L’INTERVISTA / UN’ATTENTA ANALISI SOCIOLOGICA DEL NATALE CON IL LIBRO DI DINO TROPEA “Lasciato indietro”

di Cristina Pipoli ______________
D– In merito al ruolo genitoriale che viene messo in risalto nel libro… Siamo alle soglie del Natale: cosa vuole dirci sul collegamento tra festività natalizie e famiglia?
R- “Il Natale viene spesso raccontato come un luogo sicuro, ma non lo è per tutti. Per molte persone diventa uno specchio che amplifica ciò che manca. Nel mio libro Lasciato Indietro (Amando Editore) il ruolo genitoriale non è idealizzato, è reale, a volte fragile, a volte doloroso. Io arrivo al Natale portandomi dentro delle assenze.
C’è l’assenza di mia madre, Marianna, una donna che non si è mai arresa e che oggi non c’è più. E c’è l’assenza più difficile da raccontare, quella di mia figlia. Da anni non passiamo un Natale insieme. Quando sei genitore e non puoi abbracciare tuo figlio, il Natale smette di essere una festa e diventa una prova di resistenza emotiva. È in quel momento che comprendi davvero cosa significa sentirsi lasciati indietro, non come uomo, ma come padre.
Accanto a me oggi c’è Alice, la dottoressa pediatra e neonatologa Imma Savarese. Il suo lavoro quotidiano con la vita nel suo momento più fragile mi ricorda che la genitorialità non è solo un fatto biologico, ma un esercizio costante di presenza e responsabilità. Il Natale non dovrebbe essere la festa della perfezione, ma della verità. E la verità è che la famiglia non è sempre un rifugio sereno”.
D – In molti Paesi del Sud Italia chi va dallo psicologo è considerato ‘pazzo’. Quanto è importante un aiuto terapeutico?
R – “Non riguarda solo il Sud, ma l’intero Paese. Esiste ancora una cultura del silenzio che spesso fa più danni del dolore stesso. Sono andato in terapia e lo dico senza vergogna, non perché fossi ‘pazzo’, ma per restare lucido e non lasciare che il dolore decidesse al posto mio. La terapia non cancella la sofferenza, ma aiuta a non diventarne prigionieri, offrendo uno spazio di ascolto e verità, fondamentale soprattutto nei contesti familiari complessi.
Per questo credo che il supporto psicologico debba essere riconosciuto anche a livello istituzionale come strumento di prevenzione e tutela. La stampa ha riportato la notizia delle settantadue mila firme raccolte per chiedere un’assistenza psicologica agevolata. Da tempo sostengo l’introduzione dello psicologo di famiglia, in collaborazione con pediatra e medico di base, come servizio pubblico accessibile. Chiedere aiuto non è un fallimento, ma un atto di responsabilità verso sé stessi e verso gli altri”.
D – Nel periodo di Natale aumentano suicidi e omicidi in famiglia. Cosa vuole dirci al riguardo?
R – “Non parlo di questo tema in modo astratto. In Lasciato Indietro racconto un suicidio avvenuto nel mio quartiere, Parco Leonardo, il 26 dicembre. Un uomo si è tolto la vita mentre io ero nel pieno della stesura del libro. Quella notizia mi ha colpito profondamente, perché ha reso improvvisamente reale ciò di cui stavo scrivendo.
Il Natale non crea il dolore, ma spesso lo rende più visibile. Le festività costringono a fermarsi e a confrontarsi con ciò che non funziona. Per chi vive situazioni di solitudine, lutto o separazione, la narrazione della felicità obbligatoria può diventare difficile da sostenere. Molte tragedie non nascono all’improvviso, ma da silenzi prolungati e richieste d’aiuto non intercettate.
Parlare di salute mentale, anche a Natale, non significa rovinare la festa. Significa riconoscere il disagio e provare a prevenirlo, assumendosi una responsabilità collettiva verso chi è più fragile”.
D – Lei si è mai sentito lasciato indietro?
R – “Sì, più volte. Come figlio, come padre, come uomo, come cittadino e come lavoratore. Mi sono sentito lasciato indietro dopo la morte di mia madre, in pieno periodo Covid, quando il lutto spesso resta senza sostegno, e come padre, quando non ho più potuto vivere il Natale con mia figlia.
Ma non è solo una storia personale. Sentirsi lasciati indietro è oggi un fenomeno sociale diffuso, che colpisce chi rispetta le regole e si assume responsabilità, ma si scontra con sistemi che premiano relazioni e scorciatoie più del merito. Nel lavoro l’ho vissuto direttamente, sapendo di non essere un’eccezione. È una condizione che genera frustrazione e disaffezione. Lasciato Indietro nasce proprio dal rifiuto di trasformare questa amarezza in rancore. Restare umani, anche quando costa, è una scelta personale, ma anche un atto di responsabilità collettiva”.
