DINO TROPEA, SCRITTORE MULTIMEDIALE: “La radio è immediata, viscerale, istintiva”

| 28 Novembre 2025 | 0 Comments

di Cristina Pipoli ______________

“La radio web non ha confini: l’ho fatta a Sanremo durante lo scorso Festival, l’ho fatta dal Regno Unito, l’ho fatta dall’America. Cambiano i posti e i fusi orari, ma la voce e il senso restano gli stessi. Ma soprattutto mi ricorda la ragione per cui non ho mai smesso di lavorare con le parole: perché le storie sono un dialogo, non un monologo. Sono un passaggio di consegne tra chi parla e chi ascolta, un atto di fiducia reciproca. E io, oggi, vivo per quell’atto di fiducia”.

Così Dino Tropea ha iniziato a parlarci delle sue attività da giornalista radiofonico, che affianca a quella di scrittore.

D- Com’è nato questo percorso?

R- “Credo che certe strade si aprano quando smetti di inseguirle come un ordine e inizi ad ascoltarle come una chiamata. Io non ho sempre scritto, almeno non nel senso romantico che ci si immagina. Ho cominciato quando sono entrato nel mondo militare, quando mi hanno insegnato che ogni parola è un fatto, ogni virgola è un ordine, ogni frase può cambiare la lettura di una situazione. La mia scrittura nasce lì, nella disciplina, nei rapporti operativi, negli scenari da analizzare, nelle sintesi che non potevano sbagliare. Era un modo per capire il mondo, non per raccontarlo.

Poi è arrivata l’intelligence, il lavoro di analista, e lì la scrittura e il giornalismo diventavano quasi la stessa cosa: cercare la verità, separare il rumore dal segnale, ricostruire ciò che è invisibile a molti. A un certo punto, e chi ha letto ‘Lasciato Indietro’ o ‘Ombre e Ludi di un Cammino’ lo sa, qualcosa si è incrinato. La parola ha cominciato a bussare da dentro: non più per raccontare, ma per farsi strada, per uscire e diventare altro. Non voleva spiegare soltanto. Voleva cambiare le cose. Ha cambiato pelle.

Così, un giorno, senza averlo pianificato — perché le cose più vere arrivano senza avvertire — mi sono ritrovato davanti a un microfono. Non ero pronto, o almeno non pensavo di esserlo. E invece forse lo ero da sempre, solo che non avevo ancora imparato ad ascoltare la mia voce. Oggi curo un programma settimanale su Talk City Web Radio, che ringrazio. È una radio che, al momento, faccio via telefono, ovunque io mi trovi. Ogni puntata mi allena, mi affina, mi prepara — sì — anche al patentino da giornalista”.

D- Il giornalismo radiofonico è davvero il giornalismo più pulito?

R- “Lo è per me, sì. Perché la radio non ti concede trucchi né ritocchi. Non hai una rete di protezione, non hai scalette di domande preparate giorni prima, non hai quella versione addomesticata del dialogo che in altri contesti fa comodo. In diretta non puoi correggere il tiro: la frase ti esce dalla bocca e vola, nuda, irripetibile, irreversibile. Se sbagli, sbagli davanti a tutti. Se arrivi al cuore, ci arrivi senza trucchi. È una forma di verità che non puoi negoziare.

La radio è immediata, viscerale, istintiva.

È l’unico mezzo che può parlare a quaranta milioni di persone e, allo stesso tempo, sembrare come se si rivolgesse soltanto a te. È camaleontica, perché si adatta a ogni spazio, a ogni viaggio, a ogni solitudine, a ogni cucina, a ogni notte insonne. Entra nelle case, nelle auto, perfino nei silenzi che nessuno vede. Cambia pelle mille volte, ma resta sempre se stessa. E soprattutto… se hai qualcosa nel cuore, arriva. Se non ce l’hai, arriva comunque. La radio ti smaschera e ti salva nello stesso istante. È onesta fino all’osso. Cruda, a volte. Ma proprio per questo incredibilmente vera”.

D- Cosa significa curare un programma radiofonico?

R- “Significa esserci. Sempre. Non per obbligo, ma per responsabilità. Curare un programma quotidiano vuol dire prendere una storia tra le mani come si prende qualcosa di fragile: con attenzione, con rispetto, con il desiderio di farle spazio. Vuol dire dare voce a chi non ce l’ha, a chi da anni urla in silenzio, a chi non ha mai trovato un microfono disposto ad ascoltare davvero. E allo stesso tempo significa offrire un ponte a chi ha una voce autorevole, limpida, necessaria, ma non ha gli strumenti per farla arrivare lontano. La radio fa questo: apre corridoi dove prima c’erano muri, connette persone che non si sarebbero mai incrociate, trasforma un messaggio in un movimento. Ogni storia che porto in diretta mi cambia, un po’ mi scava e un po’ mi rimette al mondo. E dentro tutto questo c’è la gratitudine, quella vera, quella che non ha bisogno di aggettivi. Perché Talk City Web Radio non è solo una radio. È un presidio umano, un luogo sociale, un punto di ascolto collettivo. È una piattaforma che dà spazio a realtà che altrove non avrebbero cittadinanza, è una casa aperta ai fragili, ai creativi, ai combattenti silenziosi e meno silienziosi. Io non avevo pensato di bussare a quella porta. Loro l’hanno aperta lo stesso. E questo, per me, ha un valore che non si misura in numeri, ma in coscienza.

