SE LA SCOLLATURA E’ TUA E’ SESSISTA, SE IL NUDO E’ MIO VA BENE.

| 4 Dicembre 2014 | 1 Comment

(t.l.)______Un elegante manifesto, che a dispetto del prodotto, una semplice farina, spicca sui cartelloni pubblicitari. La ragazza ritratta è di una bellezza semplice, naturale, come naturale appare quell’accenno di seno. Tutto dà il senso della bontà e della genuinità del prodotto.
Eppure…
Un giornale on line locale grida allo scandalo, UNA DONNA AMMICCANTE PER PUBBLICIZZARE UNA FARINA: MANIFESTO SESSISTA IN CITTA’.

Non abbiamo capito cosa c’entri il sessismo con una scollatura, comunque andiamo avanti.

La pietra dello scandalo (sic!) è l’abbondante scollatura della pizzaiola presente sul manifesto.
 La cosa curiosa è, che nella testata del giornale che grida allo scandalo, campeggia una pubblicità con  UNA DONNA COMPLETAMENTE NUDA, fotografata in una delle classiche posizioni erotiche, accompagnata dall’eloquente messaggio: EFFICACE, RAPIDA E SICURA.
Ora al pari di chi ci ha segnalato la notizia, ci chiediamo in una società fortemente sessualizzata come la nostra, per non dire pornografica, dove il sesso spunta da tutte le parti, in tutte le ore dagli schermi televisivi, dalle pagine dei giornali, per non parlare di internet,   COME MAI CI SI SCANDALIZZA DI UNA SEMPLICE SCOLLATURA SU UN MANIFESTO?

Andando in giro per la città si notano simboli che riportano all’eros  e donnine nude che spuntano dall’interno delle vetrine, dall’edicole, persino dai marchi di elegantissime gioiellerie del centro.
Non è passato molto tempo da quando il nostro sindaco inaugurò una mostra di nudi integrali, realizzata da un noto fotografo leccese che per l’occasione utilizzò come modelli, professionisti leccesi, uomini e donne che si prestarono a posare per l’occasione. 
E nella liberale e libertina città barocca c’è qualcuno che si scandalizza per una scollatura?
C’è qualcosa che non torna.
E siccome non è la prima volta che accade, cominciamo a pensare che non sia un caso, quindi proviamo a fare il nostro lavoro di giornalisti, proviamo a capire.
Ogni tanto nella nostra città, qualcuno si sveglia e grida allo scandalo, se su un cartellone spunta un seno, una coscia troppo lunga, ora addirittura ci si tira i capelli, per una semplice scollatura.
Si potrebbe pensare a dei neo-moralisti, ma non è così.
Era successo qualche mese fa, in estate un piccolo negozio di arredamenti decide di fare la svendita di divani, siamo in piena crisi ognuno si ingegna come può.

Vengono affissi una decina di manifesti  con una signora in topless stesa sul tappeto al bordo del divano, la scritta: “ Lo Stato ti mette in mutande? …. resta pure in mutande, ma mettiti comodo” e poi lo sconto del 50%.
E mentre le nostre spiagge pullulano di ragazze in topless, un politico locale manda un comunicato ripreso da tutti i giornali, con il quale si invita la ragazza (la modella) a non posare per manifesti pubblicitari, ma cercare altri modi per gratificarsi.
La modella ovviamente degli inviti moralistici di chi tutti i giorni inviava comunicati stampa per apparire sui giornali non gliene fregava niente, perchè non solo ha avuto il piacere di veder celebrata la propria bellezza ma in più è stata pure pagata.
Nell’arco della settimana, colleghe e colleghi del politico nostrano intervengono a dare man forte. Scrivono persino al garante del Codice di Autodisciplina della Pubblicità.

Uno pseudo pubblicitario che ha rapporti lavorativi con l’amministrazione locale, di cui il politico fa parte viene chiamato a dire la sua.
Si scatena la caccia alle streghe si arriva persino ad invitare i cittadini a boicottare il negozio.
Qualche ragazzetto preso dal sacro fuoco  della Santa Inquisizione armato di spray copre le tette sui manifesti.
I giornali pubblicano le foto, e così mentre i primi giorni scrivono dell’iniziativa in maniera goliardica, ora i discorsi si fanno seri, lo sfruttamento dell’immagine femminile e la violenza sulle donne, mancava solo il femminicidio.
Addirittura qualche deputato ha pensato bene di presentare un’interrogazione parlamentare.

