IL SAN MARTINO DEI SALENTINI FUORI SEDE

| 13 Novembre 2012 | 0 Comments

A partire da sinistra Marta Tronci, Alessandra Piro, Marta Ciccarese, Serena Di Nunno e Daniela Ramundo

 

Roma –    Nelle lunghe ed uggiose domeniche d’autunno, una Gloomy Sunday di silenzio pervade lo studente fuorisede. La nostalgia si insinua tra i pensieri felici della serata precedente, trascorsa in piacevole compagnia con gli amici passeggiando per le intricate viuzze di Trastevere. Nelle casa vuota manca la famiglia rumorosa, manca l’odore del pesce preparato magistralmente dalla propria madre, mancano persino gli odiosi interminabili pranzi con parenti vari ed eventuali. Per rimediare ad un tale Deserto dei tartari degli affetti, si creano occasioni di incontro, invitando gli amici a mangiare qualcosa o a vedere le partite nel pomeriggio.

Se poi quella particolare domenica coincide con una festività celebrata solo nella propria città, la volontà di ricreare la medesima atmosfera di gioiosa spensieratezza e di condividerla coi propri conterranei vince la pigrizia del rinchiudersi in casa anche dopo un temporale.

Nel giorno di San Martino, i salentini di Roma sentono il bisogno di poter chiedere un bicchiere di “mieru” ed essere capiti.

A San Lorenzo, per esempio, nell’associazione “Sotto casa di Andrea”.

Nonostante abbia piovuto ininterrottamente e per tutto il giorno e le strade siano allagate, c’è la fila per entrare. Mi avvicino, ed immediatamente mi rendo conto che la stragrande maggioranza del presenti utilizza l’articolo prima del nome proprio femminile, sbaglia la z o la raddoppia quando non dovrebbe e dice “tre” con quattro t: sono salentini, proprio come me. Mi sento a casa.

Entrando, un’altra sorpresa per i nostalgici fuori sede: la pizzica suonata dal vivo, marchio di fabbrica del leccese d.o.c. Molti ascoltano e sorridono, i meno timidi si lanciano nella tipica danza scomposta che in altre serate difficilmente possono ballare.

Con l’ingresso si ha diritto ad un bicchiere di vino: niente superalcolici quindi, nel rispetto della migliore tradizione. Gruppi di ragazzi cantano “mieru, mieru mieru lalà” , altri i cori degli Ultras Lecce.

Anche per i golosi quest’occasione d’ incontro si rivela una fonte di soddisfazione: un banchetto distribuisce pittule, rustici ed altri pezzi di rosticceria .

Nonostante sia arrivata abbastanza tardi, dopo un’ora c’è ancora gente che continua ad affluire nel locale. Qualcuno però se ne va, e prosegue i festeggiamenti “in maniera più intima, a casa, con gli amici di sempre, e qualche bottiglia di buon Primitivo di Manduria”.

A fine serata, convinta ormai che la riproduzione del San Martino tipo sia riuscita alla perfezione sento un ragazzo citare nostalgicamente un famoso detto dialettale: “Utai, utai, utai, megghiu te la casa mia nu truai.” (Girai, girai, girai, meglio della casa mia non trovai.).

Di certo Roma è una città immensa per la sua arte, la sua storia , e le grandi possibilità che offre in tutti i settori, imparagonabile alla modestia di Lecce: ma in una cosa devo dar ragione a quel ragazzo: le pittule, buone come le fa mia nonna, non le fa nessuno.

Maria Vittoria Vernaleone

Category: Costume e società

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