L’AEROPORTO DI LEVERANO. LE BATTAGLIE NEI CIELI DEL SALENTO NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE. UNA VERA E PROPRIA CHICCA STORICA, RECUPERATA E DIVULGATA SU leccecronaca.it DAL PIU’ GIOVANE DEI NOSTRI REDATTORI
di Giovanni Gemma ___________
Nella piana strada verso il fresco mare di Porto Cesareo, le campagne intorno a Leverano sono d’estate un tran-tran di persone. Chi va in vacanza, chi ci torna, chi usa le sue ore libere per andare a respirare la brezza salata, chi fugge dal lavoro e chi al lavoro ci va, tra i campi rigogliosi e i vigneti.
È lo spettacolo dell’ampia pianura salentina, arrossato dal Sole che batte alternandosi con un cielo stellato senza orizzonti a limitarlo. Le cicale si alternano alle civette, l’assolato al solitario.
Luogo di passaggio, luogo di lavoro. Ma qui non ci interessano descrizioni da pro loco.
Questo rapidissimo affresco serviva per introdurre il suo opposto: un panorama di divise, munizioni, bombardieri, trincee improvvisate, svastiche, e infine sangue. È più nota, nella zona nordoccidentale del Salento, la presenza – dal 1944 al 1947 – di un campo profughi per ebrei sopravvissuti alla Shoah: il Displaced Persons Camp number 34 dell’agenzia ONU per l’assistenza, a Santa Maria al Bagno.
È meno nota la presenza invece dell’«aeroporto di Lecce», uno scalo militare costruito tra 1940 e 1941 a ridosso di Leverano. Una zona pianeggiante, non lontana dal capoluogo Lecce e nemmeno da Taranto – centro nevralgico della Marina italiana. Di cui oggi non rimane traccia – e ora capiremo perché.
Innanzitutto, Lecce non era già rifornita dallo scalo di Galatina? Era stato costruito nel 1931, cinque anni dopo era già al rango «regio aeroporto di II classe», adatto a ospitare bombardieri e velivoli di trasporto militare. Inoltre, l’aeroporto di Galatina, in piena campagna. grazie alle nebbie, era ottima per fornire una copertura “naturale” alle strutture. Che bisogno c’era, dunque, di costruire un altro aeroporto militare non lontano e, soprattutto, praticamente adiacente all’abitato di Leverano, mettendo a rischio gli abitanti della cittadina?
Il motivo si ritrova nelle avventure mussoliniane nel Mediterraneo. L’Italia fascista tentava di ritagliarsi un ruolo dominante nel mare nostrum, invece si scoprì presto debole e inadeguata. La campagna in Grecia – «spezzeremo le reni» eccetera eccetera – si stava risolvendo in una pericolosissima controffensiva delle forze greche (regolari e irregolari) sostenute dai britannici e aiutate indirettamente dai partigiani albanesi. La base marina di Taranto, gioiello mediterraneo di Roma, fu pesantemente danneggiata in un umiliante raid della RAF – che avrebbe fatto scuola nella Seconda guerra mondiale, tant’è che i giapponesi copiarono le tattiche britanniche per attaccare Pearl Harbor.
Mussolini e i suoi gerarchi, anche dinanzi alla prudenza di alcuni ufficiali dello Stato maggiore, sognavano un mare dominato, ma ben presto capirono che bisognava fortificare il già esistente per non perdere anche quello. E, soprattutto, capirono che senza la forza dei tedeschi l’Italia era – come avrebbe detto correttamente Churchill – «ventre molle» dell’Europa.
In questo contesto nasce l’aeroporto di Leverano: un avamposto ufficialmente scollegato da Galatina, che però doveva fare da guardaspalle proprio a quest’ultima e viceversa.
E all’inizio ci riuscì.
Nella primavera del 1943, subito dopo la prima grande minaccia interna in vent’anni al potere fascista – l’ondata di scioperi nelle fabbriche del marzo di quell’anno –, i cieli italiani divennero un groviera per i bombardieri angloamericani. Anche la Puglia fu interessata da queste operazioni, in particolare Foggia divenne un cumulo di macerie.
La zona leccese, priva di industrie strategiche o granai fondamentali, fu sostanzialmente risparmiata da grandi massacri. Ciò nonostante, l’Aviazione tedesca decise comunque di potenziare lo scalo di Lecce, riempiendolo di Stuka (tecnicamente Junkers Ju 87), agili e piccoli aerei da combattimento, e creando un comando militare di Berlino in una masseria leveranense, dove si trovano dei graffiti in tedesco di annoiati avieri d’oltralpe.
La presenza dell’aeroporto di Leverano, infatti, poteva essere un problema per i piani degli Alleati, che avrebbero dovuto cominciare da lì a poco l’Operazione Husky: lo sbarco in Sicilia. Intanto, la paura di un’invasione di terra metteva terrore tra i civili, disabituati a qualsiasi conflitto in casa, che perciò iniziarono a scavare improvvisate trincee e sgangherati rifugi sotterranei.
Il 2 luglio 1943, per la prima volta, il Salento si trovò attraversato da un grosso stormo di B-24 Liberator, maestose e micidiali fortezze volanti della flotta alleata. L’obiettivo era l’aeroporto “di Lecce”, ma – non si sa se per un errore di calcolo o per una mancanza di informazioni – l’attaccò non andò del tutto bene.
