PROVERBIO SALENTINO DI OGGI MERCOLEDI’ 10 GIUGNO

| 10 Giugno 2015 | 0 Comments

Oggi, 10 giugno la Chiesa cattolica festeggia la Beata Diana degli Andalò.
Nacque a Bologna nel 1200, Diana favorì l’insediamento dei Domenicani a Bologna, e convinse San Domenico di Guzman a fondare anche un monastero femminile nella sua città.
Proverbio salentino del giorno:
FIMMENA, ARCU, CULONNA, CARICA QUANTU UEI CA NU SSE SFONNA.

Vale a dire che sulla femmina, sull’arco e sulla colonna, puoi metterci tutto il peso che vuoi senza temere di fare danni.

Sugli archi e sulle colonne si è “poggiata” tutta l’architettura antica. I romani poi dell’arco ne hanno fatto un larghissimo uso e non c’è città del mondo antico che non conservi ancora qualche antica struttura sorretta da archi. Si tratti di palazzi, ponti, templi, porticati ecc.

Cosa ha a che fare donna o se preferite la femmina, con questi elementi architettonici? Si potrebbe dire che la donna è sempre stata la colonna portante della famiglia e quindi della società, era lei che accudiva prima padre, poi il marito e i figli, gestiva l’economia e l’organizzazione della casa e dell’orto, era lei che si faceva carico dell’educazione dei figli, era la consulente e l’amante del marito, ecc.

Ma è proprio a questo che il proverbio si riferisce?

I maliziosi sono propensi ad un’altra interpretazione, legata alla sessualità della donna, che avendo una capacità e una resistenza di gran lunga maggiore rispetto all’uomo, ha bisogno che questi gli dedichi grande attenzione, mettendo in campo tutta la sua virilità per renderla felice.

Ovviamente non si trattava solo di una questione di resistenza fisica, la verità è che la donna ha una sessualità molto più complessa rispetto a quella dell’uomo, non è questa la sede per approfondire, comunque diciamo che i nostri vecchi erano consapevoli, o comunque intuivano che vi erano delle esigenze che dovevano essere soddisfatte, e che spesso la donna non si esprimeva chiaramente, per pudore o per altro. Per cui all’uomo veniva suggerito di darsi completamente e di non risparmiarsi.

Naturalmente il linguaggio era quello di un tempo, rude, oggi si direbbe maschilista, ma serviva per insegnare ai più giovani a donarsi con generosità, perchè la donna era in grado di accogliere, di reggere qualsiasi ritmo, e quindi non bisognava essere timorosi o aver paura di farle male, ” di sfonnarla”.

 

 Il 10 giugno 1924 veniva assassinato Giacomo Matteotti.

Più volte deputato, fu segretario del Partito socialista unitario (1922). Convinto antifascista, fu ucciso in seguito alla denuncia che aveva fatto dei brogli commessi dai fascisti durante le elezioni del 1924. Il suo assassinio costituì il prodromo della soppressione del regime parlamentare.

 

Venne eletto alla Camera nel 1919, 1921e 1924; come parlamentare sostenne la riforma agraria e la polemica antiprotezionistica, mentre, testimone degli esordî dello squadrismo padano, maturava un antifascismo senza cedimenti. Dopo l’espulsione dei riformisti dal PSI e la nascita del Partito socialista unitario, nel 1922, fu eletto all’unanimità segretario della nuova formazione. Il 30 maggio 1924, alla riapertura della Camera, tenne il famoso discorso che denunciava le violenze e i brogli commessi dai fascisti nella recente campagna elettorale; aggredito e rapito il 10 giugno successivo da sicarî fascisti, il suo cadavere fu ritrovato due mesi più tardi. La sua morte, la cui responsabilità, quanto meno politica, era palesemente attribuibile al PNF e allo stesso Mussolini, provocò la grave crisi politico-parlamentare culminata nella secessione dell’Aventino e conclusasi con il discorso di Mussolini del 3 genn. 1925. I sicarî furono processati e condannati nel 1926.

 

Lo storico socialista Renzo De Felice, ritiene che Matteotti fu ucciso per motivi diversi da quelli narrati dalla storiografia ufficiale, infatti dedica numerose pagine alle aperture mussoliniane verso sinistra prima e dopo le contestate elezioni del 1924, e bruscamente interrotte dal delitto Matteotti. In particolare al discorso parlamentare del 7 giugno 1924 (tre giorni prima del rapimento di Matteotti), nel quale lo storico individuerebbe fra le righe l’offerta “ai confederali di entrare nel governo”. De Felice prosegue anche nel notare che erano proprio i socialisti più intransigenti (Matteotti, Turati, Kulisciff etc.) i più preoccupati (oltre, ovviamente, all’ala destra del fascismo) da questo possibile “spostamento a sinistra” di Mussolini.

 

Fra le motivazioni del rapimento o comunque fra gli strascichi del delitto, infatti, una tra le interpretazioni sarebbe che vi fosse il tentativo del fascismo intransigente di colpire direttamente Mussolini e la sua politica di apertura a sinistra e di parziale legalità parlamentare, impedendogli un riavvicinamento con i sindacalisti di sinistra (Mussolini aveva appena chiesto ad Alceste De Ambris di assumere incarichi di governo, ottenendone rifiuto) e perfino coi socialisti e la Confederazione Generale del Lavoro (CGL).

 

Carlo Silvestri — giornalista al tempo in forza al Corriere della Sera, di fede socialista e amico fraterno di Filippo Turati — fu uno fra i grandi accusatori di Benito Mussolini in rapporto al delitto Matteotti, ma successivamente, riavvicinatosi a Mussolini, durante la Repubblica Sociale Italiana (al punto da esserne definito come l’ultimo suo amico) disse di aver accentuato le proprie accuse per fini di convenienza politica.

 

Il pubblicista Bruno Gatta ha elencato vari nomi di studiosi della materia, storici o testimoni (fra cui Federico Chabod, Benedetto Croce e Renzo De Felice) i quali in epoche diverse ritennero che Mussolini non avesse avuto responsabilità dirette nell’omicidio Matteotti.

Category: Cultura

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