UNA BOTTEGA DI MEMORIE E IDENTITA’ GIOVANILI

| 21 Settembre 2013 | 0 Comments

 

A.C.A.I.T. – ex Azienda Cooperativa Agricola e Industriale di Tricase. Un’ex  fabbrica  di tabacco che per anni è rimasta vuota e dimenticata, ma che è  simbolo di memoria e unità.  E’ questo il tema del progetto Light Cube, un’installazione artistica composta da 6 cubi (in tutto 30 pannelli dipinti), che propone un viaggio immaginario tra passato, presente e futuro, seguendo un filo invisibile che li tiene legati insieme. Il legame è così forte che il passaggio logico da un cubo all’altro non mai è netto, e in ognuno di essi i tre periodi sono spesso compresenti o si richiamano l’uno all’altro. Tutto il “viaggio” è rischiarato dalla luce, simbolo di speranza.

Ispirato da storie ascoltate, lette nei libri o viste in vecchie fotografie, il primo cubo è dedicato all’A.C.A.I.T.  del passato, quando era un posto vivo e importante per l’economia della città.  Sono rappresentate le donne dedite alla lavorazione del tabacco nella sala grande dell’opificio. L’una affianco all’altra, legate spesso anche da profonda amicizia, condividevano segreti e gioie, ma anche  dolori e preoccupazioni: la vita sacrificata a un lavoro duro e spesso soggetto a un controllo dispotico, gli scioperi  e le manifestazioni di protesta culminate con 5 vittime.  Ad una di queste, Pietro Panarese, il ragazzino di soli 15 anni divenuto forse il simbolo delle morti di quegli anni, è dedicata una delle lastre del cubo.

Inoltre, nell’opera è raffigurata un’antica insegna di una tabaccheria, quell’insegna che è rimasta immutata nel tempo e ritroviamo tale e quale ai giorni nostri. Viene da pensare che, sebbene a Tricase il tabacco non si produca più, in molti Paesi del mondo, quelli più poveri, le condizioni dei lavoratori siano le stesse delle tabacchine di allora.

 

Il secondo cubo, dedicato al passato, mostra il ciclo di lavorazione del tabacco prima del suo arrivo al tabacchificio. Uomini e donne, ma anche bambini , ne raccoglievano le foglie e le mettevano al sole ad essiccare. Prima verde, poi gialla e infine marrone, la foglia cambia colore e da semplice pianta diventa un prodotto finito, che oggi come allora, attrae ingenti interessi economici. Ma i tempi cambiano e quegli interessi che hanno dato lavoro a molte famiglie tricasine, ora si sono spostati verso posti dove il costo della manodopera è più basso.

 

Il Terzo e il quarto cubo sono uniti dalla musica, forse l’unica cosa che siamo riusciti a conservare di quei tempi. Dalla “taranta”, il ballo popolare che, secondo la tradizione, veniva praticato per smaltire il veleno del ragno che mordeva le donne che lavoravano sedute nei campi durante la raccolta del tabacco, ai canti popolari che le tabacchine cantavano per allietare le dure giornate in fabbrica, la musica ricopriva un ruolo importante nella vita di quelle persone. Un’eredità culturale sopravvissuta al progresso, che troppo spesso, come una spugna, cancella il passato. E’ questo il tratto d’unione tra il passato e il presente, tra il terzo e il quarto cubo.  Ciò che prima era cantato mentre si lavorava, oggi viene suonato e ballato durante le feste: in un cubo sono rappresentati lavoratori, nell’altro ballerini e musicisti, accomunati da quella musica che è diventato ormai simbolo della cultura salentina. Nel terzo cubo sono rappresentati inoltre i ritratti di alcune  tabacchine realmente esistite, un omaggio alle loro persone.

 

In maniera analoga, il quinto cubo è dedicato ad altre attività del presente che in qualche modo raccolgono l’eredità di un passato sempre più dimenticato, cioè quelle attività artigianali che sfruttano ancora tecniche antiche. In quest’opera è forte la simbologia delle mani, presenti in ogni pannello: mani che modellano la ceramica, mani che creano oggetti di uso comune, mani che fanno la pasta. In un tempo in cui la macchina ha sostituito l’uomo, c’è gente che usa ancora le proprie mani per lavorare. Un’ altro simbolo presente è quello del gallo, simbolo della città, che compare anche su molti oggetti locali in ceramica.

 

Il sesto cubo è quello del futuro, con particolare riferimento all’ A.C.A.I.T., a come potrebbe essere e come potrebbe essere utilizzato per ridare alla struttura nuovo lustro. Uno spazio enorme, dalla grande importanza storica e simbolo del passato di Tricase, della sua gente. Sarebbe bello che tornasse a disposizione dei cittadini, che potesse dare nuovo slancio culturale a una città cresciuta molto negli scorsi decenni, ma forse un po’ carente di spazi pubblici per manifestazioni di tipo culturale: mostre, esposizioni, teatro, laboratori artistici, lezioni, luogo d’incontro per dibattiti e scambi d’idee, progetti. Un posto multifunzionale che dia la possibilità ai cittadini, ai giovani di arricchirsi culturalmente, perché è così che si costruisce il futuro.

 

 

 

 

Category: Cultura

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