IL CASO CLEAN GAME: TRA L’AGGRAVANTE MAFIOSA E L’OMBRA DELLA PRESCRIZIONE
Il panorama giudiziario salentino è teatro delle fasi conclusive di una delle sue vicende più complesse e longeve degli ultimi anni: il processo scaturito dall’operazione “Clean Game”.
Un dibattimento che, dopo anni di udienze, perizie e battaglie legali, giunge a un punto di svolta cruciale con la requisitoria della pubblica accusa.
Le pesanti richieste di condanna formulate dalla Procura per i principali imputati segnano l’avvicinarsi all’epilogo di un’inchiesta che ha mirato a scoperchiare un presunto sistema pervasivo di controllo illecito nel redditizio settore del gaming. Al centro del contendere c’è un sodalizio che avrebbe imposto il proprio dominio sul territorio del Basso Salento attraverso la gestione e il noleggio di slot machine manomesse.
Genesi e impatto dell’inchiesta “Clean Game”
Per comprendere la portata degli sviluppi attuali, è necessario tornare con la memoria al 2015, anno in cui l’inchiesta “Clean Game” provocò un vero e proprio terremoto giudiziario. L’operazione, condotta con meticolosità dalla Guardia di Finanza, culminò nell’emissione di 27 ordinanze di custodia cautelare, tra carcere e arresti domiciliari, a carico di un nutrito gruppo di persone.
L’impatto mediatico e sociale fu immediato e potente, non solo per il numero di arresti, ma anche per la dimensione economica del presunto giro d’affari. In quella fase, infatti, le autorità disposero un imponente sequestro patrimoniale del valore di circa 12 milioni di euro, un provvedimento che mirava a colpire al cuore le finanze dell’organizzazione. Sebbene quel patrimonio sia stato successivamente dissequestrato, la cifra testimonia la vastità degli interessi in gioco.
Il nucleo dell’indagine ruotava attorno a un presunto modus operandi ben definito: l’imposizione sistematica agli esercenti commerciali del Basso Salento del noleggio di apparecchi da gioco riconducibili alle società dei principali indagati. Secondo l’impianto accusatorio, queste macchine sarebbero state alterate per frodare sia lo Stato, sia gli stessi giocatori, modificando le probabilità di vincita a esclusivo vantaggio dei gestori.
Il cuore del dibattimento: la battaglia sulla natura del reato
Uno degli aspetti più significativi e tecnicamente complessi dell’intero processo è stato senza dubbio il dibattito sulla corretta qualificazione giuridica del reato associativo. Inizialmente, la Procura aveva contestato l’ipotesi più grave: quella di associazione di stampo mafioso, disciplinata dall’articolo 416-bis del codice penale. Questa contestazione presupponeva l’esistenza di un vero e proprio clan, capace di esercitare un potere di intimidazione e un controllo omertoso sul territorio.
Tuttavia, questa impostazione è diventata il fulcro di un’aspra contesa legale che ha visto il coinvolgimento prima del Tribunale del Riesame e poi della suprema Corte di Cassazione. La difesa ha combattuto tenacemente per dimostrare l’insussistenza degli elementi tipici della mafiosità. Al termine di questo lungo e articolato iter, la stessa pubblica accusa, rappresentata dalla sostituta procuratrice Carmen Ruggiero, ha proceduto alla derubricazione del reato.
L’accusa principale è stata così rimodulata in associazione per delinquere “semplice” con l’aggravante del metodo mafioso. Si tratta di una distinzione non meramente formale: pur riconoscendo l’utilizzo di metodi intimidatori e coercitivi tipici delle mafie per affermarsi sulla concorrenza, esclude che il gruppo costituisse un’associazione mafiosa in senso stretto. Questa evoluzione ha profondamente ridefinito i contorni giuridici e le potenziali conseguenze sanzionatorie del processo.
Mentre la vicenda giudiziaria seguiva il suo lento corso, il mondo del gioco d’azzardo al di fuori delle aule di tribunale subiva una metamorfosi radicale. Dal 2015 a oggi il settore è esploso, mostrando una crescita inarrestabile: il volume di gioco è passato dai 111 miliardi di euro del 2021 ai 136 miliardi del 2022, fino a toccare quota 150 miliardi nel 2023. Ma il cambiamento più profondo riguarda le abitudini dei giocatori, con una transizione verso il digitale sempre più marcata.
Se il processo “Clean Game” è emblematico di un’era dominata dalla rete fisica, oggi il panorama è stato ribaltato: le analisi più recenti mostrano come il gioco a distanza abbia conquistato circa il 60% del mercato, guadagnando 15 punti percentuali solo negli ultimi tre anni. La fiducia del giocatore si è spostata dall’integrità (in questo caso violata) della macchina fisica alla trasparenza di software certificati, specialmente su piattaforme che forniscono massime garanzie di legalità, consentendo di giocare con soldi veri ma senza rischi.
La procura presenta il conto: condanne e prescrizioni
Con la requisitoria finale l’accusa ha presentato il conto ai quattro fratelli De Lorenzis di Racale, imprenditori del settore gaming e figure centrali dell’inchiesta. Per Piero, Pasquale e Saverio De Lorenzis sono stati chiesti 10 anni e 6 mesi di reclusione ciascuno; per il fratello Salvatore, la richiesta è stata di 9 anni. Pene severe che, se accolte dal collegio giudicante, confermerebbero la tesi di un sodalizio criminale strutturato e operante con metodi illeciti.
Contestualmente, un altro fenomeno ha eroso una parte consistente dell’impianto accusatorio originale: la prescrizione. Per tutti gli altri imputati, tirati in causa a vario titolo come prestanome o gestori di esercizi commerciali, la Procura ha richiesto una sentenza di “non doversi procedere” proprio per l’intervenuta scadenza dei termini.
Lo stesso destino è toccato a una lunga lista di reati satellite, tra cui concorrenza illecita con minaccia o violenza, interposizione fittizia, corruzione, frode informatica ed esercizio abusivo di giochi e scommesse. In sostanza, il tempo trascorso dall’epoca dei fatti ha estinto la possibilità per lo Stato di perseguire penalmente queste condotte, lasciando in piedi solo il reato associativo, l’unico non “scalfito” dal tempo.
Cosa aspettarsi dagli sviluppi futuri
A rafforzare il quadro delle presunte attività illecite concorre anche un altro procedimento, focalizzato sulla compravendita di schede da gioco contraffatte, che si è già concluso con una sola condanna e la prescrizione per tutti gli altri. Questo filone secondario rafforza l’immagine di un sistema complesso e articolato, volto a massimizzare i profitti attraverso diverse forme di illegalità.
Ora la palla passa al collegio difensivo, rappresentato, tra gli altri, dagli avvocati Gabriella Mastrolia, Francesco Fasano ed Eustachio Sisto. La prossima udienza, fissata per il 20 ottobre davanti alla seconda sezione penale del tribunale di Lecce, sarà il palcoscenico per le arringhe difensive, l’ultimo atto prima che i giudici si ritirino in camera di consiglio.
Si apre così la fase finale di un processo che ha attraversato quasi un decennio, ponendo questioni giuridiche di grande rilievo e facendo i conti con i meccanismi procedurali del sistema italiano. L’attesa per la sentenza è palpabile non solo per gli imputati, ma per un intero territorio che attende di conoscere la verità giudiziaria su una pagina oscura del suo recente passato economico e sociale.
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