UN DOCU – FILM DIVENTATO PROGETTO POLITICO / PARLA LA SOCIOLOGA MILANESE VALERIA VERDOLINI, A LECCE PER LA PROIEZIONE DI “Io sto con la sposa”

| 10 Aprile 2015 | 3 Comments

di Paola Bisconti______

A margine della proiezione di “Io sto con la sposa”, il docu-film di Antonio Augugliaro, Gabriele Del Grande e Khaled Soliman Al Nassiry, svoltasi, come riferito su leccecronaca.it, ieri sera, presso i Cineporti di Lecce, ho incontrato Valeria Verdolini (nella foto), ricercatrice presso l’Università degli Studi di Milano.

Sociologa del diritto e attivista, presidente di Antigone Lombardia, Valeria si è occupata di processi di democratizzazione, movimenti sociali, primavere arabe, carcere, politiche di sicurezza, migrazioni, giustizia penale, femminismi.

Lei stessa ha preso parte al viaggio del film, iniziato la mattina del 14 novembre 2013, quando, davanti alla stazione centrale di Milano, un gruppo di ventitré persone, tra Italiani, Palestinesi e Siriani, tutti vestiti in modo elegante come se stessero davvero andando a un matrimonio, decide di partire per raggiungere la Svezia.

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Mancano pochi minuti all’inizio dell’appuntamento, c’è un’aria euforica nel padiglione delle Manifatture Knos. La gente arriva numerosa e cerca di trovare un posto in sala che sembra già colma. Alcune ragazze indossano un velo bianco in testa come gesto di solidarietà, come per dire “anche io sto con la sposa”. C’è un bel clima, sembra una vera festa. In realtà siamo tutti molto contenti anche solo per il fatto di poter vedere una pellicola di cui tanto si è parlato. Siamo in molti a condividere gli scopi di questo progetto cinematografico.

In fondo, le nostre coste, dopo quelle siciliane, sono la meta di numerose persone che decidono di scappare dalla propria terra perché colpita dalle guerre.

Ma un altro dettaglio mi fa riflettere. La sede dove si è tenuto l’incontro rappresenta forse più di altre il crogiuolo di una fusione di nazionalità, di diversità, di condivisione.

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Valeria è arrivata e io mi faccio prendere, come al solito, da un’euforia professionale e credo di apparire agli occhi di chi mi sta di fronte forse un po’ eccessiva, ma non riesco a non complimentarmi con lei.

Le dico di aver letto diversi suoi articoli, di cui uno in particolare mi ha colpito e le cito le frasi tratte proprio da questo “pezzo” pubblicato sulla rivista “Doppiozero”.

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D) – Prima l’adesione straordinaria al crowdfunding per la realizzazione del film, poi i prestigiosi riconoscimenti a questo eccezionale lavoro cinematografico…tutto ciò ci fa convincere del fatto che siamo in tanti a stare con la sposa. Constatare che gli invitati siano stati più del previsto lascia sperare sul desiderio comune di volere un’Europa diversa, “non più da condannare ma da festeggiare”…

R) – Questa è la venticinquesima settimana della sposa in sala e per un film prodotto dal basso è sicuramente un gran successo che scalda il cuore. Definire “Io sto con la sposa” solo un film potrebbe apparire riduttivo dato che è principalmente un progetto politico. Lo è stato per noi ma anche per le persone che hanno deciso di sostenerlo. Oggi più che mai presentare il film è emozionante perché i nostri invitati a nozze vengono da Yarmuk, città sotto assedio dalle forze dell’Isis, quindi presentare il nostro lavoro in questo particolare periodo ci consente di festeggiarlo con un po’ di amaro in bocca.

D) – Il documentario rappresenta uno strumento utile per compiere insieme a voi un viaggio reale ma che a tratti appare immaginario, fantasioso, onirico. Può davvero il cinema abbattere le barriere del razzismo e sensibilizzare senza falsi buonismi sulla situazione di chi scappa da quei “pezzetti dolenti di mondo” per poter scegliere dove andare a vivere?

R) – Il tentativo della sposa è quello di provare a ribaltare la cosiddetta estetica della frontiera. “Io sto con la sposa” non è l’unico film che parla di immigrazione e sicuramente non sarà l’ultimo, però l’idea di raccontare l’Europa che vorremmo dove si possa concretizzare il diritto al movimento è un modo per far comprendere che dietro a una fuga non ci deve essere bisogno di persone più buone di altre pronte ad accoglierle, ma semplicemente deve essere garantita una libertà di spostamento.

