Scuola Secondaria di 1° grado “Giuseppe Grassa” Mazara del Vallo Progetto POR SICILIA “Una Scuola a Colori”

| 14 Agosto 2014 | 0 Comments

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Dispensa didattica

Parliamo di immigrazione:

parole, dati e attività didattiche

A cura di Alessandro La Grassa

L’importanza sociale e politica dell’immigrazione e dell’asilo è cresciuta costantemente nel corso degli ultimi due decenni, durante i quali abbiamo assistito ad un aumento continuo dei flussi migratori (immigrati, richiedenti asilo e rifugiati) in tutto il mondo. Al contempo hanno continuato a manifestarsi sempre più episodi di discriminazione, xenofobia e razzismo, causando tensioni all’interno delle comunità.

Man mano che le società europee assumono un aspetto sempre più multiculturale, si avverte la necessità di accrescere la consapevolezza dei molti motivi per i quali le persone scelgono di o sono costrette a lasciare il proprio Paese; tale consapevolezza può contribuire a promuovere il rispetto per la diversità ed a favorire la coesione sociale. In particolare, dobbiamo educare i giovani, che saranno i responsabili delle decisioni di domani, ma le cui opinioni in materia di immigrazione e di asilo non sempre si basano su elementi fondati ed obiettivi.”*

* (Manuale dell’insegnante ‘Non Solo Numeri’ kit educativo su Immigrazione e Asilo Politico in Europa, edito da OIM  e UNHCR, Bruxelles 2009)

 

 

 

 

 

Introduzione

Nel corso della storia, le persone hanno spesso deciso di spostarsi nella speranza di migliorare la propria vita, garantire alle proprie famiglie ed ai propri figli delle opportunità migliori, sfuggire alla povertà, alle persecuzioni, alla precarietà e alle guerre.

Col mutare della società europea, sempre più multiculturale e diversificata, i problemi legati all’immigrazione e all’asilo politico sono entrati sempre più a far parte della nostra vita quotidiana, determinando problemi e sfide sempre nuove ma anche un continuo arricchimento per la società stessa.

 

Ma fino a che punto riusciamo a capire questi problemi, e perché sono così importanti?

 

Per dare qualche risposta a queste domande, nell’ambito del progetto “La Scuola a Colori”, abbiamo pensato che fosse utile mettere a disposizione degli insegnanti una dispensa che abbia l’obiettivo di stimolare un dibattito aperto ed informato su temi tanto importanti e complessi.

 

 

Cominciamo dal vocabolario:

 

 

Che vuol dire immigrato?

Il termine è solitamente utilizzato per descrivere qualcuno che decide liberamente di trasferirsi in un’altra regione o Paese,  per ottenere migliori condizioni materiali o sociali.

 

Che differenza c’è fra immigrato ed emigrato?

Si parla di immigrati quando ci riferiamo a persone che arrivano nel nostro Paese, mentre si parla di emigrati quando ci riferiamo agli italiani che decidono di trasferirsi in altri paesi del mondo. Per definire in generale una persona che decide di andare a vivere in un altro paese, si può usare il termine più generico di migrante.

 

 

Altre definizioni utili:

 

Migranti irregolari o clandestini

Il termine migrante irregolare o clandestino è utilizzato per descrivere qualcuno che non possiede lo status giuridico richiesto o i documenti di viaggio necessari ad entrare in un paese o a stabilirvisi

 

Rifugiati

La Convenzione di Ginevra del 1951 descrive i rifugiati come “persone che vivono al di fuori del loro paese di nazionalità o di residenza abituale, ed hanno un “timore fondato di  persecuzione a causa della loro razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinioni politiche, e sono incapaci di, o, a causa di tale timore, non disposti ad avvalersi della protezione di tale paese”. Le persone che fuggono dai conflitti o dalla violenza in generale sono anche considerati come rifugiati. Essi non ricevono alcuna protezione dal loro stato di origine; al contrario, è spesso il loro governo che minaccia di perseguitarli.

