L’APPROFONDIMENTO / IL CASO SALIS TRA TOLLERANZA E DIRITTO

| 2 Febbraio 2024 | 1 Comment

di Giovanni Gemma _______

Il caso di Ilaria Salis sta in tutte le trasmissioni, a pranzo e a cena. Per capirlo bisogna dargli un po’ di contesto in più, altrimenti rischia di diventare la polemica quotidiana con cui abbuffarsi nel dopolavoro.

“Tag der Ehre” è il nome tedesco, di fatto il nome ufficiale, del “Giorno dell’onore”, una ricorrenza celebrata ogni anno a inizio febbraio negli ambienti nazisti. Nazisti non per scherzo o scherno: i manifestanti commemorano i caduti dell’Asse nell’Assedio di Budapest (inverno 1944-45), cioè la dura battaglia della Seconda guerra mondiale tra l’Armata rossa da una parte e le truppe del Terzo Reich e ungheresi dall’altra. Naturalmente, è a Budapest che si tiene la manifestazione, con tanto di pellegrinaggio fra i monti in cui i soldati di Hitler e dell’ammiraglio-dittatore magiaro Horthy tentavano la fuga. A ognuno la propria commemorazione, si potrebbe dire. Dimmi chi commemori e ti dirò chi sei, si potrebbe aggiungere.

Dei gusti non si deve discutere, dell’opportunità di un raduno apertamente nazi in piena Europa magari sì. Le autorità ungheresi hanno sempre autorizzato questa parata, così la capitale si riempie annualmente di nostalgici e sedicenti SS in costume. Occhialini neri, qualche svastica tatuata, giubbe pesanti o “uniformi” tirate a lucido, bandiere delle nazioni dell’Asse – ma per il resto hanno la loro vita regolare, agenti Smith pronti a cambiare sembianze all’occorrenza. Nel 2022 le autorità negano i permessi, così bisogna ripiegare su ritrovi informali e a piccoli gruppi.

Forse nei grandi palazzi si sono accorti che far sfilare annualmente bande di nazisti non è così opportuno? Forse – almeno lì – hanno smesso di credere alla favoletta raccontata dagli organizzatori di questi raduni a braccio teso, secondo i quali sono solo commemorazioni storiche senza “scopo politico”? Tranquilli, nessun funzionario del governo conservatore di Orban si permetterebbe di farlo. Infatti, la motivazione è banalmente che ci potrebbero essere “problemi di ordine pubblico.” Come far uscire il settore ospiti di uno stadio qualche minuto dopo per evitare scontri coi tifosi di casa.

Nel 2023 il Giorno dell’onore viene permesso. Tra il 9 e il 12 febbraio si tengono raduni e pellegrinaggi – ma a Budapest non ci sono solo i nazisti. Dinanzi l’inazione delle autorità, gruppi e associazioni antifasciste si danno anche quest’anno appuntamento per organizzare contromanifestazioni. A volte pacifiche, a volte no; gli scontri avvengono. È in questo clima che la Polizia magiara, su ordine diretto della Procura, arresta tre militanti antifa: un tedesco, una tedesca e un’italiana. Il nome dell’italiana ormai lo riconosciamo: Ilaria Salis, 39 anni, docente elementare.

La Procura di Budapest accusa i tre di due episodi di aggressione in gruppo con altri, con le aggravanti di pericolo di letalità per gli strumenti usati (bastone telescopico e martello di gomma) e associazione a delinquere. Il tedesco si dichiara colpevole e patteggia subito, la sua concittadina è in Germania ma ai domiciliari. Salis, invece, rinchiusa in cella da un anno, nega le accuse. Peraltro, già nel 2017 in Italia era stata accusata di aver attaccato un gazebo della Lega, ma il processo aveva stabilito la sua estraneità ai fatti. (Quest’ultimo passo lo sceriffo di Pontida Salvini lo ha dimenticato e ora rischia la querela per diffamazione da parte della famiglia Salis. L’uomo sbagliato al posto sbagliato.)

