SE ‘RETTORE’ INVECE ADESSO E’ DIVENTATO ‘RETTRICE’. OPPURE ‘RETTORA’?
di Raffaele Polo __________
Nella complicata parabola della vita umana, mi trovo nel tratto discendente, nel tratto finale, quello dove, secondo antica saggezza e secondo il Qoelet, preziosa raccolta di saggezza, nascosta nella Bibbia, ci dovrebbe essere il tempo per meditare e capire. Anche se è tardi, tardi per tutto. E l’uomo percorre sempre lo stesso cammino, senza capirci granché…
In questo frangente, però, mi trovo a combattere silenziosamente contro me stesso, ovvero contro tutto ciò che ho accumulato sino ad ora e che forma la mia ‘esperienza’, messo in discussione e vanificato dal contingente.
Un esempio? Non manca, certo.
Ho sempre impostato la mia vita, il mio (poco) sapere alla conoscenza delle regole che, nei secoli, hanno contribuito a realizzare l’armonica struttura della nostra lingua e, naturalmente, della letteratura. Ho letto migliaia di libri, convinto che più si legge e più si migliora.
Ho scritto io stesso tante pagine, cercando di uniformarle allo stile e alle esigenze del mondo che ci circonda. Mi sono imposto, perciò, un fraseggiare e un procedere letterario che soddisfacesse i miei e i più evoluti paradigmi della ‘comprensione letteraria’.
Ero (e sono) un illuso, lo so. E ho finito per scontrarmi con la manifesta indifferenza di chi, semplicemente, non si pone problemi di grammatica e di bello scrivere, visto che anche questa idea di ‘scrivere’ è mutata col tempo e adesso c’è il computer con i più sofisticati programmi, con copia-e-incolla e con l’Intelligenza Artificiale, che lavora per te…
Va bene, allora cerco di sopravvivere e mi viene da ridere (sorridere amaramente, in realtà) quando mi confronto con il nuovo uso che si fa del femminile nella corrente lingua parlata e scritta.
Sono tornato indietro nel tempo, quando nella segreteria dell’Università, in un contesto affollatissimo, dovevo scrivere una domanda (su foglio protocollo, non so se usi ancora) e intestando ‘Al Magnifico Rettore della Università’. Nulla di più facile, ne avrò scritti tantissimi di quegli inutili e roboanti fogliacci con i quali si richiedeva un esame, una esenzione o un certificato.
Oggi, immedesimandomi nella stessa situazione, eccomi a scrivere la medesima petizione: ‘Alla Magnifica Rettrice della Università’, e mi pare strano, ho il dubbio se il termine giusto sia Rettrice o Rettora, cerco di sbirciare nelle altre domande, ma non interessa a nessuno questo mio quesito etico e grammaticale. Uno ha scritto al Rettore, forse non sa che oggi il Rettore è una donna (nella foto, Maria Antonietta Aiello, eletta alla guida dell’Università del Salento il 9 luglio scorso, ndr.) ed è caduto quel comodissimo e granitico diktat che imponeva che ‘il maschile ha prevalenza sul femminile’. Si andava tranquilli, allora, e, anzi, il termine ‘Sindaca’ era usato in tono dispregiativo, così come ‘avvocata’ o ‘capa’.
Il dubbio rimane, però. E ci siamo documentati, dicono tutti che bisogna ‘femminilizzare’ il termine, per rispetto e senso di uguaglianza. Per carità, rimettiamoci al lavoro e cerchiamo di farlo, andando contro le nostre ataviche convenzioni…
‘Ingegnera’, ‘architetta’ e ‘maniscalca’ devono essere accettate, guai a non adeguarsi.
Ma questa sciocchezza ci ha guastato tutto quello in cui credevamo, sin dalle scuole elementari, quando ci insegnavano che la ‘direttrice’ era solo quella del carcere, la nostra era ‘Il Direttore’ (e la sentiamo ancora gridare nel corridoio: Io sono il Direttore!). Oh tempora, oh mores…
Adesso, ci ritroviamo a dover chiedere al nostro destinatario, magari nello stilare una ricevuta, se è maschio o femmina… E non è un domanda facile, vista la moda corrente e la profusione di tatuaggi e piercing. Ma di questo parleremo un’altra volta…
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