DEMANSIONAMENTI E TRASFERIMENTI, ALTRI PERICOLOSI STRUMENTI DI POTERE MESSI NELLE MANI DEI DATORI DI LAVORO DALLA RIFORMA DEL GOVERNO RENZI

| 30 Giugno 2015 | 0 Comments

di Stefania Isola_____* ( avvocato – presidente Asso – Consum Lecce)______

Chi pensava che le nuove norme sul “controllo a distanza” dei lavoratori fossero il massimo che il Governo Renzi potesse immaginare, non aveva visto ancora niente.

Le nuove regole sancite dal Governo in virtù della legge delega sulla riforma del lavoro (l. n. 183/2014 – Jobs Act) mettono, infatti, nelle mani dei datori di lavoro un grandissimo potere: quello di poter cambiare unilateralmente e in piena autonomia le mansioni dei dipendenti, senza la necessità di accordi sindacali o apposite previsioni dei contratti collettivi, laddove siano in corso cambiamenti organizzativi.

Il nuovo art. 2103 c.c., già pienamente operativo, recita, infatti, che “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale”; con questo si intende senz’altro ricomprendere le ipotesi in cui l’impresa debba:

• affrontare o gestire processi di crisi,

• ristrutturazioni o riorganizzazioni dell’azienda o di singole unità,

• ri-articolazioni organizzative della stessa o riconversioni dell’apparato tecnico-organizzativo-produttivo,

• soppressione di posti di lavoro o riconversione delle mansioni

o, infine,

• tutti i casi che richiedano, per il soddisfacimento di obiettive esigenze aziendali, interventi di modifica di assetti organizzativi macro o microstrutturali dell’azienda.

I soli limiti cui andrà incontro il datore di lavoro nell’operare il demansionamento saranno principalmente due:

– la comunicazione per iscritto, a pena di nullità, del mutamento della mansione (e senza possibilità di scelta per il lavoratore, se vuole conservare il posto di lavoro);

– la conservazione, da parte del lavoratore, della retribuzione goduta, “fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa”.

Ciò significa che, ad esempio, se la vecchia mansione prevedeva trasferte o indennità varie che facevano lievitare la retribuzione, il lavoratore non ne avrà più diritto, assistendo quindi inerte alla diminuzione del proprio stipendio.

Altre ipotesi di demansionamento, specifica la norma, possono essere previste anche dai contratti collettivi e tramite accordi individuali, stipulati “nelle sedi di cui all’art. 2113, quarto comma, c.c. o avanti alle commissioni di certificazione”, prevedendo per il lavoratore soltanto il diritto di farsi assistere da un rappresentante sindacale, da un avvocato o da un consulente del lavoro.

Per contro, invece, il lavoratore avrà diritto alla maggiore retribuzione derivante dall’assegnazione a mansioni superiori, che diventerà definitiva, a meno che non sia stata disposta per sostituire un collega.

Non si tratta, tuttavia, del classico “bastone e carota”, visto che il nuovo art. 2103 c.c. prevede che l’assegnazione diventa definitiva, “dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi”, in luogo dei tre previsti sinora dall’art. 6 della l. n. 190/1985, abrogato dal decreto.

Ma c’è di più.

L’art. 3 del decreto attuativo del Jobs Act legittima anche il trasferimento del lavoratore da un’unità produttiva all’altra, in caso di “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.

Concludendo, quindi, va sottolineato che pur condividendo l’intervento di riforma (di cui all’art.3 del D.Lgs. n.81/2015) nella parte in cui si appalesa finalizzato a consentire alle imprese una mobilità professionale delle risorse umane che comporti assegnazione a mansioni di livello inferiore (o, addirittura, riconoscimento di livelli di inquadramento e di retribuzione inferiori nelle ipotesi previste dalla norma stessa), si augura che la norma dell’art.3, secondo comma, del D.Lgs. n.81/2015 non diventi un pretesto da parte di imprenditori poco corretti per assumere provvedimenti del tutto arbitrari o pretestuosi di “sradicamento” di lavoratori dalla loro area professionale di appartenenza, provvedimenti che ora sarebbero, comunque, legittimati dall’art.3 del D.Lgs n.81/2015.

Solo il tempo, quindi, darà contezza della capacità degli imprenditori di utilizzare la norma in modo “corretto”, ovverosia di gestire la mobilità professionale in modo da coniugare il soddisfacimento delle obiettive esigenze aziendali di modifica dei propri assetti organizzativi con le esigenze dei lavoratori interessati al nuovo riassetto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Category: Costume e società

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