’90 con una versione personalissima che non snatura l’originale.

“Le mani” e “Ultima cena” in un continuum di bellezza con arpeggi puliti e riverberi vocali. “Canzone della torre più alta” ispirata dall’omonimo testo di Rimbaud, suona come un monito post-rock tra decadenza e sconfitta, vibrante di una fascinazione romantica che probabilmente avrebbe intrigato il poeta…

“Punto di Fuga” è un album che merita un posto speciale negli archivi di ogni melomane rock.  

Il merito degli Staré Město va alla capacità di aver saputo filtrare sonorità new wave, post-punk e rock degli anni ’80 e ’90 attraverso una sensibilità più colta, delicata e disincantata degli anni zero.

Idealmente li collocherei vicino a band che si chiamano Diaframma, Massimo Volume, Marlene Kuntz, CCCP: padri di cui si può solo essere fieri di essere figli.

Recentemente ho contattato il chitarrista e cantante dei disciolti Staré Město e alla domanda perché la band si fosse sciolta proprio dopo la pubblicazione di un disco così importante per la scena musicale italiana, la sua risposta è stata questa: “Perché ci siamo sciolti? Domanda difficile… sebbene il divorzio sia stato conseziente, ognuno di noi penso ti darebbe una risposta diversa. Più in generale diciamo che forse avevamo perso quell’alchimia che ci aveva portato al primo disco. E sebbene avessimo già forse abbastanza inediti per farne un altro, da un punto di vista creativo ci eravamo un po’ arenati. Siamo comunque rimasti in buoni rapporti. Per quanto riguarda l’oggi, Ruggero Calabria suona nei “Mister MiGuardi” (gruppo musicale di Ferrara), Giovanni Sassu ha suonato per un breve periodo nei “Devocka” ma al momento credo sia fermo. Io e Tom Lampronti invece suoniamo insieme da qualche anno nei “Pale Blu Dot”, io alla chitarra mentre lui chitarra e voce. Tutti i membri (dei “Pale Blu Dot” tranne me che sono l’ultimo arrivato) provengono dagli Zeder, band di Ferrara che è stata attiva parecchi anni. Nelle settimane scorse abbiamo registrato un paio di pezzi che sono in corso di mixaggio, se tutto va bene a inizio ottobre facciamo uscire un singolo. Tom suona attualmente anche nei “Paradox”, e negli anni passati ha suonato il synth nella storica band wave “Go Flamingo!” e con i “Borken Up”.

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Category: Cultura

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