IL MIO TEATRO DI POESIA /”Sono abbastanza grande adesso per diventarti amico”: ECCO COME E’ NATO QUESTO SPETTACOLO DI INCONTRI DECISIVI

| 31 Ottobre 2024 | 0 Comments

di Giuseppe Puppo _______ Io, ecco, questo copione l’avevo scritto per lui, per Giorgio Albertazzi: cioè, lui non ne sapeva niente, me l’ero immaginato da solo, nei panni di Ezra Pound in quanto pensavo, mi immaginavo appunto, che gli avrebbe fatto piacere interpretarlo, ma tutto qui.

Comunque, finito il lungo lavoro di documentazione, di cui dirò poi, doverosamente, per svelare da dove vengano tutti i riferimenti, tutti veri e precisi, che sono alla base del testo, e finito di scrivere, feci un bel pacco postale e lo spedii al suo indirizzo, col cuore in gola.

Partivo dalla memorabile intervista televisiva del 1967 fatta a Ezra Pound da Pier Paolo Pasolini, l’altro dei miei numi ispiratori, vera e propria mia guida intellettuale, un corto circuito che aveva scatenato in me una sequela di suggestioni feconde, e poi sviluppavo tutta una serie di incontri, decisivi, che ebbero per protagonisti in due nel corso degli anni. “Scene di incontri decisivi”, avevo intitolato infatti il copione, cui, inutile dirlo, ma lo dico lo stesso, tenevo molto, come è facilmente intuibile.

Lo spedii, e poi dimenticai completamente di averlo fatto.

Giorgio Albertazzi non aveva nemmeno risposto, come era prevedibile

Alla bene e meglio, allora, insieme a uno o due-tre amici, di volta in volta, organizzai una serie di serate, una dozzina, alla fine, in tutto il Piemonte, in cui questo spettacolo fu raccontato scenicamente, più che rappresentato veramente, data la limitatezza dei mezzi a disposizione e la mancanza di organizzazione artistica, o comunque l’inadeguatezza, necessaria per una rappresentazione teatrale tanto prestigiosa, quanto impegnativa.

Bene, passarono così alcuni anni, Adesso non mi ricordo esattamente quanti, forse, due o tre, o quattro, non ricordo, comunque anni.

Poi, successe l’incredibile. Ci facciamo trovare spesso impreparati di fronte agli eventi, anche quelli che più speriamo che accadano, specie quelli importanti, o, se vogliamo, decisivi.

Come quando successe questo, tragicomico, che ho il piacere di raccontare.

In quel periodo, in quei giorni, cominciò a telefonarmi, sempre alla stessa ora del pomeriggio, evidentemente prima della chiusura, un tal Giacomazzi, della banca in cui avevo il conto, nella filiale vicino casa mia, in piazza Adriano, a Torino. Numero sconosciuto e alla risposta lui che attaccava: “Sono Giacomazzi, della banca…” e via con la di volta in volta sempre più pressante richiesta, di cui Giacomazzi, il cognome me lo ricordo, in quanto si chiamava così un calciatore del Lecce, si faceva carico a nome del direttore. Era successo che il mio conto era andato in rosso di 70 euro, dico: 70 euro e basta, e il direttore aveva disposto che dovessi rientrare immediatamente.

Ora, non era nemmeno per somma, del resto esigua assai, ripeto, parlavamo di 70 euro, mica di altro; era che c’ero rimasto male, a questa mancanza di fiducia, anzi cattiveria vera e propria, dal momento che avevo là l’accredito dello stipendio e a capo di pochi giorni il conto sarebbe ritornato a posto; che bisogno c’era, di farmi andare a parlare dal direttore e di farmi andare a ripianare il debito seduta stante, anche perché per me, che uscivo di casa di mattina assai presto e tornavo a casa di sera assai tardi, era questo il problema?

