IO NON HO NULLA DA FESTEGGIARE. IO VOGLIO USCIRE DALLA NATO

| 4 Novembre 2021 | 2 Comments

IO SO CHE NON CI SONO GUERRE GIUSTE

di Giuseppe Puppo ______

Anche io sono un uomo antico,  che ha letto i classici, che ha raccolto l’uva nella vigna, che ha contemplato il sorgere o il calare del sole sui campi, tra i vecchi, fedeli nitriti, tra i santi belati.

Anche io non so quindi che cosa farmene di un mondo unificato dal neocapitalismo, ossia da un internazionalismo creato, con la violenza, dalla necessità della produzione e del consumo, dall’omologazione del pensiero unico dominante e dalla globalizzazione.

Non so che farmene poi di certe celebrazioni di una Storia fatta di retorica, mistificazione e accondiscendenza.

 

Anche io ho le mie radici nel secolo scorso, sono figlio del Novecento, che ho vissuto quasi a metà, ma che mi porto dentro per intero.

Anche io sono nato al Sud del Sud dei Santi.

Quello che pagò nella grande maggioranza in termini di vite umane, di feriti, di sofferenze indicibili dei suoi giovani strappati ai campi, alle famiglie, al futuro, una ‘vittoria’ che si ostinano a celebrare oggi sempre nello stesso modo, in modo tale cioè da generare disgusto.in chi è ancora capace di indignarsi.

 

Io, certe pagine scure non le ho lette sui libri di scuola scritte dai mistificatori, io ho avuto la fortuna di sentirle, quando ero bambino, dalla viva voce dei protagonisti, che mi hanno raccontato tutta un’altra Storia, la Verità cioè.

 

Il mio nonno paterno, del quale porto il nome, quel 24 maggio partì volontario dal suo paese che sta sulla collina disteso come un vecchio addormentato e, in un mal compreso senso del dovere per lo Stato, in un mal digerita voglia di protagonismo giovanile, se ne andò volontario al fronte.

Quando ci fu e ci rimase per tre anni e mezzo, fino alla fine, capì quello che prima non aveva potuto capire.

Quando mi raccontava di quei lunghi giorni – incredulo, sbigottito, non sapeva egli stesso come avesse fatto a uscirne sempre vivo – la sua voce tremava di pietà e di rabbia, mentre mi diceva delle trincee di fango, di puzza, di vomito, di paura e di terrore, dei suoi coetanei mandati a morire come carne da macello sotto il fuoco delle mitragliatrici nemiche, mentre c’erano i fucili amici per chi si rifiutava di andare all’assalto. Del tozzo di pane, di una patata, di un cucchiaio di estratto di radici conteso per questione di sopravvivenza nei campi di prigionia. Dei gas dello sterminio di massa. Delle bombe che strappavano gli arti a questo o a quello. Per cento metri di avanzata, che poi bisognava difendere, e perdere, e ricominciare allo stesso modo, e così via, per tre anni e mezzo.

 

Il mio nonno materno, Giovanni Grandinetti, era un ragazzo del ’99, strappato a 18 anni alla famiglia, al lavoro dei campi, agli affetti, al futuro, da un presente drammatico, da cui rimase coinvolto per ragioni che non capiva, per un anno orribile.

Mi portava al parco del paese, davanti alla lapide sterminata che c’è nel monumento ai Caduti in tutti i paesi del nostro Sud, leggeva i nomi, un elenco lunghissimo, dei suoi paesani che non ce l’avevano fatta a ritornare, e singhiozzava.

In casa sua, a volte mi mostrava la medaglia, la pergamena da Cavaliere, l’assegno mensile di poche lire che gli avevano dato in seguito, e piangeva a lungo, in silenzio, a dirotto.

 

Quindi io non so che farmene delle celebrazioni di oggi, così come si ostinano a farle.

Io poi da giovane ho letto le prose di Celine, Junger, Remarque, ho letto le poesie di Ungaretti, Rebora, Campana, con lo sdegno per l’incapacità degli intellettuali, che pure avevano capito tutto, di impedire il ripetersi dopo un ventennio di un altro e ancora più gigantesco massacro, civili compresi.

 

Io so – l’ho imparato da Ezra Pound – che non ci sono guerre giuste.

 

Io so – l’ho imparato da Pier Paolo Pasolini – che le guerre sono solo e sempre strumenti di morte al servizio del neocapitalismo degli affaristi, dei mercanti di armi, e dei profittatori.

 

Io so, che le guerre, tutte, sono lancinanti ferite del corpo e dell’anima, sono solo e sempre morte, lacrime, sangue, merda e distruzione.

 

Per questo oggi non festeggio nulla, e piango anche io.

Oggi, 4 novembre 2021, quando, per celebrare la ‘vittoria’, sento invocare l’importanza della Nato, definita ‘pilastro’ della politica italiana.

Un’alleanza militare al servizio degli Usa che per tutti questi ultimi decenni, dalla Corea, al Vietnam, dall’Iraq alla Libia, fino all’ultimo dell’Afghanistan, è stato solamente un’organizzazione militarista che ha fatto gli interessi dei produttori di armamenti e dei politici loro camerieri.

Un’organizzazione da cui, se invece avessimo politici con la schiena dritta, dovremmo uscire subito, immediatamente, senza se e senza ma. Per esempio, per comprare Canadair e non F 35.

 

Io non ho vinto niente, oggi, fino a quando avrò a interessarsi di me politici che continuano a fare guerre, anche se adesso le chiamano ‘missioni umanitarie’, là dove hanno fatto un deserto, e lo hanno chiamato democrazia.

 

 

 

 

 

Category: Cultura, Politica

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Comments (2)

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  1. Carmen Puscio - tramite Facebook ha detto:

    Letto tutto d’un fiato, bellissimo…verso la fine mi è anche scappata una lacrima nel sentire parole che mi raccontava il mio bisnonno, anche lui scampato miracolosamente alla morte del capitalismo bellico. Ero molto piccola quando lo ascoltavo parlare di guerra ma già a quei tempi riuscivo a leggere l’emozione e la tristezza nel cuore di un uomo buono che partì per amore della sua terra ma che ritornò con l’amarezza di aver combattuto per altri. Ringrazio Giuseppe Puppo per aver scritto un così bell’articolo e soprattutto per l’onestà di penna che qualcuno ancora vuol tenere a dispetto del finto moralismo dilagante.

  2. Valerio Melcore ha detto:

    Bravo Giuseppe

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