UN BRIVIDO NELL’ORECCHIO: RICCARDO CUCCHI RACCONTA LA SUA STORIA AD ANNIBALE GAGLIANI CON UMILE CLASSE, REGALANDO GUSTOSI RETROSCENA DI NARRAZIONE POETICO-SPORTIVA

| 16 Febbraio 2017 | 0 Comments

di Annibale Gagliani______

L’ultimo prototipo di  speaker da clonare – in quanto patrimonio della radio all’italiana –  è con solerte passione  Riccardo  Maria  Cucchi.  Figlio  prediletto  della  stirpe  dei  Carosio, Ameri e Ciotti, ha saputo carpire da ognuno di questi professori del mestiere gli input sinestesici per poter diventare ben  presto il numero uno  nel  suo  campo.

Quando  si  sta  a  contatto  con  dei  numeri  dieci  che  trascinano  il  gruppo  bisogna  avere  l’umiltà  di  seguire  e  ascoltare, prendendo  nota  dei  segreti  intrinseci  che  possono  regalarti  spunti  di  crescita  in  esperienza  e  competenza.  Cucchi  ha  assorbito  il  meglio  dei  pionieri  delle  FM  sportive  tricolori. Ha  la  precisione  e  la  continuità  di  eloquio  del  primo  Carosio,  l’intellegibile  calma  con  punte  di  euforia   trainante  del  miglior  Ameri,  le  note  di  colore  che  palesano  un’imperturbabile creatività della voice in black  Ciotti.

Nato anche lui nella  città eterna, laureatosi in Lettere e assunto dalla  RAI nel 1979, ha regalato perle  vocali  tra  le  emozioni  sterminate  del  calcio,  del  canottaggio,  della scherma  e  dell’atletica  leggera. Divenne  first  voice  di  Tutto  il  calcio  minuto  per  minuto  e  radio-commentatore  ufficiale  degli  azzurri  nel  1994,  raccogliendo il testimone proprio da Sandrino Ciotti. Il suo timbro  è mite e  godibile grazie a una giusta mescola di decibel. È stato il cavalier narrante delle sfide più accese del nostro campionato, di sei Olimpiadi in giro per il globo  (fantastica  l’edizione  1992  a  casa  di  Gaudi  in  Barcellona)  e  di  quattro mondiali di football (con la ciliegina al miele di Germania 2006).

Nella brezza estiva del 2007 viene nominato caporedattore della redazione sportiva  di  Radio  RAI,  confermando  la  sensazione  univoca  dei   radioascoltatori che da Courmayeur a Santa Maria di Leuca sintonizzano le  antenne verso i ricci  vigorosi  del Riccardo nazionale: Cucchi è il miglior radio-commentateur  degli  ultimi  vent’anni.  Ho  avuto  l’onore  di  poter  intervistarlo  e lui, gentilissimo  come  sempre,  ha  ripercorso  nel vortice delle feelings sportive le  tappe più importanti della sua esemplare carriera, regalandoci dei retroscena romantici niente male, che  difficilmente  puoi ritrovare  in  un  giornalista  comune,  ma  solo  in  un  uomo  di  sport  dall’indiscutibile cifra culturale.

Vorremmo  approfondire  innanzitutto  l’origine  di  Riccardo  Cucchi  giornalista sportivo. Come nasce la passione e attraverso quali opportunità si è concretizzata? 

‹‹Nasce  da bambino,  avevo  8  o  10  anni, ascoltavo la  radio  la domenica  per vivere le emozioni del calcio che è stato sempre il mio sport preferito, sognavo insieme alle voci dei grandi maestri Enrico Ameri, Sandro Ciotti,  Alfredo  Provenzali,  e  questa  vicinanza  emotiva  con  queste  straordinarie voci  mi  ha  fatto  innamorare  della  radio  e  soprattutto  del  mestiere  di  radiocronista  sportivo.  Certamente  non  pensavo  un  giorno  di  riuscire  a  coronare il mio sogno, mi sono laureato, ho studiato, ho fatto l’insegnante,  ho  lavorato  in  un  carcere  minorile  come  educatore.  Poi  nel  ’79  la  RAI  bandì  un  concorso  per  la  terza  rete  televisiva,  e  io  vi  partecipai  da  laureato  convinto  naturalmente  che  fosse  un’opportunità  difficilmente sfruttabile allora, e invece andò bene.