 

Richiedenti Asilo:

Persona straniera che ha fatto richiesta di asilo (ospitalità nel nostro Paese) ed attende che questa venga accettata o meno.

 

Minori non accompagnati

I minori non accompagnati sono ragazze e ragazzi sotto i 18 anni di età, di origine straniera, separati da entrambi i genitori e non accuditi da alcun adulto responsabile per legge o convenzione.

I minori non accompagnati possono essere sia rifugiati che richiedenti asilo o migranti e sono particolarmente vulnerabili allo sfruttamento. I diritti dei minori non accompagnati sono protetti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo del 1989.

 

Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina

. Il favoreggiamento può essere basato sullo sfruttamento e spesso si rivela estremamente pericoloso, talvolta fatale, ma non è coercitivo, come la tratta di esseri umani. In molti paesi, compresa l’Italia, è considerata un reato.

 

Tratta di esseri umani

Rapimento, trasporto, trasferimento, occultamento o ricezione di persone per mezzo di minacce, atti di violenza o altre forme di coercizione. La tratta di esseri umani è perlopiù finalizzata allo sfruttamento sessuale, o allo sfruttamento della  manodopera. La tratta viola i diritti umani e include il rapimento, la frode, l’inganno e l’abuso di potere o l’abuso di qualcuno in una situazione di vulnerabilità.

 

Integrazione

L’integrazione è il processo mediante il quale migranti e rifugiati sono inseriti nella società. L’integrazione si basa sulla ricerca di un equilibrio tra il rispetto dei valori culturali originari e le identità dei migranti e dei rifugiati e la nascita di un senso di appartenenza da parte dei nuovi arrivati (basato sull’accettazione dei valori fondamentali e delle istituzioni della comunità o del Paese ospitante). Il processo di integrazione coinvolge tutti gli aspetti della vita di una società e sia i nuovi arrivati che la comunità ospitante giocano un ruolo importante.

 

 

 

 

UNA STORIA IN PILLOLE DELLE MIGRAZIONI NEL MONDO

 

I più famosi “via vai” della storia:

 

–       Gli uomini primitivi si sono mossi in cerca di terreni fertili, ricchi di vegetazione e di animali. Oppure cacciati dai disastri naturali, dai conflitti con altre tribù.

 

–       Il primo grande flusso di emigranti è partito dalla Rift Valley, nel cuore della savana africana, diretto in Asia, Europa e perfino in America (fra 1 milione e 500.000 anni fa).

 

–       Il continente europeo ha ricevuto le prime visite delle popolazioni asiatiche e africane verso la fine dell’ultima glaciazione (circa 10.000 anni fa)

 

–       Gruppi indoeuropei giunsero nell’Europa centrale 2000 anni a.C. fondendosi con gli abitanti locali.

 

–       Verso il 1200 a.C. avvenne la travagliata fuga degli ebrei dall’Egitto di Rames II verso la Palestina, raccontata nel libro dell’Esodo (= uscita).

 

–       Dal 350 d.C., le ondate dei “barbari” (Ostrogoti, Visigoti, Unni, Ostrogoti, Svevi) e le incursioni degli arabi (dopo la morte di Maometto, 632) rivoluzionarono la geopolitica europea, mescolando le etnie già presenti sul territorio.

 

–       Nel 1700, a sua volta, l’Europa incominciò ad esportare in modo massiccio i suoi cittadini verso l’America, sulla scia di grandi esploratori (Colombo, Magellano, Vespucci): circa 40 milioni da 1820 al 1914, di cui 7 milioni italiani (questi numeri andrebbero ricordati ai moderni movimenti xenofobi). La città di Sydney è nata nel 1788 sulla base di una colonia di pericolosi carcerati, deportati dagli inglesi nella baia australiana.

 

–       Lo sviluppo industriale del secolo scorso, le due guerre mondiali, la caduta del muro di Berlino (1989) hanno favorito i flussi migratori dalla campagna alla città. Gli anni ’70 hanno registrato il boom dei rifugiati (da 5 a 15 milioni): 2 milioni di cambogiani, vietnamiti e laotiani diventarono boat people (il popolo delle barche).

