NOVITA’ DISCOGRAFICHE / DOPPIA RECENSIONE: PER IL GRANDE OMI, ALBUM OMONIMO E PER LA RIEDIZIONE DI “Toccato dal fuoco – redux” DEGLI ANHIMA

| 17 Agosto 2025 | 0 Comments

di Roberto Molle __________

L’idea era quella di una recensione multipla che comprendesse recenti uscite discografiche più altre ripescate a pelle tra vecchi dischi che meritano di essere riscoperti. Tutto era chiaro, pronto, metabolizzato. I titoli scelti: “Forward” degli Swell Season (Il ritorno a distanza di sedici anni del duo folk-rock composto dal cantautore irlandese Glen Hansard e dalla cantante e pianista ceca Markéta Irglová), “Iter” dei Calgolla” (la band alt-rock se n’è da poco uscita con un album strepitoso; una miscela esplosiva che mette insieme post-rock, post punk, math-rock e prog-metal), “Energumeni” di Energumeni (progetto laterale che vede insieme due figure seminali della scena musicale italiana post-punk: Fabrizio Tavernelli e Manitù Rossi), “Onde” di Maria Mazzotta (splendido ritorno per una delle artiste più interessanti del sud-Italia; dalla musica popolare alla naturale trasposizione world-music e mille altre contaminazioni), “Toccato dal fuoco – redux” degli Anhima (a trent’anni dalla sua uscita, “Toccato dal fuoco” è stato ri-registrato di sana pianta con l’aggiunta di un paio di nuovi brani e l’apporto di ospiti importanti. La cult-band fiorentina torna a infiammare con la voce graffiante di Daniele Tarchiani e il suo grunge lirico), infine “Il grande Omi” del Grande Omi (l’idea di rendere omaggio a una band mai esplosa veramente).

Troppa carne al fuoco rischia di bruciarsi così la musica ha dei tempi di lucida fruizione abbastanza lunghi, è andata a finire che sono rimasto invischiato troppo a lungo con il Grande Omi e gli Anhima. Il tempo è volato e le loro canzoni sono troppo belle. Scriverò degli altri dischi molto presto, lo giuro.

IL GRANDE OMI – “Il Grande Omi”

Ci sono storie che restano aperte in attesa di finali che forse non arriveranno mai. Quella del Grande Omi inizia intorno ai primi anni Novanta e, a oggi, resta una di quelle realtà musicali alternative originali e misconosciute mai veramente esplose. Le cause stanno dentro una serie di congiunture che allo scadere del ventesimo secolo provocarono un terremoto senza precedenti negli ambienti discografici.

Franci Omi al secolo Francesco Ferrari (chitarra, voce, piano) è stato il fondatore della band. Insieme a lui altri quattro musicisti: Nico Meteo (basso), Micaela (voce), Davide Mahoni (chitarra), Bono (batteria), pronti a irrompere sulla scena di quel periodo popolata da diversi gruppi rock emergenti che hanno definitivamente adottato il “cantare” in italiano. Qualche demo, poi l’incontro con i Marlene Kuntz all’epoca poco conosciuti in giro e l’approdo (grazie a un demo passato da Cristiano Godano a Gianni Maroccolo) alla factory del C. P. I. (Consorzio Produttori Indipendi). In quel periodo il Consorzio era una splendida realtà editoriale che raccoglieva nel suo alveo (oltre ai C.S.I. la band di Ferretti, Zamboni e Maroccolo) diverse gruppi della scena indipendente (A.F.A., Il Santo Niente, Ulan Bator, Divine, Ci S’ha, Marlene Kuntz e altri). Nel 1996 esce “Il Grande Omi”, album omonimo che fa vedere di che pasta sono fatti i ragazzi. Rigurgiti post-punk, tendenze noise, liricità e una poetica affidata a una voce acerba che graffia le pareti dell’anima.

Il disco è apprezzato dalla critica (un po’ di premi vinti in giro) ma le vendite non sono un granché, il Consorzio ne limita la diffusione non ristampando il disco. Il Grande Omi suona in giro per l’Italia in un tour che dura un anno, il secondo album è pronto (si chiamerà “Malattia”), dodici brani presentati in concerto che riscontrano grande entusiasmo da parte del pubblico. Ma qualcosa che ha a che fare con il sistema discografico in quel periodo sta inesorabilmente cambiando il corso, dentro un gioco delle parti che vede realtà discografiche indipendenti come C.P.I., Dischi del Mulo e Sonica soccombere sotto il peso di major come Polygram e Universal,non permette, nell’immediato, la pubblicazione del nuovo disco del Grande Omi; Franci a quel punto decide di bypassare il sistema e pubblica gratuitamente l’intero album sul sito internet della band come chiaro atto di opposizione allo “sciacallaggio commerciale” che a distanza di non molti anni riuscirà a fagocitare l’intera scena musicale mondiale.

Quando “Il Grande Omi” venne pubblicato non riuscii ad ascoltarlo, come detto il disco andò esaurito e non venne ristampato. Però avevo ascoltato “Abbandònati”, un brano inserito nella compilation “Matrilineari” del C.P.I. che avevo comprato quasi trent’anni prima, da lì qualche ricerca e ho trovato e scaricato l’album in questione, più un altro splendido che si chiama “Acustico”, registrato in qualche occasione speciale, con quasi tutti i brani dell’album principale più qualche inedito.