D – Lasciato Indietro è anche una denuncia verso le inefficienze burocratiche e del sistema sanitario?
R – “Sì, per esperienza diretta. Nel libro racconto cosa accade quando le regole smettono di essere strumenti e diventano muri, quando la burocrazia rallenta invece di accompagnare. Esiste un mare di norme e procedure che, invece di facilitare l’accesso ai diritti, finisce spesso per escludere chi non ha strumenti, tempo o appoggi adeguati.
Affronto anche il tema della sanità perché l’ho vissuto nei momenti di maggiore fragilità, ma anche perché conosco questo sistema dall’interno, attraverso esperienze professionali e familiari. Accanto a me c’è Alice, neonatologa, e il suo lavoro quotidiano con i bambini più fragili e con le loro famiglie mi ha reso ancora più consapevole di quanto sia necessario un sistema sanitario umano, capace di ascoltare, semplificare e prendersi realmente cura.
Non parlo di perfezione, ma di umanità. Perché un Paese si misura da come tratta le persone più fragili, non da quanto riesce a difendere i propri meccanismi”.
D – A Natale reputa importante regalare un libro?
R- “Sì. Regalare un libro è un atto di responsabilità. Un libro restituisce tempo, stimola il pensiero critico, pone domande che restano anche dopo le feste. Lasciato Indietro, ad esempio, non consola in modo superficiale, ma accompagna. Dice a chi lo legge che non è solo, che non siamo soli, che esiste una possibilità di speranza.
Oggi spesso il Natale è diventato una corsa al regalo, anche quando è inutile, effimero o sproporzionato. Molte persone arrivano a indebitarsi pur di rispettare un’idea di festa legata al consumo, più che al significato. Si spendono cifre importanti per oggetti destinati a durare poco, mentre si perde il valore del gesto.
Un libro, invece, non è un oggetto che si esaurisce. Resta, si apre e si riapre, accompagna anche quando le luci si spengono. A Natale, offrire qualcosa che nutre il pensiero e non pesa sulle tasche è una scelta controcorrente, ma necessaria. Perché il valore di un regalo non sta nel prezzo, ma nel segno che lascia”.
D – Abbandono e festività. Cosa ne pensa?
R- “L’abbandono durante le festività pesa di più. Il Natale costringe a fermarsi e a sentire il vuoto con maggiore intensità. Esiste un abbandono fisico, emotivo e anche istituzionale che spesso viene normalizzato, come se fosse inevitabile.
Io l’ho conosciuto come figlio, come padre e come cittadino. Proprio per questo credo che l’abbandono non sia solo una questione individuale, ma una responsabilità collettiva. Lasciato Indietro nasce per rompere questo silenzio e ricordare che nessuno dovrebbe affrontare certi giorni da solo, soprattutto nei momenti di maggiore fragilità”.
D – Essere lasciati indietro nella scuola e nel lavoro…Cosa significa oggi?’
R. – Oggi essere lasciati indietro non significa mancanza di talento, ma spesso mancanza delle ‘chiavi giuste’. Succede nella scuola, nel lavoro, nella cultura e in molti ambiti creativi, dal cinema alla musica, dall’arte all’editoria.
Nel mondo editoriale, ad esempio, esistono ancora forme contrattuali che scaricano il rischio economico sugli autori, arrivando a chiedere di rinunciare ai guadagni o addirittura di sostenere dei costi pur di pubblicare. Questo rende la produzione culturale accessibile solo a chi può permetterselo, lasciando invisibili molte voci valide.
Lasciato Indietro dà voce a chi non chiede favoritismi, ma regole chiare e giuste. Essere lasciati indietro significa spesso fare la cosa giusta nel sistema sbagliato e decidere comunque di non smettere”.
D – Sta facendo il percorso per diventare giornalista. Cosa pensa del nepotismo? Ha mai lasciato indietro qualcuno?
R – “Il nepotismo è una ferita strutturale del nostro Paese e oggi è presente anche nel mondo del giornalismo. Ogni favore concesso per legami personali toglie spazio a qualcuno che meriterebbe opportunità per competenze e impegno.
Non credo di aver mai lasciato indietro qualcuno in modo consapevole e cerco di non diventare ciò che critico. Per me essere giornalista significa dare voce a chi non ce l’ha, raccontare ciò che spesso resta ai margini e restare fedele alla propria coscienza, anche quando il percorso è più lungo, più faticoso e meno garantito”.
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