I B-24 si trovarono l’aeroporto di Galatina, utilizzando una tersa mattinata (un rischio di non poco conto, però almeno si garantiva la visibilità dell’obiettivo), e iniziarono a sganciare il loro carico. Allora, però, trovarono anche una sorpresa: uno stormo di Stuka li intercettò, abbattendo i velivoli degli Alleati. Erano gli Stuka di Leverano, mai presi in considerazione nei piani alleati, che limitarono i danni alle strutture militari dell’Asse in Salento.
Tra gli aerei caduti, si ricordano bene gli anziani di Muro Leccese un B-24 che stava precipitando sul paesino, terrorizzando suo malgrado gli inermi abitanti; il pilota dell’aereo evitò alla fine il peggio, riuscendo a virare questo bestione dell’aria con quel che rimaneva dei motori, andandosi a schiantare in un bosco di lecci poco fuori Muro. Nessuno degli otto avieri statunitensi sopravvisse.
In ogni caso, il risultato non soddisfacente dell’operazione diede da pensare a comandanti alleati, i quali decisero quindi di progettare l’attacco alla giovane base leveranense. Nel frattempo, il ben riuscito sbarco in Sicilia indebolì le posizioni italotedesche.
Fu all’ora di pranzo del 23 luglio 1943 che quaranta B-24 terminarono la veloce carriera dell’aeroporto di Leverano.
Messa fuori gioco Galatina tre settimane prima, l’incursione fu relativamente semplice – e fu un successo.
Per alcuni minuti il paese visse un incubo: la vicinanza dell’aeroporto all’abitato insanguinò l’attacco di vittime civili, e rese inutilizzabile le piste. Fu un episodio abbastanza raro nella storia salentina della Seconda guerra mondiale: in un territorio dove le incursioni erano poche, i bombardamenti ancor di meno e le morti tra i paesani persino di meno, l’attacco sull’aeroporto di Leverano segnò un “piccolo” trauma per la comunità locale.
Da allora, la vita quotidiana dei contadini salentini ha provveduto a eliminare le tracce dell’aeroporto, mentre le autorità non hanno continuato in nessun modo il progetto dell’aeroporto di Lecce.
Eppure, nel paese ancora si tramandano le storie e gli aneddoti di una storia rapida e dolorosa che ha tracciato un sentiero diretto tra le sonnacchiose vicende del Tacco d’Italia e la “grande” Storia del conflitto più sanguinoso d’Europa. Una vicenda che il resto della provincia ha provveduto a rimuovere immediatamente dalla coscienza collettiva – un po’ come quando oggi andiamo in spiaggia o su alcuni costoni marini e vediamo le vecchie torrette d’avvistamento in cemento armato, segno di un capitolo di un saggio che non c’è mai stato bisogno di scrivere.
Ma, mentre questi reperti del passato – in piedi o solo nella mente degli anziani – sono esclusi dalla narrazione del territorio nonostante la loro “recente” età, fiumi di inchiostro e di marketing si versano sulle torri barbaresche o sulle masserie fortificate, segni di un passato decisamente più vetusto.
Un po’, viene il sospetto si tratti di una mossa collettiva da Gattopardo: è molto più facile ricordare, per la popolazione e i suoi governanti, le difese da un nemico esterno che il fallimento di una guerra in cui, la miccia, l’abbiamo accesa noi.
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Ad onor del vero nella memoria collettiva l’aeroporto tedesco a Leverano di cui resta solo una cappella é ben nota, ma è bene parlarne per coloro che ignorano questa pagina di storia. Peccato che la narrazione è quella solita filo americana, con dei tedeschi che mettono a repentaglio l’incolumità dei civili avendo costruito l’aeroporto a circa un chilometro dall’abitato, non tenendo presente che i soldati tedeschi frequentavano Leverano quindi in caso di allarme era importante che i piloti levassero in volo gli aerei nel più breve tempo possibile. Sopratutto dimenticando che gli americani senza alcuna necessità, se non quella di azioni di puro terrorismo bombardarono città abitate sopratutto da donne e bambini, gli uomini erano al fronte, con decine di migliaia di morti. Poi il racconto secondo cui Mussolini non conoscesse le reali forze dell’esercito italiano non sta in piedi. Ricordiamo che la Germania Nazional-Socialista dopo il parto con i comunisti di Stalin, in seguito al quale attaccarono una nazione neutrale soartendosi il bottino, chiese all’alleato italico di entrare I guerra e Mussolini per evitare di entrare in guerra fece un lungo elenco di materie prime e di armamenti che erano insufficienti. L’Italia entrerà in guerra a fianco alla Germania quando tutti pensavano che la guerra si sarebbe conclusa in pochi mesi. Un’operazione tipi quella che fece Cavour, solo che a lui le cose andarlo bene e lo ricordiamo come un grande statista a Mussolini andarono male per cui lo dipingiamo come un cretino. Ricordo che Hitler, senza avvertire l’alleato decise di attaccare l’Unione Sovietica aprendo un altro fronte e sappiamo poi come è andata a finire.
La nazione che Nazional-Socialisti tedeschi è Socialisti sovietici si spartirono era la Polonia, dove noi oggi mandiamo i nostri ragazzi a visitare gli orrendi campi di concentramento tedeschi, chissà come mai però nessuno mandi i nostri ragazzi a visitare la Foresta di Katyn dove i sovietici massacrarono 30 mila polacchi, ossia tutta la classe politica, intellettuale e militare polacca. Naturalmente Treno della Memoria e iniziative simili fanno guadagnare fior di quattrini agli organizzatori. Il business sulle tragedie va avanti da decenni ma nessuno osa parlarne.