LA STORIA / SE L’AMORE FA PERDERE IL BARICENTRO, E BRUCIA, CON LE “Fiamme negli occhi” DEI Coma_Cose

| 28 Marzo 2021 | 0 Comments

di Mariangela Rosato______

Se mi guardi mi bruci. Mi bruci, con tutto ciò che puoi trasmettermi e che non fai. Mi bruci, con la tua insistenza che spesso si trasforma in una simpatia irritante, o finanche così nera che non so se riuscirei a resistere ancora.

Mi bruci, perché solo il tuo sguardo, la mano che glissi tra le guance, tra gli occhi, sul petto annebbia il respiro facendolo diventare affannoso e pieno di singhiozzi, a volte arruffati a volte nitidi che vorrebbero prenderti per la nuca ed urlarti tutto ciò che non mi hai detto e che avrei voluto sentirti dire.

 

Mi bruci e non soltanto gli occhi, ma tutto ciò che è dentro di me, tutta la mia forza, tutta la mia arroganza si trasforma in voluttà bistrattata. E mi implori, mi scongiuri, mi perturbi dicendomi di smetterla di asfissiarti perché non ce la fai più. Mi ammonisci accusandoti di averti fatto ciò che nessun’altra ti ha mai fatto prima, eppure, credimi Francesco, se ti dicessi che non erano i miei intenti.

 

Mi bruci, e non riesci neanche a smettere di pensare che forse io potrei essere come tu lo vorresti se solo sfregassi più a fondo, togliessi le membrane che ti si sono incollate sugli occhi appiccicaticci. Riusciresti a vedere ciò che vedevi prima?

Mi dico che sarebbe possibile e mi sdraio per terra attaccandomi a quei pantaloni che io stessa ho lavato, che io stessa ho stirato e messo ad asciugare sullo stendino. Ma cosa dovrei dirti allora io? Che spesso ho pensato di andare via alla ricerca di qualche illusione senza nessuna importanza, ma in fondo non c’è neanche alcun bisogno che mi nasconda. Te l’ho detto tante di quelle volte! Le nostre litigate farebbero tremolare i muri e, oddio, le urla non hanno voglia di frenarsi neanche quest’oggi. Riflettendoci bene i toni non sono mai stati pacati tra di noi, persino il giorno prima dello sposalizio.

 

Continua così, bravo, bravo, fai come sempre. Sì, prendimi in giro, disgraziato! Ancora non l’hai capito che questo tuo comportamento mi irrita santo cielo! Mi irrita e tu continui imperterrito a dire che no, non c’è niente di niente e che, come sempre, mi sto inventando tutto. Bravo, mi invento tutto eh. Cosa mi dici allora del tuo distacco? E certo, avrei dovuto già immaginarmi quale sarebbe stata la tua replica. Mi sto inventando tutto anche in questo caso? E cosa mi starei inventando? Voglio proprio sentire cosa mi rispondi ora, disgraziato che non avrei mai dovuto incontrare, accidenti a me!

Non rispondi… solo questo sai fare, voltarti.

Mi bruci ed ondeggio ancora come quando incrociammo lo sguardo quel giorno.

 

 

Non ricordo neanche più quante volte ci fossi passata da lì e perché mai mi era venuta voglia di entrarci, eppure quella sera percepivo qualcosa di nuovo, un elemento sovrumano si impossessava del mio corpo? Probabile, ma di certo non dimostrabile. Ci entrai e la forza che mi spingeva era un’inerzia che insulsa mi poneva ad avanzare un passo dopo l’altro e dopo l’altro, fino ad arrivare di fronte al portone e varcarlo con un fare più deciso che mai. Mi sarei già fatta prendere dal panico lì su due piedi e me ne sarei andata senza troppe domande, se non fosse stato per quella curiosità a tratti stantia, spesso priva di logica, che mi contraddistingue dai tempi del pianto da nascituro, quando, ancora non si capisce il motivo, davo rogne per nascere aspettando che scattasse l’esatto minuto del giorno seguente e definendomi, da quel momento in poi, come l’esatta contraddizione dei segni di gemini e cancro.