Quindi feci per un po’ orecchi di mercante, poi provai un po’ a spiegare, ma niente, Giacomazzi, sempre alla stessa ora, non voleva sentire ragioni e continuava a telefonare col suo numero anonimo della banca. E una volta, e due, e tre e quattro, quando quel pomeriggio mi squillò, sempre alla stessa ora, mentre ero sul tram e fra l’altro non si sentiva bene, il telefonino, e sentii “Sono Albertazzi…”, sbottai una serie di volgarità se non di parolacce contro di lui, tipo – beh mo mi avete proprio rotto i coglioni con questi 70 euro di merda.

Quando finii di sproloquiare, sentii il mio anonimo interlocutore ripetere solo: “Sono Albertazzi…”.

Allora capii e avrei voluto sprofondare sottoterra.

Ci misi un bel po’ a riprendermi sia dalla vergogna, sia dall’emozione, e a scusarmi per il terribile equivoco.

Il Maestro mi disse che aveva letto il copione, sia pur con un del resto comprensibile ritardo e, sia pur dopo qualche anno, mi fece i complimenti: aggiunse che gli era piaciuto e che gli era piaciuto a tal punto che avrebbe voluto metterlo in scena egli stesso.

Dopo quella sua prima, in credibile telefonata, mi telefonò altre volte, nei giorni seguenti.

Sintesi di quei colloqui: ribadiva a di voler mettere in scena il mio testo; questo però e fu chiaro mettendolo in coda ad altre produzioni che si era già impegnato a realizzare; il mio copione gli era piaciuto, ma aveva bisogno di una riscrittura, sostanzialmente per renderlo meno letterario e più dinamico, per cui mi fornì alcuni esempi, di cui io feci diligentemente tesoro per una risistemazione organica; la produzione sarebbe stata del Teatro Stabile di Trieste, sua la regia e il personaggio di Ezra Pound, proprio come avevo sognato; Kim Rossi Stewart avrebbe interpretato Pier Paolo Pasolini, per Maria Callas non aveva ancora deciso, ci avrebbe pensato più in là.

Infine mi disse che stava per partire per una tournee all’estero e che poi doveva metter mano ai lavori già programmati, per cui mi diede il numero di telefono della sua assistente, affinché nel frattempo io potessi mantenere i contatti.

Ma qui cominciarono i problemi.

Lei in seguito, quando la chiamavo, si dimostrò poco e punto collaborativa. Percepii – ma questa è solo una mia supposizione di cui non ho prove – che fosse poco e punto contenta di questa nuova idea del Maestro, che comunque – è questo è un dato di fatto – era già di età avanzata e quindi con le energie da dosare e…

E niente, per farla breve, i contatti si diradarono prima, si allentarono poi e infine si interruppero, in quei pochi anni che passarono da quel periodo delle telefonate, e la sua morte, avvenuta il 28 maggio 2016.

Certo, mi rimase a lungo il dispiacere per quel sogno che non si era realizzato, però ecco, se c’è una cosa che ho imparato nel Teatro è che esso è un mondo a sé, dai tempi e dai modi imponderabili, però sempre capace di magie, come quella di fare dei sogni realtà.

Comunque, ogni sera in cui lo spettacolo è stato rappresentato e ogni sera in cui lo sarà, la dedica è a lui, A GIORGIO ALBERTAZZI, IN MEMORIAM.

Il resto della storia è recente. I fatti andarono così. E così è nato il capolavoro teatrale, a detta di tutti, ma proprio tutti, quelli che lo hanno visto, rimasti entusiasticamente affascinati, e sottolineo che sto parlando dell’esito teatrale al di là del mio copione.

Per una serie di ragioni che adesso è inutile specificare, volevo partecipare in qualche modo alla rassegna estiva dei Teatini “Lecce in Scena” organizzata dall’amministrazione comunale e pensai di farlo calando quello che ritengo il mio pezzo forte, questo, appunto.

