L’INCHIESTA / NUOVI FILOBUS A LECCE – 3 / INTERVISTA ESCLUSIVA DI PAOLO PERRONE A leccecronaca.it. L’EX SINDACO HA RISPOSTO SUI TEMI DELLA MOBILITA’ CITTADINA, MA POI HA PARLATO DI TANTE ALTRE COSE ANCORA…
di Giovanni Gemma ___________
Paolo Perrone, 58 anni, è stato uno dei nomi caldi del centrodestra leccese degli ultimi due decenni. Vicesindaco di Adriana Poli Bortone e poi sindaco dal 2007 al 2017, manager di professione, oggi è a capo della Zecca italiana.
La sua carriera politica ha visto un rapporto sali-scendi con il resto del centrodestra, prima, e con il suo giovane assessore Alessandro Delli Noci, poi. Praticamente, si è trovato tra due fuochi: l’opposizione di centrosinistra e le diverse correnti del centrodestra. Correnti che, per ironia della sorte, si sono saldate di nuovo intorno a Poli Bortone, personaggio ingombrante per la giunta Perrone.
Lo abbiamo intervistato per fare un resoconto della sua vita – e sulla tematica che sta tenendo banco ora a Lecce: il ritorno del filobus. Tema su cui Perrone prende tempo, ma solo a patto che non si tratti di un nuovo ampliamento del vecchio sistema.
Dottor Perrone, da due anni lei è presidente dell’Istituto poligrafico e Zecca dello Stato italiano. Dopo una vita tra i cortili leccesi, com’è il nuovo lavoro nei palazzi romani?
Sicuramente molto stimolante. La realtà dell’Istituto è importante sotto più profili, è un’azienda industriale importante: 1800 dipendenti, 600 milioni di fatturato, al centro delle politiche governative. Abbiamo un ruolo notevole: identità, contraffazioni, certificazioni, ma anche operatore di livello che accompagna la transizione industriale del paese. Il ruolo istituzionale che gioca è parimenti importante.
Lei sicuramente è un osservatore privilegiato. Da una parte abbiamo un governo che dura da tre anni e la coalizione non sembra dare segni di cedimento; dall’altra, però, il record di decreti-legge e di voti di fiducia, sintomo di incertezza. Lei come la vede?
Innanzitutto, la stabilità è conclamata, e non la vediamo invece nel resto d’Europa. Guardiamo gli altri governi vicini: Macron è una fase di crisi da anni, con sei governi negli ultimi sei anni; in Germania il governo balbetta; in Spagna c’è una fase di pre-crisi… La nostra stabilità rafforza l’immagine del nostro paese. La dinamica parlamentare impone a un governo che voglia essere incisivo l’uso di questi strumenti che lei ha citato.
I due anni di lontananza da Lecce coincidono con una stagione di lavori pubblici in città – tra lamentele e inaugurazioni – e nuove opere sembrano aggiungersi. Come vede la sua patria quando torna qui?
Io vivo a Lecce, salgo a Roma due giorni a settimana, quindi so bene. Secondo me c’è stata un’involuzione, con interventi che non hanno seguito un filo logico. È chiaro che una città in crescita, così com’è stata negli ultimi venticinque anni, deve rivedere anche le sue infrastrutture e quindi i cantieri sono anche figli di quest’esigenza: ma devono seguire appunto una logica e rendere la città più vivibile, cosa non sempre successa negli ultimi anni, con scelte di natura prettamente ideologica, come le piste ciclabili, fatte con i cordoni mentre altrove non si fanno così.
Facciamo un attimo fantapolitica: se fosse stato lei sindaco al posto di Salvemini, avrebbe impiegato diversamente i fondi del PNRR?
Sì, andavano utilizzati al meglio, secondo criteri da una parte verso la vivibilità e la fruibilità – cosa spesso non fatta – e provando ad incrociare le esigenze dell’opinione pubblica. Salvemini perde anche per questo.
Tante volte si parla della valorizzazione della cultura. Sicuramente adesso, al Poligrafico, sta potendo lavorarci su; ma già da sindaco provò a far diventare Lecce capitale europea della cultura. C’è un proverbio attribuito a Confucio: «Il vero signore è simile ad un arciere: se manca il bersaglio, cerca la causa di questo in se stesso.» Lei, all’epoca, ha guardato dentro di sé?
Io sono tra quelli che considera quella candidatura come un successo: Lecce partì per ultima, senza fondi, con l’atteggiamento del governo regionale tiepido se non contrario, dato che era l’unico capoluogo di centrodestra in Regione a candidarsi. Partecipammo in ventiquattro, arrivammo tra le sei finali, ci fu un coinvolgimento straordinario della cittadinanza: dal punto di vista sociale e di risveglio culturale fu un successo. Matera [la città vincitrice, ndr] era partita prima e aveva una solidarietà istituzionale e referenti in Europa che Lecce non aveva. Ma fu un’esperienza utile – tant’è che Lecce poi diventò capitale italiana della cultura. Se tornassi indietro sarei partito prima e avrei provato a creare una convergenza istituzionale più ampia, che allora un po’ mancò.
Lei e Poli Bortone avete avuto un rapporto politico un po’ travagliato. Nel 2010 definì «bugia storica» la rinuncia volontaria allo stipendio da sindaco della senatrice (rinuncia che era obbligatoria per legge), e nello stesso anno definì «disastrosa» la situazione finanziaria del Comune. Lei era il nuovo alfiere della destra leccese, ma ora è a Roma: crede che i suoi colleghi salentini non le abbiano dato abbastanza ascolto?
