A RISCHIO LA SALUTE PSICOFISICA DEGLI INSEGNANTI. LA SITUAZIONE, DOPO IL RICONOSCIMENTO DATO LORO PER LA PRIMA VOLTA DI FARE UN ”lavoro usurante”

| 20 Ottobre 2016 | 0 Comments

di Stefania Isola * (avvocato – per leccecronaca.it)______

Nel pacchetto pensioni varato dal Governo per la prima volta è avvenuto il riconoscimento di “lavoro usurante” alla categoria degli insegnanti.

In particolare potranno accedere al prepensionamento a 63 anni, senza oneri a carico del lavoratore, le maestre della scuola d’infanzia.

Il legislatore per la prima volta ha guardato al mercato del lavoro con un occhio non esclusivamente industriale” – afferma il sociologo Domenico De Masi, che continua dicendo: “Il lavoro nella società industriale veniva considerato usurante quando era faticoso, aveva ritmi ossessivi, o veniva svolto in ambienti insani. L’oggetto della preoccupazione del legislatore però era sempre il corpo, i muscoli, le ossa. Ed invece adesso con gli insegnanti si prende in considerazione anche la mente. Bisognerebbe andare oltre e prendere in considerazione anche chi svolge lavori creativi: sono questi i veri lavori stressanti dell’età postindustriale. Ma di solito il legislatore arriva a tumulazione avvenuta.”

Vittorio Lodolo D’Oria, medico esperto in Stress da Lavoro Correlato degli insegnanti, aggiunge che “La decisione di riconoscere come usurante una professione richiede l’esistenza di dati inequivocabili e non può essere frutto di un’emotività dettata dai numerosi articoli sui maltrattamenti dei bimbi da parte di maestre usurate e attempate”.

Tra le altre cose sappiamo che i dati sulle inidoneità all’insegnamento per motivi di salute sono in mano all’Ufficio III del Ministero Economia e Finanze che li custodisce (inutilmente) in qualche buio scantinato. Solo questi dati possono rivelarci inequivocabilmente che l’usura psicofisica degli insegnanti è un fatto acclarato e che le loro diagnosi sono al 70-80% psichiatriche. E se i risultati confermeranno i pochi studi attualmente disponibili, emergerà chiaramente che il disagio mentale colpisce tutti i livelli d’insegnamento in egual misura e non solamente le maestre della scuola dell’infanzia.

Va da sé che l’abbassamento dell’età per la pensione dovrà essere applicato gratuitamente a tutti e probabilmente assai prima dei 63 anni.

Le riforme previdenziali fin qui attuate mostrano la corda per un’evidente ragione e devono pertanto essere rettificate perché non hanno mai tenuto conto della variabile salute, che si deteriora con l’aumentare dell’età anagrafica, e delle malattie professionali figlie di un’aumentata anzianità di servizio.

Non basta saper far di conto per riformare le pensioni: abbiamo a che fare con uomini e donne che invecchiano e si ammalano, non con numeri e robot. Una questione talmente logica da essere stata ignorata da tutti i governi: per gli insegnanti siamo passati dalle baby-pensioni del ’92 ai 67 anni di oggi, senza effettuare alcun controllo su malattie e salute della categoria professionale. Ecco perché è fondamentale che i decisori si diano un metodo e non decidano “di pancia” o esclusivamente in base a freddi numeri.”

Lodolo D’Oria, che da ventiquattro anni affronta queste tematiche, conclude: “La professione dell’insegnante ha una peculiarità unica rispetto a tutte le altre: la tipologia del rapporto con l’utenza. Non esiste infatti altra professione in cui il rapporto con gli utenti, e per giunta sempre gli stessi, avvenga in maniera così insistita, reiterata e protratta per tutti i giorni, più ore al giorno, cinque giorni alla settimana, nove mesi all’anno, per cicli di tre/cinque anni. In altre parole è come se il docente si sottoponesse quotidianamente a una Risonanza Magnetica Nucleare operata da tante paia di occhi quanti sono i suoi stessi studenti: un solo capello fuori posto e i ragazzi lo mettono in croce. In questa particolarissima tipologia di rapporto per di più l’insegnante diviene nel tempo anagraficamente più vecchio, mentre lo studente (col rinnovarsi dei cicli di studio) si mantiene giovane: un ‘effetto Dorian Gray’ capovolto.

Si consideri poi il rapporto numerico (1:25), la permanente asimmetria del rapporto medesimo che è per giunta intergenerazionale e condizionerà l’insegnante rendendolo spesso incapace di sviluppare una relazione tra pari per condividere il disagio mentale coi colleghi.

Alla suddetta peculiarità fa seguito tutto quello che già conosciamo: precariato, scarso riconoscimento sociale, bassa retribuzione, stereotipi sulla professione, continuo susseguirsi di riforme, allontanamento del periodo previdenziale (senza la benché minima valutazione della salute dei lavoratori), maleducazione degli studenti, sindacalizzazione e arroganza delle famiglie, globalizzazione dell’utenza e inserimento di alunni disabili nelle classi.

L’usura psicofisica inoltre sembra colpire i docenti di tutti i livelli: dalla scuola dell’infanzia a quella superiore di secondo grado, quest’ultimo elemento conferma che il disagio mentale professionale dei docenti è dovuto in gran parte alla professione medesima piuttosto che ad altre variabili.

A confermarci il dato sono gli allarmanti numeri che provengono da Francia, Regno Unito e Germania: le patologie psichiatriche e i suicidi nella categoria sono al primo posto rispetto a tutte le altre categorie professionali.

E’ pertanto fondamentale che tra i lavori usuranti si riconoscano anche quelli in cui vi è un forte logoramento della psiche. L’uomo non è fatto solo di ossa e muscoli, ma possiede anche un cervello.

Il nostro Paese non presenta dati e statistiche nazionali sulla salute degli insegnanti, ma preferisce trastullarsi con gli stereotipi sugli insegnanti: si scambia l’orario di lavoro con la docenza frontale e non ci si accorge che la vacanza si è trasformata in convalescenza. C’è infine chi ritiene di risolvere i problemi con l’installazione di telecamere, come se la Sony potesse cancellare per magia gli errori di riforme previdenziali fatte al buio. La formula vincente è la seguente: ‘maestre sane e soddisfatte, bambini felici e interessati’ “.

 

Category: Cronaca, Politica

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