A primavera, misi mano ancora una volta al testo, del resto rimasto praticamente inedito, rimareggiandolo e anche ampliandolo, con un’ultima scena, il finale, che ben si sposava col clima dell’epoca rievocato di quell’anno di grazia 1975. Giacché c’ero, cambiai anche il titolo, diventato questo attuale: “Sono abbastanza grande adesso per diventarti amico”, e anche questa fu una mossa vincente, in quanto spiazzava e sfondava, complici i due giovanissimi attori di Scena Muta esordienti scelti per l’occasione, Marzia Giagnorio e Pier Luigi Quarta, complice anche quella loro bellissima foto davanti i cancelli del Liceo classico Palmieri di Lecce fatta ad hoc dal regista cinematografico Gino Brotto e adoperata per manifesti, locandine e la comunicazione tutta della produzione.

Proposi a Maria Antonietta Vacca, attrice e docente della Compagnia Scena Muta di Copertino, di cimentarsi per la prima volta con la regia teatrale, e lei accetto, non senza qualche legittimo timore, quindi nel mesi seguenti si mise all’opera per affrontare tutta la complessità che una regia teatrale sottende e per essere pronta alla data fissata per il debutto, la sera del 14 agosto 2022.

Due giorni prima, il meteo cambiò radicalmente ed era una pessima notizia, per tante ragioni, per chi deve esibirsi all’aperto, se non altro per i problemi che la piaggia dà al service tecnico.

Il giorno prima, diluviò.

Quel pomeriggio fu valutata quindi anche con l’allora assessore la possibilità di annullare e/o spostare la data, sia temporalmente, sia geograficamente in un’altra location, ipotesi alla quale io mi opposi fortemente, per tante ragioni del mio punto di vista: alla fine, a sera, fu presa la decisione che comunque la sera dopo saremmo andati in scena, comunque, ed era un notevole azzardo.

A differenza del principe di Condè, che, come narra Manzoni, dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi, quella notte Maria Antonietta credo che abbia dormito poco e male, come le donne di Almodovar anch’ella sull’orlo di una crisi di nervi.

Però all’alba dei giorno fatidico smise di piovere e il tempo mantenne per tutte le ore successive, anzi a sera rischiarò addirittura.

Eccoci.

C’era un pubblico folto, qualificato e partecipe; l’allestimento preparato dalla regista si dispiegò in tutta la sua dirompente bellezza, trovata la quadratura del cerchio come avrebbe voluto fare Giorgio Albertazzi, alla memoria del quale dedicammo la serata; i commenti furono entusiastici e molti di essi di sprone a riproporre presto lo spettacolo in altre sedi. Insomma, un successo senza condizioni.

Maria Antonietta passò il giorno dopo di Ferragosto seduta nel balcone di casa a riprendersi dalla fatica e dalle emozioni, spossata ma felice.

Dopo il debutto ai Teatini a Lecce, “Sono abbastanza grande adesso per diventarti amico” è stato replicato quattro volte, sempre nel 2022 e sempre con lusinghieri riscontri di critica e pubblico: il 23 settembre a Palazzo Roma di Ostuni; il 25 novembre al Castello di Copertino; il 3 dicembre al Cavallino Bianco di Galatina; il 7 dicembre all’Auditorium di Gagliano del Capo.

E stato anche oggetto il 21 settembre 2022 a Palazzo Torrisi di Lecce di un incontro col pubblico tenuto dal regista Gino Brotto; pure il 23 marzo 2023 di un seminario di studio a Scena Muta di Copertino tenuto dal Maestro Luca Toracca di Milano.

Infine, le risposte alle domande sullo spettacolo che nessuno mi ha mai fatto, eppure ci tenevo, e la (non) risposta alla domanda che invece in tanti mi han fatto, ripetendomela ogni volta, eppure non ci tenevo affatto.

Tutti gli episodi raccontati in “Sono abbastanza grande adesso per diventarti amico” sono veri, accenni ed aneddoti compresi, tutti, e tutti quanti da me accuratamente ricostruiti, sia con testimonianze dirette raccolte da persone vicine ai protagonisti, sia con lunghe ricerche bibliografiche.