No, la mia esperienza politica ha risentito di alcune situazioni di contesto. Purtroppo la campagna elettorale del 2018 fu segnata da un voto di protesta che favorì i 5 stelle [e Paolo Perrone, candidato al Senato con Fratelli d’Italia, non venne eletto; ndr]; non recrimino alcunché, penso di aver fatto il sindaco in modo dignitoso, con buoni risultati, e ho avuto la fortuna di tornare alla vita di privato cittadino con soddisfazione. La nomina al Poligrafico lo dimostra.
Ha qualche lode o rimprovero da fare alla nuova giunta Poli Bortone?
È in carica da un anno, il risultato va misurato a tempo debito, quindi serve ancora qualche mese per esprimere giudizi. Posso dire che rispetto agli ultimi sette anni si è data una svolta, in primis nella capacità di ascoltare i cittadini.
E riguardo la prima giunta della senatrice (1998-2007)?
La crescita della città nasce con quell’esperienza. Poi la mia amministrazione fu in continuità, anche se su alcune scelte non eravamo allineati. Ad esempio, risolvemmo il contratto dei Buoni Obbligazionari Comunali; sul filobus non rimaneva molto da fare, pur non essendo d’accordo con questa modalità di trasporto urbano, che secondo noi non andava incontro alle esigenze dell’utenza.
Parlando di qualcosa che si ripresenta, a Lecce è tempo di referendum… e di filobus. Cosa ne pensa lei della scelta di ampliare la filovia? Avrebbe scelto la stessa strada per la mobilità sostenibile?
Utilizzare finanziamenti per immaginare di costruire un sistema di trasporto pubblico moderno e a basso impatto ambientale è una scelta azzeccata. Vorrei però capire di cosa si tratta, al di là delle polemiche di carattere politico: sembra, da quanto ho letto, che si tratti di un sistema diverso dal vecchio filobus anche se compatibile con questo. Mi sembra riduttivo archiviarlo solo come ampliamento della vecchia rete.
È una campagna referendaria particolare, in cui Palazzo Carafa parla pochissimo e le opposizioni quasi non parlano d’altro.
Ognuno fa il suo mestiere. Il centrosinistra lo usa per attaccare l’amministrazione, il centrodestra deve spiegare bene di cosa si tratta e le motivazioni sottostanti.
Comunque, lei è d’accordo con chi afferma di star sperimentando la democrazia diretta?
È giusto che un argomento sensibile come questo, viste le norme dello Statuto comunale, possa essere messo al giudizio della democrazia diretta.
In tutta sincerità: andrà alle urne?
Vorrei capire bene su cosa si basa il quesito. Per scegliere devo approfondire gli aspetti progettuali della proposta dell’amministrazione: ammetto, non la conosco ancora bene.
Nei suoi dieci anni da sindaco si è trovato in un periodo di austerità e di indagini della magistratura sull’uso delle risorse comunali. Poi, il processo delle case popolari e soprattutto il caso Delli Noci hanno fatto rumore a Lecce. Quanto crede che ne uscirà danneggiata la fiducia dei cittadini nelle istituzioni a loro più vicine?
Il problema è che purtroppo spesso il processo deflagra con l’inizio delle indagini, ma i risultati arrivano tantissimi anni dopo. Sono fatti sommari giudizi in piazza all’inizio, da parte dell’opinione pubblica, ma ci si dimentica poi dei risultati finali se non combaciano con l’ipotesi accusatoria.
Oltre ai crucci giudiziari, ci sono quelli politici. Nel 2019 la destra leccese si presentò divisa alle comunali, e nel 2024 si è riusciti a proporre solo il nome della ex sindaca. Le sembra che ci sia una crisi nell’avvicendamento della classe dirigente conservatrice della città?
Non credo, altrimenti il centrodestra non avrebbe vinto contro un’amministrazione uscente fortemente spalleggiata dalla Regione Puglia e dalla fitta rete che la sostiene.
Rimanendo un attimo su Delli Noci… Proveniente da ambienti di destra, è passato a far vincere Salvemini, e ora si trova nella “grande tenda” di Emiliano. Voleva fare il sindaco, adesso sembra stia scivolando, e non si ricandierà in Regione Puglia. Che giudizio dà di lui?
Alessandro ha fatto delle scelte di natura politica, dettate dalla sua ambizione. In politica, devo dire, è giusto essere ambiziosi; poi è incappato in questa disavventura, gli auguro di poter dimostrare la sua estraneità alle accuse che gli vengono avanzate e magari un giorno poter tornare ad ambire ad incarichi pubblici. È un ragazzo intelligente, e gli faccio lo stesso augurio che ho fatto a miei amici incappati in problemi di questo tipo.
Anche in Puglia, tolto il protagonismo di Fitto, non si riescono a trovare volti nuovi nella destra, neppure per la presidenza della Regione. Si sente di consigliare qualche nome ai suoi colleghi?
Assolutamente no, posso solo dire che si è un po’ abdicati alla voglia di contendere la Regione a Decaro. Si parte un po’ rassegnati, ecco.
Vada chi vada, ha un consiglio da dare agli elettori pugliesi?
Dico loro, al di là della simpatia per i candidati, di esprimere un giudizio serio sui dieci anni di amministrazione di Emiliano: quanti e quali problemi sono stati risolti? Secondo me, gli ultimi venti anni di centrosinistra hanno visto una crescita, anche se non solo per merito della Regione, ma anche per una classe imprenditoriale reattiva. Ma negli ultimi dieci anni ci sono problemi irrisolti, come sanità, trasporti e questioni ambientali.
Immaginiamo di tornare indietro di, diciamo, venticinque anni. Rifarebbe tutto uguale?
Errori ne ho fatti, però mi considero un politico e un imprenditore fortunato, la vita finora mi è andata bene, farei giusto qualche aggiustamento per l’esperienza che ho adesso. __________
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