 

–       I regimi dittatoriali, la fame, i disastri ecologici, i genocidi, la mancanza di lavoro, movimentano i moderni esodi da diversi punti del Pianeta.

 

 

 

 

Perché arrivano gli immigrati in Italia?

 

Gli anni ‘70, ’80 e’90 del secolo scorso hanno visto l’arrivo di un numero consistente di richiedenti asilo e rifugiati, in fuga dai conflitti e dalla violazione dei diritti umani perpetrati in molte parti del mondo. Negli anni 90, con la caduta del muro di Berlino, l’emergere del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e della tratta di persone ha generato un flusso di immigrati e rifugiati irregolari, creando una situazione estremamente delicata. Man mano che l’Italia e l’Unione Europea hanno intensificato i controlli alle frontiere, è diventato sempre più difficile per rifugiati e migranti raggiungere l’Europa. Oggigiorno, questi devono percorrere strade alternative, spesso molto più pericolose, per entrare nell’UE.

 

Molti stranieri giungono oggi in Italia come lavoratori immigrati per colmare una carenza di manodopera e trovare opportunità economiche migliori o per un ricongiungimento familiare.

 

Inoltre l’Italia, ancor più che il resto d’Europa, è un paese in cui nascono pochi bambini, e quindi la popolazione nazionale tende a invecchiare. Per questo si prevede che anche nei prossimi anni l’immigrazione sarà indispensabile per colmare questo carenza demografica.

 

Molti lavoratori immigrati svolgono lavori non specialistici che la popolazione locale non è disposta a fare; dal lato opposto, lavoratori altamente qualificati vengono assunti per ricoprire ruoli in aree in cui la manodopera locale è carente.

 

Oggi, molti migranti arrivano in Europa anche per altri motivi, ad esempio per ragioni di studio o per turismo, che li portano a restarvi per lunghi o brevi periodi di tempo o a stabilirvisi per sempre. Al contempo, i paesi europei continuano ad ospitare profughi e richiedenti asilo in fuga da guerre e persecuzioni e ad offrire loro protezione.

 

 

 

Perché molti immigrati sono clandestini?

Le possibilità di immigrazione legale in Italia e in Europa sono limitate; per coloro che non rientrano in categorie specifiche (in possesso, ad esempio, di un visto di lavoro), ma hanno l’assoluta necessità di emigrare per ragioni economiche, sociali o di altra natura, la migrazione irregolare può apparire come l’unica opzione. In molti casi, i migranti che cercano di raggiungere l’Europa entrano nella UE per vie legali (ad esempio come turisti o studenti), ma vi rimangono anche dopo lo scadere del visto o del permesso d’ingresso. Coloro che invece non riescono ad entrare in questo modo, utilizzano rotte sempre più pericolose nel tentativo di raggiungere l’Italia. Tra le rotte migratorie irregolari più comuni verso l’UE vi sono l’attraversamento del Mare Adriatico o del Mediterraneo in barca, o l’ingresso attraverso il confine orientale, per esempio nascosti in camion. I migranti irregolari spesso non sono del tutto consapevoli, prima di partire, dei pericoli e delle condizioni di viaggio o della realtà che dovranno affrontare all’arrivo. Per alcuni affrontare il rischio calcolato di viaggiare verso l’Italia e l’Europa attraverso rotte irregolari è l’unico modo per mantenere viva la speranza di una vita migliore.

Negli ultimi tempi, gli Stati membri dell’UE hanno prestato maggior attenzione per impedire l’immigrazione irregolare e rafforzare i controlli alle frontiere. Tutto ciò ha portato alcuni critici a definire l’UE ’Fortezza Europa’, sostenendo che i controlli sono eccessivi rispetto alla situazione effettiva.

 

 

 

Quanti sono gli immigrati in Italia?