È nato tutto da un incontro semplice: ho visto l’icona di Talk City, mi sono proposto per un’intervista dentro il percorso di Sanremo Writers 2025. Pensavo potesse interessare, niente di più. Invece Corrado Orfini mi ha ascoltato e mi ha offerto un programma. Da lì è iniziato tutto. E già che ci siamo… venite ad ascoltarci. Una radio vive solo se qualcuno, dall’altra parte, decide di restare un attimo in più. Ed è in quell’attimo che, spesso, si accende una scintilla che non ti aspetti”.

D- Collabora anche con Mondospettacolo, Alessandria Today e LiquidArte. In che modo?

R- “Racconto ciò che conta. Cultura, arte, teatro, letteratura. Ma lo faccio con i piedi per terra, come redattore di Talk City prima di tutto. Da lì parte tutto: la linea, l’etica, la direzione. Talk City mi dà la libertà di scrivere anche per altre realtà — Mondospettacolo, Alessandria Today, LiquidArte — ognuna diversa per natura, per pubblico, per territorio. E io questa libertà la uso in modo sapiente, quasi strategico: sfrutto le caratteristiche di ogni redazione per veicolare notizie che meritano attenzione e per promuovere attività mirate su temi sociali e culturali. Quando hai più voci a disposizione, puoi far arrivare il messaggio più lontano. Grazie a queste collaborazioni riesco a strutturare contenuti che parlano a target diversi e, soprattutto, a raggiungere letteralmente milioni di potenziali lettori a livello nazionale. È un lavoro intenso, ma è il modo più efficace che ho trovato per dare forza alle storie che voglio portare in superficie. E continuo a farlo con gratitudine: verso Talk City, che mi sostiene”.

D- E poi c’è ‘Cadenze Letterarie’. Cosa rappresenta per lei?

R- “È il mio modo di restituire qualcosa. Cadenze Letterarie non è solo un salotto: è un format che nasce presso La Grooveria (locale di Fiumicino, Lungomare della Salute 53, ndr) e devo ringraziarli per l’accoglienza, per la fiducia, per il modo in cui ci hanno aperto le porte come se ci conoscessimo da sempre. Lì dentro abbiamo costruito uno spazio multidisciplinare, fluido, dove la letteratura incontra la musica ed altre forme di arte, dove le parole fanno posto alle voci, dove il racconto diventa un’esperienza condivisa. Lo conduco io, certo, ma non sono solo. Con me ci sono amici che sono diventati parte integrante del format: professionisti veri, ma soprattutto persone che ci mettono passione, presenza, calore. Sono loro a rendere ogni evento un piccolo mondo a sé. Ultimamente Cadenze Letterarie è diventato anche talent scout, e questa cosa mi riempie d’orgoglio: abbiamo portato sul palco giovani talenti straordinari come Melissa Nasti e Flavia Renzi, tredici e sedici anni, reduci da Io Canto Family. Hanno cantato sul palco presso La Grooveria creando una serata irripetibile, dove la letteratura e la musica si sono fuse in un unico respiro. Iconica la foto di fine serata con l’autrice Patrizia Bettinelli del libro e delle ragazze. E la cosa più bella è che non è stato un caso isolato. Da diversi eventi ormai la sala è piena. Piena davvero. Un pubblico attento, curioso, entusiasta. Gente che viene per ascoltare, per capire, per lasciarsi toccare. Essere curatore letterario significa anche questo: tenere viva la parola degli altri mentre custodisci la tua. E Cadenze Letterarie, ogni volta, mi ricorda quanto sia potente condividere ciò che ami”

D- Gestire tutte queste attività, non è impegnativo?

R- “Lo è, eccome. Ma è quella fatica buona, quella che assomiglia a una lunga uscita in moto. Arrivi stanco, con le gambe dure, ma con un sorriso che ti si arrampica sul viso. E dici: domani si ricomincia. Se non avvertissi questa fatica, forse non sarei sulla strada giusta. Per me questa fatica è anche ricchezza personale e sociale: mi nutre dentro, mi rende più vero, e allo stesso tempo mi mette in circolo con gli altri, perché ogni puntata, ogni voce che incrocio, crea connessioni che restano e allargano la strada per tutti”.

Category: Cultura

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