Il capo della commissione d’esame era Sergio Zavoli, superai la prova scritta e all’orale fui interrogato, mi fu  chiesto in particolare, nel caso in cui l’azienda avesse voluto assumermi, cosa  avrei  voluto  fare  all’interno  dell’azienda,  e  io  dissi  con  molta naturalezza a Sergio Zavoli “io vorrei fare il radiocronista sportivo”. Lui  rispose  “fammi  vedere  come  sai  fare  una  radiocronaca”,  e  io  m’improvvisai una radiocronaca di fronte alla commissione, e tra l’altro  loro non potevano saperlo questo era il mio gioco preferito dell’infanzia, facevo le radiocronache inventandole, e quindi fu per me una passeggiata inventarmi una radiocronaca. Li colpì molto e mi fecero entrare, mi fecero fare  la  radiocronaca  in  zone  periferiche,  a  Campobasso  in  modo particolare  in  Molise.  In  occasione  di  una  gara  di  Coppa  Italia  tra  il Campobasso  appena  promosso in  Serie  B e  la  Fiorentina  vice campione d’Italia,  il  radiocronista  designato  per  quella  partita  non  poté  venire perché si ammalò, mi chiesero se volevo farla io, la feci, e da lì cominciò tutto.

Mi  chiamò  Mario  Giobbe  che  allora  era  responsabile dell’informazione sportiva nel girone B, piano piano mi fecero fare un po’ di esperienza nel basket, nella pallavolo, e piano piano sono arrivato dove sono  oggi.  Il  sogno  si  è  coronato  per  un  serie  di  fattori  imprevedibili, fortunati, e sono molto felice di questo.››

Ciotti e Ameri sono stati due suoi maestri, che cosa ha imparato da loro?  

‹‹Un’emozione  straordinaria  incontrare  Enrico  Ameri  e  Sandro  Ciotti, sono stati i miei maestri in assoluto. Anche se non insegnavano, ho rubato da loro i trucchi del mestiere, la loro frequentazione non è stata solo una scuola professionale ma una vera e propria scuola di vita.››

Com’è la preparazione di Riccardo Cucchi all’evento sportivo? Che cosa  studia?  

‹‹Su  questo  ho  preso  molto  da  quello  che  vedevo  fare  ai  grandi  del passato, allora i grandi del passato non andavano allo stadio con troppi  appunti,  ma  andavano  allo  stadio  con  piccole  cose  scritte  e  soprattutto cercavano di entrare in sintonia con la partita e di raccontarla sul piano delle emozioni e oltre che naturalmente sul piano tecnico, e io ho fatto così e continuo a fare così. Sono convinto che tutto ciò che è importante da dire nella  fase  di  preparazione  rimane comunque  nella memoria, tutto  quello che non ti rimane in mente vuol dire che non è davvero importante. Io non  arrivo allo stadio con un foglio pieno di appunti, arrivo con poche cose, quelle  essenziali  naturalmente,  e  soprattutto  mi  lascio  trasportare  dalla partita.  Credo  che  l’ascoltatore  della  radio  non  abbia  voglia  di  sentire troppe statistiche, troppi dati, troppi ricorsi storici, credo che abbi a voglia di  emozionarsi,  soprattutto  di  poter  vedere  attraverso  la  sua  fantasia quello  che  io  cerco  di  descrivere  nella  mia  voce,  quindi  serve  questo rapporto diretto che si instaura fra noi e gli ascoltatori che trasforma la mia emozione in un’emozione collettiva.››

Quali sono le differenze di ritmo tra cronaca sportiva in tv e in radio? 

‹‹Faccio  un  esempio  per  far  capire  la  differenza  tra  radio  e  televisione. Immagina  la  pagina  di  un  quotidiano  e  una  fotografia  stampata  lì  in  mezzo,  nella  fotografia  appare  una  didascalia,  la  didascalia  di  quella fotografia ti racconta l’essenziale, la guardi e ti dice quello che c’è dentro la foto. La telecronaca è una didascalia perché si ha gli occhi per vedere la  trasmissione.  Mentre  la  radio  è  il  racconto  della  fotografia,  devi raccontarla,  devi  raccontare  che  cosa  succede,  il  personaggio,  che  cosa sta facendo, da chi è circondato, da quali colori vi sono intorno a lui, in che  posto  si  trova,  quale  soglia  sta  varcando,  devi  raccontare  la fotografia. E questa è la radiocronaca.››

Racchiude ancora un retrogusto poetico la radio? Lascia sempre un velo intatto d’immaginazione? 