In Italia nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, su 22.182.000 di residenti, gli stranieri erano 89mila, appena uno 1 ogni 250 (incidenza dello 0,4%) e rivestivano posizioni socio-occupazionali ragguardevoli.

Il fenomeno dell’immigrazione in Italia è esploso dopo la caduta del muro di Berlino (1989), con l’arrivo di diverse migliaia di persone provenienti dai paesi ex comunisti (Albania, Jugoslavia, Romania, Polonia, etc), e nello steso tempo sono aumentati gli arrivi dai paesi del Nord Africa (Marocco, Tunisia, Egitto, etc).

Al 31 dicembre 2010, su 60.626.442 residenti nel Paese, i 4.570.317 stranieri (per il 51,8% donne) incidono sulla popolazione per il 7,5% (52 volte di più rispetto al 1861) ed esercitano un ruolo rilevante nel supplire alle carenze strutturali a livello demografico e occupazionale.

 

Da dove arrivano?

Se guardiamo alla provenienza degli immigrati, i cittadini stranieri più numerosi in Italia sono: Rumeni 968.576; Albanesi 482.627; Marocchini 452.424; Cinesi 209.934

La ripartizione territoriale degli immigrati in Italia è la seguente: Nord Ovest 35,0%; Nord Est 26,3%; Centro 25,2%; Sud e Isole 13,5%.

 

In Sicilia al 1° gennaio del 2011 erano presenti 142.000 stranieri e i gruppi più rappresentati erano: Rumeni (circa 40.000), Tunisini (circa 17.000), Marocchini (circa 13.000)

 

 

 

 

Di che religione sono gli immigrati in Italia?

 

Per questa domanda non esistono dati certi. La stima delle appartenenze, curata annualmente dal Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes, si basa infatti sul presupposto che gli immigrati provenienti da un determinato paese ne rispecchino sostanzialmente anche la ripartizione per gruppi religiosi, così come si può desumere da opere specialistiche pubblicate sia in Italia che a livello internazionale.

Secondo questa stima, al 31 dicembre 2010 tra i 4.570.317 stranieri residenti in Italia vi sono 2.465.000 cristiani (53,9%), 1.505.000 musulmani (32,9%), 120.000 induisti (2,6%), 89.000 buddhisti (1,9%), 61.000 fedeli di altre religioni orientali (1,3%), 46.000 che fanno riferimento alle religioni tradizionali, per lo più dell’Africa (1,0%), 7.000 ebrei (0,1%) e 83.000 (1,8%) appartenenti ad altre religioni. Si aggiungono 196.000 immigrati (4,3%) classificati come atei o non religiosi, in prevalenza provenienti dall’Europa e dall’Asia (dalla Cina in particolare).

I cristiani al loro interno sono così ripartiti: 1.405.000 ortodossi, 876.000 cattolici, 204.000 protestanti e 33.000 che fanno parte di altre comunità cristiane.

 

 

 

 

 

Alcuni luoghi comuni sugli immigrati

 

Gli immigrati commettono più crimini degli italiani?

 

No, basta guardare i dati dell’ISTAT, del Ministero di Giustizia, e del Ministero degli Interni, dai quali appare chiaramente che il problema più grave in Italia non è la “criminalità di strada”, ma la grande criminalità organizzata (mafia, camorra, ndrangheta, etc), invece paradossalmente il vero allarme sociale punta sui piccoli crimini. E’ determinante valutare che ad esempio il 92 % dei furti rimangono a carico di ignoti e quindi il problema è individuarne gli autori più che inasprire le pene. In generale emerge che gli stranieri rappresentano il 30,2% della popolazione carceraria. Ma è vero anche che i detenuti italiani riescono ad usufruire in misura molto più elevata degli stranieri delle misure alternative alla detenzione (percorsi di rieducazione e inserimento lavorativo, etc)  Secondo i dati ISTAT del 2005 i reati commessi dagli immigrati rappresentano infatti il 19,2% del totale di tutti i reati commessi in Italia.