La storia del Grande Omi rimane necessariamente aperta perché è essenza di arte, tassello di un puzzle generazionale, urgenza emotiva, anarchia vitale, testimonianza di un’epoca che non si vuole rassegnare a chiudersi. Siamo dalle parti in cui la bellezza non scade mai, la musica si perpetua, si nutre degli ascolti che la tengono in vita.

ANHIMA – “Toccato dal fuoco – redux”

Ancora gli anni Novanta, attaccati a residualità sonore di quegli Ottanta che già si erano raccordati ai favolosi Sessanta. Un scandaglio dentro Firenze, una città che quegli anni ha contributo a renderli miliari  “partorendo” band che restano nell’immaginario musicale di più generazioni: Diaframma, Litfiba, Moda, Bandabardò. Eppure, tra questi nomi ne manca uno, non meno importante, coevo, collegato in qualche modo a quelli citati, marchio tangibile di una realtà musicale più “complicata”: quello degli Anhima.

Nel 1995, in pieno fermento grunge la band che vede in Daniele Tarchiani (cantante e chitarrista) la terza via in quanto a carisma insieme a Piero Pelù e Federico Fiumani sulla scena fiorentina, mentre i Diaframma chiudono con “Non è tardi” (insieme ad “Anni luce” e “Il ritorno dei desideri”) un tris di album stupendi, centrali nella loro discografia e i Litfiba hanno da poco pubblicato “Spirito” (terzo capitolo della loro tetralogia degli elementi), gli Anhima pubblicano “Toccato dal fuoco” (secondo album dopo “Dharma” del 1991), un disco notevole, ispirato al sound di Seattle, con i Pearl Jam come numi tutelari e un’energia che irrompe brano dopo brano. La voce di Daniele e calda, profonda, delicatamente graffiante. Anhima in quel periodo oltre a Daniele Tarchiani (tra l’altro anche ex batterista dei Soul Hunter) si componeva di Walter Giovinetto (tastiere), Maurizio Speciale (basso), Pino Gulli (batteria) e Lorenzo Piscopo (chitarra).

“Toccato dal fuoco” regala agli Anhima premi e riconoscimenti, concerti un po’ in tutta Italia.

Sembra fatta, il nome della band sta per essere ascritto nel gotha della scena indie. In organico entrano il bassista Lamberto Piccinni e il batterista Leonardo Martera (che sostituisce Pino Gulli nel frattempo trasmigrato nei C.S.I., Diaframma e PGR), nel marzo del 1999 esce il terzo album “Impossibile mutazione”, caratterizzato da una virata verso l’elettronica anglosassone ma retto sostanzialmente da un’anima rock; a seguire dopo vari stop causati da sfortunati eventi come la chiusura della Flying Records (loro etichetta discografica) e la scomparsa del produttore Sergio Taglioni (figura molto importante per la band), nel 2015 gli Anhima pubblicano “La cruna dell’ago”, forse l’album più identitario in quella fase storica della band. La voce di Daniele Tarchiani è matura al punto giusto, il mood gira come il groove che lo sorregge (“Tutto il mondo è paese”, “Accogli il dolore”, “Un cuore che vola” più altri sette brani non meno interessanti), Pino Gulli è tornato alla batteria e si sente, tutti i musicisti sembrano essere in stato di grazia ma prima della chiusura delle registrazioni, un male incurabile si porta via Lamberto Piccinni a soli 43 anni. Tutto precipita, gli Anhima vengono messi in pausa. Daniele intraprende una carriera solista, nel 2017 incide “Mr. Dan”, un album che contiene anche “Forbidden Colours” un brano di Ryūichi Sakamoto. Cambia vita, fa l’imprenditore (finirà non bene a causa della crisi del 2009), va in depressione, cade nel tranello dell’alcol. Scende all’Inferno più di una volta facendo sempre più fatica a risalirlo, ma ci riesce.

La chiusura del cerchio arriva con la pubblicazione di “Toccato dal fuoco -redux”, pubblicato recentemente a distanza di trent’anni dalla sua prima volta. La riedizione di tutti i brani dell’album originale, risuonati e riregistrati (più due inediti): un progetto iniziato nel 2019 per volere di Daniele Tarchiani e Leonardo Martera (che ha avuto delle pause a causa delle intermittenze di Daniele, nel frattempo in comunità a disintossicarsi dall’alcol; preziosi e molto interessanti i suoi post quasi giornalieri su Facebook, inerenti la quotidianità, pensieri filosofici, analisi politiche e quant’altro lo stimolasse in quel periodo).

Riascoltato più volte “Toccato dal fuoco – redux” rimanda emozioni incubate per tanto, troppo tempo. Il canto di Daniele raggiunge i picchi del passato in alcuni brani, in altri risente del mancato allenamento alle corde vocali (tutto è stato registrato in diversi periodi, in alcuni non stava tanto bene). Ma la sua voce è lì, intatta, pronta a rimettersi in corsa e regalare nuove emozioni. “Un salto nel buio”, “Storie”, “Vivo”, “Pazzo”, “Dritto al cuore”, e così via fino agli altri brani, la capacità di liberare un tempo tenuto sospeso per trent’anni.

Tags:

Category: Cultura

About the Author ()

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Connect with Facebook

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.