Per esempio, di Ezra Pound a Venezia e della conoscenza con Patty Pravo ancora bambina mi ha raccontato lei stessa. Gli inediti retroscena del controverso rapporto fra Pier Paolo Pasolini e Maria Callas li ho trovati, comparati e verificati uno a uno, ivi compresi le storia della Diva che telefona all’amico parigino alle 3 di notte per sparlare del regista, e quella della sua astrologa, alla quale chiese consiglio sul da farsi. Allo stesso modo, gli episodi raccontati in scena della storia d’amore fra Ezra Pound e Olga Rudge, gran parte dei quali trovati nel libro  edito dalla Yale University del Connecticut scritto da Anna Coronar “What Thou Lovest Well…” e che io andai a consultare a Genova alla Accademia Linguistica nell’unica copia esistente in Italia.

Intendo mantenere il riserbo sulla ragazza del Palmieri, alla quale dà voce e volto Marzia Giagnorio.

Io, allora ‘fascista’ per forza e per reazione, personalmente, ma non politicamente, in quanto impossibile, nel clima dell’epoca, povero proletario di modeste origini, ero segretamente innamorato di una ragazza della scuola, che giocava a fare la rivoluzionaria extraparlamentare di sinistra, lei, figlia di una famiglia grandeborghese e importante della Lecce – bene.

Una storia impossibile, appunto, come ben sa chi quel periodo ha vissuto, del resto durata ben poco: e non lo dissi mai a nessuno, nessuno mai lo seppe, solo lei, solo noi, tutto di nascosto, e però… Breve quanto dirompente, inoltre vero e proprio specchio dei tempi.

E però tanti anni dopo l’ho raccontato nel testo, solo, ovviamente, tacendo sul suo nome. Ho raccontato quel che mi ricordo, come mi è ritornato in mente solo in seguito e da poco tempo, un giorno, all’improvviso, per una coincidenza significativa, sia pur parzialmente, perché non ho potuto raccontare quel che devo aver nel frattempo del tutto rimosso, anche perché da allora non l’ho mai più rivista e mai più cercata.

Ecco… Che poi l’amore proprio questo è:

“Non è difficile dimenticare quello che non hai avuto, è difficile dimenticare la tristezza che te ne rimane”. _______

( 5 – continua ) ______

p.s.

QUI DI SEGUITO DOVREI ALLEGARE IL TESTO COMPLETO DEL COPIONE, COME LE ALTRE VOLTE.

Ma ho un problema: non ho trovato il file di word su cui da qualche parte l’avevo salvato. Il signor Wolf questa volta ha fallito. Ho provato a cercarlo dappertutto, ma niente da fare, l’ho perso, fra un vecchio computer e quello nuovo, fra messaggi di posta inviati e dischi e dischetti. Pazienza, almeno ho il cartaceo e meno male. Ora mi toccherà ricopiarlo, quindi l’operazione trasferimento slitterà per un po’, fino a quando non avrò finito la trascrizione in digitale. Meno male, dai, non avevo niente da fare nei prossimi giorni e così almeno per qualche ora nei prossimi giorni ho trovato qualcosa con cui passare il tempo… _______

FATTO

ECCO QUA

“Sono abbastanza grande adesso per diventarti amico”_______

1.

NARRATORE

Nel 1967 accadde un fatto per tanti versi straordinario, sia per il clima dell’epoca, estremamente ideologizzato, sia per i successivi sviluppi, per quanto ben poco ne resti, in quello che abbiamo imparato a chiamare l’immaginario collettivo.

Si tratta di motivi e personaggi di contenuti memorabili, degni di essere conosciuti, divulgati e opportunamente meditati: insomma, quel che ci proponiamo di fare qui, adesso, insieme a tutti voi, ‘stasera.

Non saremo soli.

Sono sempre belle queste serate, no? In cui ci si può fermare un attimo a pensare, un lusso che sempre più raramente possiamo permetterci. E capita a volte di essere raggiunti dopo settimane, dopo mesi, dopo anni forse, all’improvviso, dall’eco silente, ma corposa, di suggestioni toccate con mente.