In genere i reati più frequenti commessi dagli stranieri sono quelli relativi alle leggi sull’immigrazione, alla prostituzione, e allo spaccio di droghe.

Ma in ogni caso, sempre guardando i dati ISTAT, emerge chiaramente che gli stranieri denunciati nel 2005 (ultimo anno disponibile) erano appena il 4% dell’intera popolazione straniera presente in Italia.

 

 

Gli immigrati sono portatori di malattie?

 

Gli immigrati in genere non presentano patologie particolari e non sono portatori di temibili malattie tropicali.

Secondo un rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità del 2010, spesso gli immigrati clandestini si ammalano in Italia per le precarie condizioni di vita, e perché temono che andando in ospedale possano essere poi denunciati ed espulsi dall’Italia. Negli ultimi anni, data la crescente difficoltà a entrare nei Paesi Europei, capita sempre più spesso che gli immigrati irregolari si ammalino durante il viaggio (che a volte può durare anche mesi e in condizioni molto pesanti).

Le patologie più presenti sono l’alcolismo (soprattutto fra gli immigrati dei Paesi dell’Est) o disturbi psichici derivanti dalla loro situazione di sradicamento o malattie sessuali, dovuti quasi sempre allo stato di degrado. Inoltre a volte può capitare che la differenza di alimentazione con i paesi di origine provochi per qualche periodo, qualche malattia all’apparato digestivo. I problemi sanitari degli immigrati, soprattutto quelli appena arrivati, sono a volte complicati dal fatto che non sempre trovano strutture mediche e ospedaliere preparate ad accogliere stranieri, che magari non parlano ancora bene la nostra lingua. Migliorando la nostra capacità di integrare gli immigrati, diminuiranno anche le malattie, o almeno si potrà intervenire prima per curarle.

 

Come si parla degli immigrati alla televisione e sui giornali?

 

Le parole più frequenti quando si parla di immigrazione in televisione, o sui giornali sono sempre le stesse. Di alcune abbiamo già parlato in precedenza, proviamo ora a vedere come vengono usate queste altre due parole:

–       Emergenza

–       Sbarchi

Queste parole, quasi delle formule, sono usate in modo ripetitivo ormai da molti anni, e probabilmente hanno avuto un ruolo determinante nel convincere molte persone che ci sia il rischio di una vera e propria “invasione”. Spesso però le cose non sono proprio come vengono descritte.

Per esempio:

Se si parla di “emergenza” in genere vuol dire che abbiamo a che fare con qualcosa di inatteso, che è difficile da gestire e che ha una durata limitata. Ma come abbiamo visto il grosso degli immigrati è arrivato già nei primi anni ’90, quindi il fenomeno ha ormai più di 20 anni. Non può più essere considerato un’”emergenza” (come ad esempio un terremoto) ma un fenomeno stabile che molto probabilmente durerà ancora a lungo.

 

Per quanto riguarda la parola “sbarchi”: la maggior parte degli immigrati irregolari, non arriva via mare. Secondo il Ministero dell’Interno, “Rapporto criminalità 2007”, gli “sbarchi” riguardano solo il 12% circa di tutti gli immigrati irregolari. Tutti gli altri (l’88 %) entrano dalle frontiere del Nord Italia. Eppure a guardare i giornali e la televisione sembra che il problema siano soltanto le “carrette del mare” che arrivano a Lampedusa. Invece la maggior parte degli immigrati (circa il 60%) viene in Italia con il “visto turistico” e poi decide di rimanere, anche clandestinamente.

 

Quattro attività didattiche per capire meglio

 

1) Conoscete qualche ragazzo figlio di immigrati? Ce ne sono nella vostra classe? Vorreste provare a intervistare il padre o la madre per capire meglio perché hanno deciso di venire in Italia e come hanno fatto? Con un gruppo di vostri compagni e con l’insegnante decidete quali domande volete fare e poi realizzate l’intervista.