‹‹È questo il vero succo della radiocronaca. Noi dobbiamo fare in modo attraverso  il  nostro  racconto  che  si  introduca  nella  mente  del radioascoltatori il campo, le maglie, che si introduca la diversione degli attacchi, si attacca verso  destra, si attacca verso sinistra, facendo capire   dov’è la palla. Se tu mi dici che cos’è la radiocronaca? Io ti risponderò in questo  modo,  fondamentalmente  il  racconto  di  dov’è  la  palla,  perché l’ascoltatore  deve  poter  capire  attraverso  il  mio  racconto  dove  si  sta sviluppando  l’azione,  dove  il  pallone  sta  rotolando.  Ai  15  metri?  Nel cerchio  di  centrocampo?  All’altezza  del  lato  corto  dell’area  di  rigore? Nell’area  del  corner?  Sul  lato  destro?  Sul  lato  sinistro?  Bisogna raccontare questo. L’ascoltatore in questo modo se ha dei riferimenti dei tuo racconto, può visualizzare il campo ed essere al tuo fianco come allo stadio, introdurre nella sua mente attraverso il nostro racconto quella che è esattamente la fotografia della partita.››

Qual è stato l’evento sportivo che da speaker lo ha emozionato di più? 

‹‹Indubbiamente non posso che risponderti in un modo, avendo avuto io la grande opportunità di raccontare la finale mondiale tra Italia e Francia a Berlino  nel  2006  e  aver  avuto  anche  l’occasione  di  gridare  “Italia campione  del  mondo”.  Immaginerai  che  quella  è  stata  la  più  grande soddisfazione della mia vita, anche perché prima di me soltanto due volte Nicolò Carosio nel ‘34 e nel ’38, e una sola volta Enrico Ameri nel 1982 hanno avuto la possibilità di dire “Italia campione del mondo”. Essere la terza voce della radio a gridare “Italia campione del mondo”, è qualcosa che  ancora  oggi io  ci  penso  e  mi fa  venire la  pelle d’oca, pensa  che  un grande radiocronista come Sandro Ciotti non ha avuto questa possibilità, la finale che raccontò nel 1994 negli Stati Uniti Italia-Brasile purtroppo fu persa  dall’Italia. Ripeto, Carosio, Ameri, il  mio  modestissimo  nome Cucchi  affiancato  a  questi  grandi  giganti  della  parola  e  della  radio  è qualcosa di straordinario, che ancora oggi mi fa sentire i brividi lungo la schiena.››

E da ascoltatore qual è stato l’evento che lo ha emozionato di più? 

‹‹Dico una cosa che forse in pochi sanno. Enrico Ameri, oltre ad essere stato un grandissimo radiocronista di calcio e di ciclismo, è stato anche   uno  straordinario  radiocronista  di  eventi  che  avevano  a  che  fare  con  la conquista dello spazio. Se io ti dico la conquista della luna, tu ricorderai la  telecronaca  di  Tino  Scanio  in  televisione,  ma  contemporaneamente  a quella strepitosa telecronaca di Tito Scanio andata in onda in tv, Enrico Ameri  raccontava  l’allunaggio  dell’Apollo  attraverso  la  radio,  e  io  ero naturalmente  attaccato  alla  radio  e  ascoltavo  Enrico  Ameri  che raccontava  questa  straordinaria impresa  dell’equipaggio  americano  e  di tutta l’umanità, fu una radiocronaca emozionantissima.››

Quale  evento  sportivo  non  ancora  commentato  le  piacerebbe  fare  da speaker?  

‹‹Ho fatto tante finali di Champions, la prima fu nel 1996 Juventus-Ajax dove  i  bianconeri  vinsero  ai  calci  di  rigore,  quello  fu  un  periodo  molto fortunato con tre finali consecutive giocate dalla Juve, poi la finalissima di Manchester  quella  storica  ,  direi  epocale  tra  Milan  e  Juventus  dell’Old Trafford.  Ho  raccontato  tante  Olimpiadi  dal  1984,  poi  la  scherma,  il  canottaggio, l’atletica leggera per tanti anni, con la finale dei cento metri di  Ben  Johnson  che  poi  fu  cancellata  dalla  storia  perché  Johnson  fu trovato  dopato.  Diciamo  che  ne  ho  raccontate  molte.  Cosa  manca?  Beh  manca un titolo europeo per la nazionale italiana, ho raccontato la finale  di  Rotterdam  tra  Italia  e  Francia  che  finì  male  con  il  golden  goal  di Trezeguet. Mi manca un’Italia campione d’Europa…››.

 

Grazie maestro, rimarrà per sempre nelle nostre orecchie quel brivido che dal timpano riscaldata il cuore e ci faceva amare tremendamente le grigie domeniche che in pochi istanti di venivano un arcobaleno di gioia sportiva senza limiti.

Chapeau!

Category: Cultura, Sport

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