ALFREDO ANCORA. UN GIORNALISMO FATTO DI GARBO E SERIETA’.

| 13 Giugno 2014 | 0 Comments

Un anno fa il giornalista Alfredo Ancora ci lasciava.

Quando appresi la notizia della sua morte sentii come un pugno nello stomaco, come quando si apprende della scomparsa di un caro amico.

Eppure con Alfredo non eravamo amici, non conoscevo la sua famiglia né i suoi trascorsi politici e amministrativi, lo avevo conosciuto per lavoro, il suo lavoro, quello di giornalista, quando mandavo i comunicati stampa al suo giornale, in qualità di consigliere di minoranza nel mio comune.
Un’opposizione dura, fuori dai partiti, contro i partiti, all’interno di un circolo culturale, dove l’aggettivo culturale voleva significare non tanto e non solo tavole rotonde, ma soprattutto il tentativo di cambiare una cultura tipica delle nostre parti, della nostra gente, sempre pronta a piegare la schiena dinanzi al potente di turno, dove la cultura politica è intrisa da un lato da raccomandazioni e dall’altro  dai ricatti.

Insomma un modo di far politica irriverente, fuori dal tempo, almeno di quel tempo, ma forse anche del nostro.

Un grillino ante litteram, tanto per intenderci.

Perché scrivo questo, perché nonostante le mie prese di posizioni scomode, e a volte rischiose, Alfredo, a differenza di altri suoi colleghi, tutte le volte che lo chiamavo era sempre disponibile ad ascoltare anche quando era super impegnato nel suo lavoro. Se non poteva rispondere al telefono in quel momento mi richiamava, ascoltava faceva l’avvocato del diavolo, sempre attento a tirarti fuori la verità, magari con qualche domanda ironica o con qualche battuta polemica. Quando perdevo la pazienza, allora chiosava, con un “ va bene, ho capito, ho capito…sine Cavaliere aggiu capitu…era solo per essere sicuro”.
A differenza di tanti giornalisti nostrani, sempre al servizio dei potenti, lui il fascino del potere non lo subiva e gli episodi che gli raccontavo, venivano sempre verificati e poi riportati fedelmente.
Fu per questo che alla fine nacque questo rapporto, che oggi non saprei se definire anche di amicizia, ma certo di stima e a volte di complicità.

Il suo atteggiamento quieto, di persona tranquilla, qualche anno addietro avrei detto di moderato, mi infastidiva. Il suo comportamento da cronista distaccato che non riuscivo a coinvolgere emotivamente nelle mie battaglie moralizzatrici, lo vivevo come una sconfitta, e quando gli esprimevo questo mio disappunto, lo vedevo prima sorridere, poi iniziava a dire qualcosa come se volesse raccontare, ma poi una sorta di pudore aveva la meglio su di lui, desisteva, poi, lo vedevo per un attimo perso dietro i suoi pensieri, di colpo si trasformava, rosso in volto e alzando la voce che diventava  rauca pronunciava mezze frasi del tipo “ lo so che hai ragione..sapessi…sapessi, ti capisco ah se ti capisco… purtroppo…” chi invece non capiva ero io.
L’ho capito dopo cosa voleva dirmi.
Lui non solo non era un moderato politicamente, ma non lo era neanche nel senso comune del termine, invece era stato un uomo che aveva fatto le sue battaglie anche da amministratore nel comune in cui viveva, Calimera , per cui chi meglio di lui poteva comprendere quanto fossero vere le mie denunce, che lui puntualmente pubblicava, nonostante le telefonate che giungevano in redazione per redarguirlo.
Certo, lui era stato eletto nelle liste del P.C.I. prima e del PDS poi, e leggevo sul volto il suo disappunto, il suo dispiacere quando gli raccontavo che nella mia realtà, quel partito, non solo localmente, era complice di certi potentati economici al pari di altri.
Ho capito dopo, perché a volte mi guardava con tanta intensità e con una dose di incredulità nel vedere uno che si definiva anticomunista convinto, di destra, dare luogo a battaglie di libertà, quasi sempre in favore dei più deboli, battaglie per moralizzare la vita pubblica, battaglie che secondo lui non potevano che essere di sinistra.

Mentre scrivo, affiorano i ricordi, i flash.

A volte mi sorrideva con atteggiamento di sfottò, quando lo trattavo come il giornalista che scendeva da una  sorta di olimpo, la redazione del Nuovo Quotidiano di Puglia, per incontrare noi poveri mortali, mi guardava dritto negli occhi e con quel sua cadenza particolare quando parlava in dialetto, mi ricordava che lui era figlio della nostra terra che era nato a Zollino,  lì dove io ero andato a prendere moglie.
Dopo la sua morte ho scoperto che aveva scritto addirittura un libro, “UN PROCESSO PER CASO” dove raccontava tra l’altro una sua disavventura giudiziaria, una storia di malagiustizia ad opera di un noto giudice leccese, poi imputato per corruzione e peculato.
Leggendo il nome di quel giudice, ho rammentato che era stato il Pubblico Ministero in un processo al quale partecipai, all’età di diciotto anni, in qualità di imputato.
Per fortuna anche nel mio caso, il processo terminò in un nulla di fatto.
Caro Alfredo, se da dove sei ci leggi, sappi che non manchi solo alla tua famiglia, ai tuoi amici più cari, ma anche a chi come me ti frequentava sporadicamente; e se là sopra dirigi di qualche giornale importante, dai spazio a qualche rompiscatole che con atteggiamento irriverente fa le pulci a San Pietro, così come facevi qui con noi.

 

V.M.

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Category: Cultura

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