 

Salii le scale facendo attenzione ad aggrapparmi alla ringhiera sui lati e mi trovai di fronte ad una statua di minimo tre volte più grande  di me. Ma che voleva con quel mondo nella mano sinistra? Forse il segno che il mio animo sarebbe andato a finire dall’altra parte del globo? Anche qui, non si può dire. Mi voltai trovandomi, questa volta, dinanzi ad una scala a chiocciola. Arrivai in cima ed appoggiai la mano sulla porta di legno.

Cos’era per me quella porta? Chi ero io per lei? Cessavo di essere la persona che conoscevo, mi ponevo in una direzione dove, in ballo a tutti gli istinti carnali, non ci saresti stato che tu. Perché la porta si trovava lì e non altrove?  Marta, Marta, come ci sei finita lì? Non lo so e non lo so saprò mai. Quel disgraziato che continua a bruciarmi piano dentro, che mi porto mentalmente con me in qualsiasi luogo io vada, il profumo, le fossette, i due punti violacei sull’anulare sinistro: tutto ero dietro la porta. Maledetti puntini…

 

Mi facesti perdere il mio baricentro con la testa che mi urlava di andare via perché la cosa mi puzzava di bruciato. Via Marta, via, scappa! Lascia stare questa porta di legno, togli la mano da lì. Toglila! Se solo potessi parlare alla mia pancia le ordinerei di tacere una volta per tutte. Lei non soltanto diventa ingestibile, ma parecchio antipatica e non se ne può più. Taci!

Troppo tardi, la voce era già entrata nelle mie orecchie. Ecco, è fatta Marta. Te l’avevo detto io! Ti eri ripromessa una volta per tutte che basta non volevi più sentir parlare di loro e delle richieste che, messa l’impronta,  si fanno sempre più antipatiche. Marta, certo che sei stata sempre coerente tu eh! Una cosa avresti dovuto fare, scansarli una volta per tutte rifugiandoti in qualche luogo da eremita. E invece, che cos’hai fatto? Brava Marta! Quella sera fosti tu stessa ad avvicinarti, non riuscivi proprio a trattenerti eh. Ti avvicinasti anche quando era stato lui a fare dei passi indietro. Si rendeva conto che forse sarebbe stato meglio non avere a che fare con te? Troppo tardi. Neanche il freddo e il tremolio fermavano il potere della porta.

 

Hai le fiamme negli occhi mentre mi parli dicendomi di non sapere cosa vuoi, che forse sarebbe meglio finirla qui così com’è incominciata tanti anni orsono. Saranno dieci, venti, venticinque anni dallo sposalizio: non ricordo quasi più, eppure i puntini sull’anulare sinistro, la giacca di quella sera, il tremolio che mi prendeva a causa del freddo non riuscirei per nessuna ragione a nasconderli. Mi ritornano in un loop ossessivo di immagini che una dopo l’altra si ripetono. Il tuo battito accelera più del mio, o forse vanno all’unisono, si chiedono: come, quando, perché? Marta, smettila con questa tua melodrammaticità! Il rimbombo ritorna indietro, mi dice di continuare. Marta, continua Marta, continua!

 

Resta qui, ancora un minuto nonostante sia consapevole che il mio baricentro andrà a farsi benedire. Ma cosa sarei altrimenti? Sarei un io a cui mancherebbe il suono. Cosa sarei altrimenti? Sarei un unico che si esaurisce in sé stesso.

Resta qui, anche se le fiamme che hai negli occhi mi bruciano. Lo sbattere delle stoviglie sul pavimento, le blasfemie mentre si incrociano con il Din Don della campana della Chiesa dello sposalizio. Resta qui, perché la voce rimbomba nelle orecchie che non si chiudono e non ce la farebbero neanche se le pregassi pronunciando tutte le preghiere delle più lontane divinità Inca. I pugni sulla scrivania prima, i libri sbattuti e strappati poi, le camicie svolazzate ovunque sulle sedie di legno.

Resta qui, perché la tua mente brucia allo stesso modo della mia e le fiamme negli occhi che mi inceneriscono sono solo le tue. I corpi che si avvicinano, gli occhi che si fissano, le braccia e le mani che si sfiorano.

Restiamo qui ancora con le mani sulla porta di legno, mentre ogni parte ora si unisce.

Category: Costume e società, Cronaca

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