PENNA, DI CHITARRA, A…SFERA. E BASTA! / CERCHIAMO DI CAPIRE LA TRAP, IL FENOMENO MUSICALE CHE – DEL TUTTO IGNOTO AI PIU’ – SPOPOLA FRA I GIOVANISSIMI

| 7 Marzo 2018 | 0 Comments

di Roberto Molle______

In principio fu il punk, che come un’onda sismica si abbatté sul rock degli anni Settanta reo di adagiarsi su territori diventati troppo convenzionali per un genere che appena vent’ anni prima aveva rivoluzionato il concetto di musica. I contraccolpi dati da quella generazione di musicisti che si identificavano in una sottocultura che viaggiava sul soffio di venti incuneatisi tra Stati Uniti e Gran Bretagna, hanno condizionato direttamente, o indirettamente, la produzione musicale mondiale degli ultimi quaranta anni.

 

Questo per dire che, in termini di “natura” musicale più che in altri ambiti, il rinnovamento avviene dall’ interno o, per meglio dire dal basso.

La musica cambia pelle e si rinnova forse meno velocemente di un serpente, ma è vitale che lo faccia, pena il suo invecchiamento irreversibile.

E sono così veloci e repentini certi mutamenti o evoluzioni che dir si voglia, che spesso sfuggono alla conoscenza della stragrande maggioranza dei melomani concentrati (o ripiegati) sui loro ascolti, ancorati alle colonne sonore della loro gioventù, identificate come classic rock, easy listening, vintage, blues e mainstream di ogni genere, senza escludere quelli che sono reputati ascolti “più moderni”, come il Techno, l’hause, la Trance.

Venendo al sodo, vogliamo parlare della Trap, questo genere che sta spopolando ormai da un po’ anche in Italia seminando sconcerto e preoccupazione tra gli adulti e facendo incetta di fans tra gli ascoltatori dai quindici anni in giù? Parliamone, allora.

Trap deriva dalla contrazione delle parole trash e rap, almeno secondo alcuni; per altri, Trap deriva da trap house, che sta ad identificare un appartamento abbandonato dove gli spacciatori americani preparano e spacciano sostanze stupefacenti.

Sviluppatosi negli Stati Uniti tra gli anni Novanta e il Duemila, questo genere si confronta con ambienti e tematiche relative a quelle della droga.

Non sense, ironia e irriverenza sono gli ingredienti della Trap, una musica caratterizzata da aggressive basi elettroniche, dall’uso – spesso smodato – dell’Autotune (un software usato per manipolare la voce) e suoni di ogni tipo e natura.

I temi trattati sono sempre più o meno gli stessi in ogni brano: droga, alcol, soldi, la vita di strada vissuta in prima persona dagli stessi artisti.

In Italia, la Trap ha iniziato a girare nel 2016 con i successi di un venticinquenne, tal Sfera Ebbasta (nella foto), che nelle sue canzoni raccontava la difficile vita di spaccio e violenza sotto i palazzi popolari della sua città (di lì a breve avrebbe vinto un disco d’oro col suo omonimo album). Altri nomi di trappers famosi tra i teen agers italiani e sconosciutissimi ai loro genitori sono: Marracash, Lukè, Gué Pequeno, Ghali, Tedua, Izi, Rkomi, e la lista potrebbe continuare per un bel po’.

Artefice del successo di alcuni di loro è il produttore Charlie Charles (italianissimo, non confonda il nome), anche lui “musicista” Trap.

Il successo della trap in Italia è dovuto essenzialmente a due motivi”, spiega Paula Zukar (manager dei rappers Fabri Fibra e Marracash: “il primo è la noia della musica italiana che con i suoi testi d’amore sempre uguali non riesce a rinnovarsi. Il secondo è che la trap è la colonna sonora di Instagram, è adatta a fare da sfondo alle Stories. È un genere che non richiede troppe capacità tecnico artistiche. Però, come il punk, è una fotografia del disagio contemporaneo. Usa parole vuote che servono a sottolineare il vuoto, la mancanza di tempo, l’estrema brevità e superficialità del mondo in cui queste stesse canzoni vengono ascoltate. You Tube, Spotify… tutto gratis, tutto veloce… ma vuoi anche il messaggio?”.

Sempre riferendosi alla trap, Zukar continua con impietosa lucidità: “la trap è un fenomeno che non guarda al futuro, non so se ha davanti un orizzonte. I ragazzi che la fanno non si pongono il problema. Sono giovanissimi e hanno un atteggiamento del tipo: non mi interessa il domani, sono orgoglioso di essere ignorante, spendo tutto in brand di lusso. E forse è anche questa la loro forza. È un atteggiamento contro i vecchi che non mollano e non lasciano spazio ella società italiana. Ma in realtà ci sono artisti come Tedua e Sfera Ebbasta che usano le parole in modo attento e affascinante, e veri ignoranti non sono… non so se siano poeti, però contribuiscono a rendere questa scena molto interessante”.

Insomma, la trap è una musica specchio dei tempi.

Una ventina di anni fa Giovanni Lindo Ferretti, cantante di CCCP, CSI e PGR, a chi lo accusava di fare musica cupa e triste, rispondeva che lui si limitava a fare la musica che l’attualità gli ispirava.

Ascoltandole le canzoni di Sfera Ebbasta e dei suoi “colleghi cantautori” – per dirla con un Guccini d’annata – non si può fare a meno di restare affascinati da tessiture sonore ineccepibili, basi elettroniche delicate e da un cantato che diffonde una malìa che trasporta come il suono di un pifferaio magico che induce a seguirlo. Ma al netto delle melodie, dei suoni e del mood, restano i protagonisti e le storie raccontate in quelle canzoni; e fa specie, ascoltare testi che raccontano di obiettivi che coincidono con la volontà di determinarsi attraverso soldi, successo, droga.

Tutto ora e qui, rischia di essere (se non lo è già) uno slogan di vita. E se la trap come il punk vogliono dire ribellione, rottura, rinnovamento… beh, il punk dalla sua, liberatosi da certi estetismi si guadagnò il ruolo che nel tempo gli è stato riconosciuto, per la trap sarà un po’ dura, essendo essa solo un sottogenere, materia buona per lo studio dei sociologi.

 

Category: Costume e società, Cronaca, Cultura

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