Qui ormai tutti vanno avanti e indietro senza nemmeno sapere dove andare, dalla mattina alla sera, come formiche impazzite, inseguendo lavoro e profitto. Però questo possesso è soltanto una misera e falsa illusione. Gli esseri umani non sono stati creati per vivere come formiche. Devono avere il tempo per fermarsi a parlare con i loro simili. Devono avere il tempo di sollevare la testa, per guardare il cielo.

Vivere significa stare in accordo con la natura, dalla quale siamo stati generati, della quale facciamo parte e alla quale ci ricongiungeremo.

Vivere significa sentirsi in pace, in pace con il mondo e in pace con sé stessi.

… Dimenticavo…La poesia, la poesia propriamente detta. Poesia, vogliamo fare, poi, insieme a voi, ‘stasera, attraverso i versi di Pier Paolo Pasolini.

Fedeli alla lezione di quel professore del film che recitava la poesia di Walt Whitman  “Oh Capitano! Mio capitano!” – e dunque non la spiegava la poesia: la recitava – anche noi vogliamo dimostrare che la poesia si sente, se c’è, si sente, esattamente questo.

Fedeli, poi, alla nostra tradizione occidentale, in cui la poesia nacque per essere interpretata e raccontata al popolo delle piazze e diventò prima opera epica, poi spettacolo.

Fedeli alla tradizione del teatro di parola, ma soprattutto fedeli alla storia del teatro.

Non occorre essere Eschilo, o Sofocle per essere degni del teatro, ma basta essere innamorati della cultura. Il teatro nasce non dall’opera dei geni, ma dalla passione di tutti coloro i quali vi contribuiscono, gli spettatori stessi, protagonisti dello spettacolo.

A tutti voi che ci onorate della vostra presenza, a voi stessi dunque questa serata è dedicata.

Ah la poesia poi, sì!

Sappiamo che la poesia è una delle ultimissime cose rimaste ancora capaci di prendere la mente e far fremere il cuore.

Non la spiegheremo, la reciteremo, la poesia, di questi due autori tanto citati, quanto poco e niente recitati.     

Saprete già – se siete qui, e di questo vogliamo ringraziarvi tutti, sperando di poter regalarvi un’emozione in più – di chi sto parlando.

Forse però non sapete come andarono i fatti.

Ve lo dico io, ora.

 

2.

BANDIERA GIALLA – GIANNI PETTENATI

NARRATORE

Avvolto nella bandiera gialla di Gianni Pettenati, vero inno generazionale italiano, correva l’anno 1967.

Nel mondo, diviso fra i due blocchi, nella perdurante logica di Yalta, c’era sempre la guerra del Vietnam, fra l’altro in preoccupante escalation.

Ce ne fu un’altra, breve, ma violentissima e dalle conseguenze ancora oggi tangibili, nel martoriato Medio – Oriente: la guerra dei sei giorni, con cui Israele occupò la penisola del Sinai, la striscia di Gaza, il settore arabo di Gerusalemme, la Cisgiordania e le alture siriane del Golan.

Per non dire di quella nell’Africa affamata e sfruttata, del Biafra, in Nigeria. Anche questo conflitto di nuovo attuale.

CIAO AMORE CIAO – LUIGI TENCO – IN SOTTOFONDO

NARRATORE

1967… Papa Paolo VI pubblica l’enciclica “Populorum progressio”, in cui si evidenzia lo squilibrio sopravvenuto fra civiltà tradizionale e civiltà contadina e si condannano le sperequazioni sociali, imputate a quello che allora ancora si chiamava colonialismo, o imperialismo.

A Città del capo, il chirurgo Christiaan Barnard effettua il primo trapianto di cuore. 

Muoiono  i tre astronauti dell’ Apollo 1.

In Italia, in Parlamento prima, con ben più virulenza fuori, si comincia a discutere dell’introduzione del divorzio.

Capo del governo è Aldo Moro, un nome che, per quello che sarebbe accaduto in seguito, mette i brividi.

Il giro d’Italia lo vinse – ve lo ricordate? – Felice Gimondi.

