IL CONTROLLO A DISTANZA DEI LAVORATORI DEL JOBS ACT : PIU’ CHE GRANDE FRATELLO, GRANDE PASTICCIO

| 22 Giugno 2015 | 0 Comments

di Stefania Isola______*  (avvocato – presidente Asso – Consum Lecce)______

La Legge 10 dicembre 2014, n. 183 – meglio nota come Jobs Act – contiene le “Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”.

Tale Legge contiene all’articolo 1, comma 7, lettera f), una specifica delega in favore del Governo: quella di effettuare la revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive e organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore. Proposta che ha scatenato moltissimi commenti e polemiche, e sulla quale risulterebbero utili alcuni chiarimenti.

Lo Statuto dei Lavoratori disciplina, da quarantacinque anni, se e in quali termini i datori di lavoro possono usare impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo sul posto di lavoro; l’intervento normativo si sta rendendo necessario perché l’evoluzione tecnologica e le strumentazioni che i datori di lavoro oggi possono utilizzare hanno determinato una serie di dubbi in merito all’applicabilità della disposizione stessa, ed in particolare, del comma II che oggi obbliga le aziende a raggiungere un accordo sindacale quando utilizzano sistemi di controllo per esigenze produttive, organizzative o di sicurezza ma da cui deriva anche la possibilità di controllo indiretto dell’attività lavorativa.

L’applicazione della norma attualmente vigente, disegnata a suo tempo sostanzialmente per regolamentare l’utilizzo delle telecamere, è stata oggetto negli ultimi anni di alcune pronunce estremamente interessanti della Corte di Cassazione che ne ha esteso la portata anche a una serie di più recenti impianti e apparecchiature di controllo

Di fatto, analizzando una recente sentenza della Corte di Cassazione n° 2722/2012, sembra essere stato disegnato un regime in cui esistono controlli difensivi, preventivi e reattivi nonché illeciti che si risolvono nel mero non lavoro e altri che pongono in essere anche una aggressione a un bene oggetto di tutela di titolarità dell’azienda. Quando ricorrono entrambe le condizioni (controllo reattivo a fronte di evidenze e aggressione a un bene tutelato e non solo mero non lavoro) per la Corte di Cassazione si può adottare una interpretazione meno rigida dell’art. 4 comma II dello Statuto dei Lavoratori, potendo evitare l’accordo sindacale, avendo dichiarato nell’ultimo caso citato che il “datore di lavoro aveva compiuto un accertamento ex post quando erano emersi elementi di fatto tali da raccomandare l’avvio di una indagine retrospettiva” che “il controllo difensivo non riguardava l’esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro ma era destinato ad accertare un comportamento che metteva in pericolo la immagine del datore di lavoro” e quindi che “tale situazione è già esclusa dal campo di applicazione dell’Art. 4 comma II Statuto dei Lavoratori”.

Evidentemente, in considerazione degli incredibili progressi tecnologici compiuti dalla data di approvazione dello Statuto dei lavoratori (pubblicato in G.U. il 27.05.1970) ad oggi, e dalle numerose interpretazioni giurisprudenziali, si è sentita la necessità di ridisegnare tali disposizioni, ma di certo questa non sarà un’impresa semplice.

Va considerato, infatti, che già da tempo una larga parte dei lavoratori impiega quotidianamente nello svolgimento delle proprie mansioni molte tecnologie (computer, smartphone, tablet, etc.) capaci di consentire la lettura e la registrazione dei messaggi di posta elettronica, la riproduzione e l’eventuale memorizzazione delle pagine web visualizzate – solo per citare alcuni esempi – ossia tutte attività che hanno intrinseca capacità di controllare in qualche maniera, a distanza i lavoratori. Vi sono, poi, altre tecnologie – come la lettura e la registrazione dei caratteri inseriti tramite tastiera – che sono state vietate da provvedimenti specifici dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, perché troppo invasive e preordinate a un controllo diretto dell’attività lavorativa dei dipendenti.

Ne deriva quindi che il decreto attuativo, ancora non presente, dovrà necessariamente tenere in considerazione il parere dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, che, anche a causa della mancanza di un quadro univoco europeo a cui fare riferimento, aveva già indicato le modalità idonee per procedere a tali controlli indiretti nonché le disposizioni di settore contenute nello Statuto dei Lavoratori ed i principi stabiliti nel decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice Privacy) e nelle Linee Guida del Garante Privacy del 1° marzo 2007.

Nell’ordinamento giuridico italiano, infatti, entrambe le normative sopra indicate sono volte a evitare che il controllo effettuato con apparecchi audiovisivi (o informatici) sfoci in un’invasione della sfera privata del lavoratore tale da ledere la libertà e la dignità dello stesso (e in particolare violare l’art.114 del Codice Privacy, il quale ha richiamato integralmente l’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori).

D’altra parte, però, in questi ultimi anni abbiamo assistito anche ad alcune elaborazioni giurisprudenziali che hanno portato a ritenere ammissibili – ampliando così l’ambito di legittimità dei controlli a distanza – i c.d. “controlli difensivi”, in quanto diretti a prevenire la commissione di illeciti da parte del dipendente infedele.

Le criticità che possono emergere in materia di tutela della riservatezza e dignità dei lavoratori rispetto all’uso di sistemi di controllo a distanza sono numerose e variegate, e trovare soluzioni che tengano conto delle esigenze produttive e organizzative delle imprese potrebbe richiedere un sacrificio in termini di privacy che, come è facile prevedere, non tutti saranno disposti ad accettare di buon grado.

Per tali ragioni, al fine di essere preparati ai possibili nuovi adempimenti che un provvedimento del genere potrebbe introdurre, è necessario un tempestivo e costante aggiornamento, da parte di professionisti e imprese, su questi delicati aspetti relativi al trattamento dei dati personali dei lavoratori.

Riassumendo quindi la nuova disciplina dei controlli a distanza dei lavoratori, contenuta nel decreto legislativo che attua il Jobs Act:

• Non sono necessari accordo sindacale o autorizzazione ministeriale nel caso di controlli a computer, tablet e telefonini messi a disposizione dei dipendenti da parte dell’azienda;

• Non sono necessari accordo sindacale o autorizzazione ministeriale per il controllo delle informazioni raccolte da badge e altri strumenti usati dall’azienda per misurare gli accessi e le presenze al lavoro;

• In caso di installazione di impianti audiovisivi e altri strumenti dai quali possa derivare anche la possibilità di controllo a distanza del lavoratore, serve un accordo collettivo previo con RSU o RSA oppure, in mancanza di questo, un’autorizzazione previa delle Direzione Territoriale del Lavoro (o del Ministero del Lavoro per quanto riguarda le aziende dislocate su più territori).

Resta valido il requisito che tutte le informazioni raccolte sono utilizzabili dall’azienda a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, a patto che sia stata fornita al lavoratore un’adeguata informazione sulle modalità di uso degli strumenti forniti in dotazione (computer, smartphone, telefono, tablet) e sull’effettuazione di controlli, sempre nel rispetto del codice sulla privacy (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196).

Quindi, in conclusione, solo il tempo ed i numerosi contenziosi che, a parere di chi scrive, ne deriveranno, riusciranno a dare la risposta ( forse!) ai numerosi interrogativi che il jobs act pone e non soltanto sui nuovi controlli a distanza.

 

 

Category: Cronaca

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