 

2) Avete qualche parente o conoscente italiano che sia emigrato all’estero (Germania, Stati Uniti, etc)? provate a fare anche a lui le stesse domande che avete fatto alla famiglia dell’immigrato e poi confrontate le risposte con tutta la classe.

 

3) Fate una ricerca sulla situazione economica di uno dei paesi di provenienza degli immigrati (es. la Tunisia) e provate ad approfondire:

a) il cambio fra la moneta di quel paese e l’euro (quanto vale la moneta di quel paese rispetto all’euro?)

b) quali sono gli stipendi medi di … (es. un professore, un poliziotto, un operaio, un impiegato, etc) e confrontateli con quelli italiani

c) quanto costano i beni e i servizi di maggior consumo (es. il pane, il latte, la carne, un paio di jeans, un biglietto del cinema, una confezione di medicine, l’iscrizione a scuola, etc) in quel paese e in Italia

Una volta effettuata la ricerca riportate tutto su un cartellone e discutetene con i vostri compagni. Svolgendo queste attività sarà più facile capire perché cosi tanta gente nel mondo ha deciso di emigrare

 

4)  Un articolo da leggere e discutere in classe

Il cambiamento inarrestabile del Sud del Mediterraneo

di Giuliana Sgrena*

 

 

 

 

 

Le rivolte che negli ultimi mesi hanno cambiato i regimi del sud del Mediterraneo e del Medio Oriente non erano così inaspettate come si è ritenuto in Occidente.
Da anni covava un profondo malessere economico-sociale e anche un forte senso di soffocamento prodotto dalla repressione di dittature al potere da decenni. Negli ultimi anni i vari Paesi dell’area – soprattutto del Nord Africa – sono stati teatro di grandi manifestazioni dell’opposizione contro i regimi, di scioperi che rivendicavano migliori condizioni di lavoro, e di proteste sociali per la carenza di servizi di prima necessità.
Il sacrificio di Mohammed Bouazizi, il giovane tunisino di Sidi Bouzid che si è dato fuoco perché non poteva guadagnarsi da vivere vendendo i prodotti della sua terra per mancanza di permessi, è stata la scintilla che ha fatto esplodere una situazione già incandescente.
La rivolta è partita dal centro della Tunisia ma ha raggiunto presto la capitale per poi propagarsi in tutti gli altri Paesi arabi, nessuno escluso, anche se con diversa intensità e con differenti reazioni dei regimi al potere. Non ha invece per ora toccato Paesi non arabi, come l’Iran, dove tuttavia una protesta era nata prima ed è tuttora latente.
La rivolta, che in alcuni casi si è trasformata in rivoluzione, secondo la definizione degli stessi protagonisti, è partita da problemi economici e sociali ma si è subito trasformata in una ribellione con obiettivi politici.

 

Dalla protesta economica alla rivolta politica

La base di partenza è la povertà: i beni di prima necessità sono sempre più costosi a causa dell’aumento dei prezzi sui mercati internazionali e non è sufficiente chealcuni governi siano intervenuti per calmierare i prezzi, soprattutto dei beni alimentari. Povertà e precarietà: la maggior parte dei giovani – parliamo di Paesi dove circa il 70 % della popolazione è sotto i trent’anni – non ha un lavoro e nessuna prospettiva per il futuro. Si tratta spesso di giovani diplomati e laureati, per i quali l’aspettativa di una condizione di vita migliore è cresciuta rispetto al passato, quando mancava l’istruzione. Con l’istruzione è aumentata anche la coscienza dei propri diritti e la convinzione che non ci potrà essere giustizia sociale senza giustizia politica, ossia la democrazia.
La rivolta è quindi passata da rivendicazione sociali – il lavoro, innanzitutto – a rivendicazioni politiche: dignità, giustizia, libertà, democrazia. E queste sono le richieste avanzate in tutti i Paesi arab,i realizzabili solo con la fine delle dittature al potere. “Dégage”, “vattene” ,è lo slogan più diffuso nelle rivolte e che ha fatto presa anche nei Paesi non-francofoni.