Per completare i fatti, ora si riportano le contromosse della difesa. In primo luogo, Salis non faceva parte di nessuna associazione del tipo – neppure della Hammerbande, nome dato dalla stampa (“Gruppo del martello”, tradotto) ad un’organizzazione tedesca di militanti antifascisti, legata ad altri

accusati e su cui ritorneremo. Inoltre, i bollettini medici delle tre vittime sono poco adatti alle pesanti condanne chieste dagli inquirenti ungheresi: le guarigioni risultano tutte in un arco di tempo tra i 5 e gli 8 giorni. Perciò, il procuratore parla di strumenti “potenzialmente letali” e di “realistica possibilità”, ma non di atto effettivo.

Naturalmente, bisogna ricordare che la prima udienza (24 gennaio 2024) è servita solo ad allungare le misure cautelari in un carcere di massima sicurezza a Budapest, e qualsiasi altro pronunciamento è rimandato a maggio. Tuttavia, la difesa lamenta alcune condizioni che degradano l’imputata (ancora neppure processata!) e delle quali erano state informate anche le autorità italiane: verbali fatti firmare senza relativa traduzione italiana né in altra lingua compresa da Salis, trattamenti fisicamente debilitanti, celle con ratti e pasti non sempre consegnati, impossibilità di vedere la famiglia per mesi, colloqui con l’avvocato solo in presenza di un poliziotto, servizi igienici inadeguati e così via. Le immagini di Salis tenuta in aula con le catene a mani e piedi hanno solo contribuito a peggiorare l’immagine dei magistrati magiari.

Non è solo una questione di difesa processuale, che sarebbe comunque rilevante. Lo Stato ungherese era stato già condannato diverse volte dalle autorità europee per il proprio sistema poliziesco- giudiziario che non garantisce diritti agli accusati e li tiene in condizioni squallide. Nel 2015, ad esempio, la condanna era arrivata direttamente dalla Corte europea per i diritti umani, e la Commissione europea più di recente ha diverse volte congelato fondi UE per l’inazione del governo di Orban.

Tant’è che un 23enne italiano accusato degli stessi reati non era stato estradato in Ungheria perché la Procura di Milano rilevava pericoli nel trattamento che avrebbe ricevuto lì e per via di una “motivazione politica” intrinseca alle formule dei procuratori ungheresi. Tuttavia, nessuna accusa al governo di Budapest è servita per mettere in moto i ministeri di Roma: davvero scarne sono le parole usate dai nostri governanti. E peraltro tardive, dato che già ad ottobre 2023 erano note le responsabilità delle autorità ungheresi ma il governo italiano ha preferito lasciar correre fino allo scoppio della bomba mediatica di turno.

Per chi si lamenta e già dà per colpevole: è solo imputata. Per chi si lamenta in ogni caso: giustizia non è vendetta. Una reminiscenza della punizione-spettacolo che Michel Foucault (Sorvegliare e punire) riteneva propria di regimi pre-carcerari, quando il bivio era libertà assoluta o supplizio capitale. Lo spettacolo doveva servire come esempio e come vendetta sovrana di ultima istanza; il carcere nasce come detenzione per riabilitazione o, nel peggiore dei casi, isolamento dal resto della società. Più che battaglia tra garantisti e giustizialisti (due categorie che spesso dicono tutto per non dire nulla), qui la questione è tra la visione vendicativa a priori verso l’imputato – il suo corpo, mentre la sua persona scompare – e lo Stato di diritto, ormai comunemente accettato.

Il tutto, per concludere, si fa più interessante con l’Hammerbande. L’organizzazione è ufficialmente anonima, nata nel 2017 a Lipsia. Nel febbraio 2020 una delle sue fondatrici, Lina Engel, è stata arrestata dalle autorità tedesche, accusata di cinque azioni contro noti esponenti di movimenti nazisti e loro proprietà in Germania. Il processo a Engel ha avuto un seguito di pubblico vasto, ma ancor più interessante è la sentenza, del tutto diversa dalla narrazione che – peraltro non i presenza di condanna definitiva – sentiamo in Italia.

Il giudice Hans Schlüter-Staats ha dichiarato che “opporsi agli estremisti di destra è un motivo rispettabile” e, nello svolgimento delle indagini contro i nazisti, sono comparse “deplorevoli carenze.” Ciò detto, Engel è colpevole perché – altro passo notevole – “il monopolio dell’uso legittimo della forza appartiene allo Stato e non ai privati.” Insomma, condannata non per aver fatto qualcosa di socialmente dannoso in assoluto, ma di averlo fatto al posto (e in modi meno consoni) delle autorità legittimamente preposte.