D) – Sempre su Doppiozero ha scritto “In fondo anche questa è a suo modo una favola dove i nostri viaggiatori hanno scelto di rinunciare al loro essere cittadini di un luogo rischiando di essere tramutati in schiuma del mare, non per amore come quella della fiaba danese, ma per un sogno di libertà”. La traversata nel Mediterraneo come sappiamo può rivelarsi spietata. Come possiamo auspicare che torni ad essere un mare della speranza e di pace se le strategie politiche continuano ad essere fortemente intrise di valori discriminatori?

R) – Sicuramente rendendo più facili gli attraversamenti. Se le persone potessero partire con un documento valido di viaggio e richiedere un asilo pre partenza come spesso accade non ci sarebbero difficoltà. Purtroppo molto dipende dalle condizioni economiche, non a caso a Yarmuk, un campo di 160.000 persone, ne sono rimaste 30.000 ossia coloro che non avevano gli strumenti per fuggire. Ragionare sui modi per evitare che il viaggio sia affidato ai trafficanti potrebbe già essere un cambio di prospettiva che potrà rendere meno pericoloso il tragitto.

D) – Per concludere cito un’ultima sua frase: “E mi sento fortunata, all’improvviso di ciò che ho e che è sempre stato un pezzo naturale della mia storia, è un privilegio. Con il mio passaporto, che ho sempre avuto senza nessuno sforzo”. La negazione dei diritti basilari è ciò che più la indigna e l’ha indotta a prendere parte a questa avventura?

R) – Io di solito mi occupo di carcere, per cui la detenzione non è una cosa che mi stupisce. Ma se da una parte ho imparato ad accettare quella penale, dall’altra non riuscivo a capacitarmi sull’idea che esistesse una detenzione amministrativa. Questa realtà mi ha fatto pensare a quanto possiamo essere ipocriti. La responsabilità politica è divisa equamente tra tutte le persone che fanno parte della comunità per cui tutto ciò mi ha convinto che era giusto prendere parte al viaggio. Di certo dopo questa esperienza non mi sento diversa o più coraggiosa di prima. Semplicemente quando ho ricevuto l’invito ho pensato che non avrei potuto non accettarlo e spero che ci siano altre occasioni da vivere simili a questa.

Ci salutiamo sorridendo felici di stare senza se e senza ma dalla parte della sposa.

 

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Category: Costume e società

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Comments (3)

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  1. francesco conte ha detto:

    https://www.youtube.com/watch?v=FFKq0Idgi6c

    IO STO CON LA SPOSA, NO TU NO.

    “Non è un film che fa sognare, non mi ha fatto ridere nè piangere, i personaggi non sono particolarmente interessante, insomma non mi sono annoiato solo per pochi minuti quando c’era il ragazzino di 12 anni che gli piaceva il rap in Arabia, insomma non vedevo l’ora di uscire…ti dà l’idea di un terzomondismo buonista secondo il quale un palestinese non interessante e pur sempre più interessante del tuo vicino di casa che è uguale a lui se non per il fatto che è italiano….NON E’ PEDAGOCICO, NON E’ EDUCATIVO, QUINDI NON E’ UN DOCUMENTARIO, DOVREBBE ESSERE UN FILM, ma se la storia non mi prende, è un fallimento come documentario e come film.”

  2. francesco conte ha detto:

    https://www.youtube.com/watch?v=FFKq0Idgi6c

    IO STO CON LA SPOSA, NO TU NO.
    Questo film non funziona e nel video vi spiego perchè.

  3. francesco conte ha detto:

    “Io sto con la sposa”, non è un documentario, e se vogliamo considerarlo un film, è un brutto film, la verità è che non è un documentario non è un film, è molto semplicemente dell’attivismo politico, utilizzando la macchina da presa.
    E’ noioso, con una serie di luoghi comuni, la retorica si spreca.
    Sono entrato in sala con tanto entusiasmo lo aspettavo questo film super pubblicizzato, e poi invece non vedevo l’ora che la proiezione terminasse, perchè mi ero veramente annoiato.
    Nel video su you tube “Io sto con la sposa, no tu no”, analizzo il film e spiego perchè non funziona.

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