 

Caratteri comuni delle rivolte

Quali sono i punti in comune delle varie rivolte? Innanzitutto la spontaneità della protesta, che non vuol dire spontaneismo. Le convocazioni delle manifestazioni sono passate attraverso i social network, che hanno permesso di aggirare la censura dei regimi, e si sono poi diffuse attraverso il passaparola.

La rivolta è partita dai giovani ma ha coinvolto tutta la popolazione, senza divisioni di classe o di sesso. Le donne sono protagoniste delle lotte, come lo sono state spesso in passato; tanto che le rivendicazioni di genere sono quelle che evidenziano il carattere moderno e laico di questi movimenti. Le donne non rivendicano ‘quote rosa’, ma la parità.
Si tratta poi, con l’eccezione della Libia, di movimenti non violenti. Il che non vuol dire che non ci siano state vittime, ma la non violenza è una scelta di campo risultata vincente. In Libia invece la scelta di una rivolta, quasi subito militarizzata (non solo armata, ma anche senza rispetto dei diritti umani tra gli stessi libici), ne ha segnato l’evoluzione: intervento della Nato, preannunciata imposizione della sharia (legge coranica), ecc.
Le rivolte, senza leader e senza ideologie, sono state essenzialmente laiche (senza slogan religiosi) ma gli islamisti, assenti in una prima fase (tranne in Libia), hanno poi cercato, riuscendo, di inserirsi negli spazi aperti da un processo di democratizzazione ancora in corso e irto di ostacoli.

 

Un mutamento rapido e irreversibile

Il contagio è partito dalla Tunisia e si è allargato a tutti i Paesi arabi perché per la prima volta è stato superato quel ricatto imposto dai regimi dittatoriali secondo i quali la scelta era tra dittatura laica o teocrazia islamica. La rivoluzione tunisina (in questo caso, come in Egitto, visto che è stato  abbattuto un regime, si può parlare di rivoluzione) ha vinto la paura e se la Tunisia è riuscita a cacciare Ben Ali in un paio di settimane, gli altri popoli arabi si sono resi conto che forse anche per loro un cambiamento non era impossibile.
L’evoluzione delle varie situazioni dimostra che i risultati più rapidi si sono avuti dove gli eserciti hanno appoggiato la rivoluzione, anche se il ruolo dell’esercito può essere controproducente per la democrazia, come si può constatare in Egitto. In altri Paesi l’esercito è ancora schierato con il potere e reprime le richieste di libertà (Siria, Yemen, ecc.) o addirittura l’intervento di truppe straniere contribuisce alla repressione (le truppe saudite in Bahrein). Nonostante i tentativi di evitare il contagio perfino il regno saudita comincia ad essere intaccato dalle rivolte, a partire dalle rivendicazioni delle donne. E sarà l’affermarsi o meno delle rivendicazioni delle donne a garantire ovunque l’evoluzione del processo democratico e il successo della Primavera araba.

*Giornalista, esperta del mondo arabo, sul quale ha scritto diversi testi, tra cui il recente Il ritorno. Dentro il nuovo Irak

 

 

Fonti:

ISTAT 2011 Stranieri residenti in Italia

Manuale dell’insegnante ‘Non Solo Numeri’ kit educativo su Immigrazione e Asilo Politico in Europa, edito da OIM (Organizzazione Internazionale Dei Migranti) e UNHCR (Alto Consiglio Per I Rifugiati Delle Nazioni Unite), Bruxelles 2009

Rapporto Caritas – Fondazione Migrantes, Roma 2011

Rapporto CESPI su immigrazione  “Brevi note sull’immigrazione via mare in Italia e in Spagna”,  Roma 2007

Rapporto Istituto Superiore di Sanità “Immigrati e zingari: salute e disuguaglianze”, 2003

La Repubblica, articolo “Immigrati, la salute è più fragile in Italia Per condizioni di vita e integrazione difficile”  dell’11 giugno 2010

 

 

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