Tutto questo clamore sortì l’insperato effetto che le vendite del negozio  aumentarono a dismisura.
La modella era contenta, l’agenzia che aveva preparato il manifesto pure, il negoziante gongolava, ma a qualcuno quel manifesto aveva dato fastidio, e non si capiva perché.

Anche perché il tutto risultava ancora più strano perchè a fianco della prosperosa padrona di casa che accarezzava il suo divano, vi era un’altra modella anch’essa in mutande che però pubblicizzava un noto  brand nazionale, e i cui manifesti erano affissi sulle plance del Comune a fianco a quelli incriminati.
Quindi più di qualcuno si è chiesto come mai il topless del negozio salentino è scandaloso e quello che pubblicizza un grande marchio no?

All’inizio si pensò che il politico locale in quel periodo dell’anno essendo a corto di argomenti, cercasse della visibilità a buon mercato, poi  si venne a sapere che questo personaggio intratteneva rapporti di amicizia con una grossa agenzia di pubblicità venuta da fuori, concorrente di quella leccese che aveva curato la pubblicità al negozio di divani.
E questo a molti sembrò il motivo del moralistico intervento.

Ma torniamo all’oggi.
Perché la scollatura di una pizzaiola su un manifesto che da dieci anni viene periodicamente affisso solo oggi trova un nuovo Catone  Censore che grida allo scandalo?
E come mai questo moralista non si accorge che proprio sul giornale che ospita il suo articolo sono presenti donnine nude?

I conti non tornano, chiedere un ritorno agli anni ’50, quando venivano censurate le scollature e le gonne sopra le ginocchia, è evidente che non ha senso.
E allora non di moralismo all’acqua di rosa si tratta, ma di interessi precisi.

Siamo in un periodo di crisi, tutti i media, compresi i nostri giornali on-line vivono di pubblicità, e ognuno cerca di giocarsi al meglio le proprie carte per accaparrarsi gli sponsor, cercando di togliere credibilità alla concorrenza.
Ovviamente c’è anche chi gioca sporco, chi bara.

Analizziamo quali sono i rapporti tra le testate on-line e le concessionarie di impianti per le affissioni. I più si ignorano, alcuni hanno contatti sporadici, alcuni si scambiamo delle cortesie, altri invece collaborano.

Non è un segreto per nessuno che in quest’ultimo anno sono venuti alla luce i tentativi del Comune di Lecce di rendere la vita difficile a chi si occupa di cartellonistica e affissioni.
Sono battaglie che solo adesso stanno venendo alla luce, ma esistono da anni, fatte in modo sotterraneo, che ai più sono sfuggite, ma che come conseguenza hanno prodotto la chiusura di tante aziende locali, mentre, sempre più  in città aumentano gli impianti di pubblicità di aziende che vengono da fuori, i cui rapporti con rappresentanti delle istituzioni non sono neppure tanto velati.

Per cui l’articolo aveva l’obiettivo di prendere due colombi con una fava, creare problemi ad un concorrente scomodo, e  ingraziarsi l’amministratore comunale, al quale si può sempre andare a chiedere una cortesia o uno sponsor.

Ma al di là di quanto su scritto, ciò che invece ci fa paura, è che un giornalista, un pubblicista, ma foss’anche un praticante, auspichi la censura per i mezzi di comunicazione, e citi come esempio il Comune di Galatina che ultimamente avrebbe introdotto una norma che limita il diritto di espressione tramite manifesti.

Se lo ha fatto, il comune salentino ha violato una norma costituzionale.
Le affissioni commerciali e istituzionali, al pari di altri strumenti di comunicazione godono dei diritti garantiti dall’art. 21 della Carta Costituzionale, dove si può leggere: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
E più volte la giurisprudenza si è espressa nel senso di tutelare tutte le forme di espressione frutto della creatività e del libero pensiero.
Stiamo attenti a chiedere censure che iniziano con le affissioni e finiscono con il web.

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Category: Costume e società

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Comments (1)

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  1. nicola ha detto:

    E’ la solita storia del bue che chiama cornuto all’asino, solo che in questo caso lo fa per fottergli l fieno.

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