Sia la letteratura liberaldemocratica (Karl Popper, La società aperta e i suoi nemici) che quella filomarxista (Herbert Marcuse, Critica della tolleranza pura) ammettono il principio-base della società tollerante che vuole mantenersi tale: la società deve essere intollerante verso chi pratica e teorizza intolleranza. Un paradosso logico, non politico: solo così si può conservare la libertà e la dialettica. Non serve un Ministero della Verità: sarà la discussione pubblica, ripulita da quanti più vincoli, necessità e obblighi possibili, ad autoassolvere in compito di salvaguardarsi. In tal senso, l’uso di mezzi violenti contro chi usa o minaccia violenza sistematica, inquinando la società e impedendo una tolleranza di fatto, è legittimo. La “tolleranza pura”, ammettendo anche i gruppi nazisti come tollerabili, finirebbe in quest’ottica per suicidarsi. Visto il clima che si respira in certe parti d’Europa, e specie dopo la questione AFD in Germania, sembra che questi autori avessero ragione.

Rimane però un problema: questa violenza legittima quando si può esercitare? Le aggressioni che la Procura di Budapest accusa sono avvenute al di fuori dei raduni nazisti, quando gli aggrediti erano in altre faccende (regolari) affaccendati. Gli aggressori sono incappucciati; unici indizi per ora contro Salis è la giacca, identificata come sua, e la testimonianza oculare della parte offesa. Se non si è d’accordo con la società tollerante che deve difendersi, rimane sempre la questione del trattamento di una concittadina – di una persona umana – in condizioni di allevamento intensivo. Senza sentenza.

Category: Costume e società

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Comments (1)

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  1. valerio ha detto:

    Sulla rete stanno girando dei video in cui si vede un giovane mentre cammina per strada che viene sprangato, colpito alle spalle da un gruppo di 9 comunisti-antifascisti. Dopo averlo colpito alla testa e gettato per terra i 9 “eroi” della nuova Resistenza hanno continuato il pestaggio con spranghe e martelli di gomma, non soddisfatti del pestaggio gli hanno spruzzato addosso della vernice..
    Di ciò che gira sulla rete, è d’obbligo dubitare, ma il video del vile pestaggio è passato anche su qualche televisione italiana e a quanto pare sarà utilizzato nel tribunale ungherese dall’accusa, per cui se dai fotogrammi si stabilisse che la Salis faceva parte del gruppo, crollerebbero le tesi della difesa.
    Ora al netto della vicenda Salis ci poniamo un domanda: è legittimo che dei cittadini italiani si rechino in Ungheria per massacrare di botte degli altri giovani?
    Negli anni ’70 in Italia in nome dell’antifascismo furono assassinati decine di ragazzini colpevoli di non volersi piegare alla violenza comunista o di accettare il verbo marxista. La sinistra coprì gli assassini e quando si passo dalle spranghe alle P38 la sinistra si limito a dire che si trattava di compagni che sbagliavano. Qualcuno evidentemente in Italia, ha nostalgia degli Anni di Piombo e pensa che dopo averlo fatto nel nostro paese lo si possa replicare in Ungheria ma, a quanto pare in quel paese le cose stanno diversamente, intanto non c’è come in Itala una fetta della magistratura politicizzata e sfacciatamente schierata a sinistra, e poi un pò tutta la popolazione non ama il comunismo, forse perché ricordano ancora quando i carri armati dell’Armata Rossa schiacciavano i giovani che protestavano a Buda Pest mentre nello stesso periodo in Italia il Partito Comunista prendeva rubli e ordini da Mosca e sulla Primavera di Praga si schierava con il macellaio comunista.
    Ci limitiamo a poche righe ma quando si trattano casi come quello di Ilaria Salis, su cui la gran cassa della sinistra, a cominciare dai giornali dell’alta finanza, hanno cominciato a battere, sarebbe bene guardare questi avvenimenti da diverse angolazioni e non solo con le lenti deformanti dell’ideologia.

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