A Sanremo quell’anno successe che il cantautore Luigi Tenco si suicidò nella sua camera d’albergo, dopo aver cantato, sul palcoscenico del teatro Ariston, in coppia, come si usava all’ora, con Dalidà, “Ciao amore ciao”.

Correva l’anno 1967, quando, per una delle trasmissioni televisive che Pier Paolo Pasolini aveva realizzato, o aveva in programma di realizzare, chiese un’intervista a Ezra Pound.

All’epoca, il primo aveva 45 anni, l’altro 82.

L’intellettuale più famoso, per quanto eretico, del comunismo italiano voleva rendere omaggio all’intellettuale fascista più famoso, per quanto eretico, nel fervore ideologico del secolo breve.

L’uno allora all’apice della gloria della cultura ufficiale; l’altro dalla cultura ufficiale  relegato in disparte.

Oltre a questo, al di là delle etichette di comodo, alcune solide fondamenta ideologiche a unirli: l’uno legato al mito dell’Italia rurale e contadina, l’altro al mito dell’America dei pionieri,  con la feroce, conseguente avversione di entrambi alla guerra, all’usura, all’egoismo del capitalismo, nell’amore vivissimo per le espressioni nazionali, popolari e tradizionali, nella convinzione del valore della cultura e del potere dell’educazione.

Un’intervista che fece bene a entrambi, negli ultimi anni della loro vita: Ezra Pound interruppe così il lungo periodo del “tempus tacendi” che aveva iniziato, nel 1958, al suo rientro in Italia dal manicomio criminale in cui lo avevano internato i suoi compatrioti americani, finita la guerra; Pier   Paolo Pasolini iniziò la bellissima stagione da lucido e profetico polemista, da corsaro capace di individuare quello che stava avvenendo e delineare quello che sarebbe avvenuto.

Nel chiedergli l’intervista, Pasolini mandò a Pound gli stessi versi che il poeta americano aveva dedicato più di mezzo secolo prima a Walt Whitman.

Si intitolano “A pact”, “Un patto”.

Noi li abbiamo ritrovati.

ATTRICE

ENTRA IN SCENA, COL FASCIO DI LUCE, VERSO IL LEGGIO

MENTRE DECLAMA UNA VOCE FUORI CAMPO FA VERSO PER VERSO LA TRADUZIONE

I make a pact with you.

I have detested you long enough.

I come to you as a grown child

Who has had a pig-headed father.

I am old enough now to make friends.

It was you who broke the new wood,

Now is a time for carving.

We have one sap and one root.

Let there be commerce between us.  

Stringo un patto con te.

Ti ho detestato abbastanza a lungo.

Vengo da te come un figlio ormai cresciuto

che ha avuto un padre un po’ carogna.

Sono abbastanza grande adesso per diventarti  amico.

Sei stato tu a tagliare il legno nuovo,

adesso è tempo di inciderlo.

Abbiamo un solo fusto e una sola radice.

Ci sia dunque dialogo, fra di noi.

NARRATORE

Bene. Allora, amici! Pax tibi, pax mundi” – fu la risposta che ricevette Pasolini.

Il fotografo Gianfranco Contini capì subito che si sarebbe trattato di un evento storico e chiese alla direzione Rai di poterlo filmare: l’incontro avvenne a Venezia il 26 ottobre 1967; lo straordinario documentario andò poi in onda l’anno dopo, anche se in un’edizione ridotta di dieci minuti, col titolo “Un’ora con Ezra Pound”, a firma di Vanni Ronsisvalle.

Infatti dialogo ci fu. Ma il termine dialogo è riduttivo. Ci fu comunanza d’intenti, profondissima intesa.

‘Stasera non vi racconteremo il dialogo, le parole che si dissero i due poeti.

‘Stasera noi vi racconteremo la profondissima intesa, le parole che non furono dette.

‘Stasera noi vi racconteremo i ricordi evocati e messi in disparte, quelli talmente belli, da fare male; le malinconie senza rimedio; le ferite senza cicatrici; i discorsi intasati e momentaneamente sospesi; i sogni infranti e le speranze tradite; le grandi idee capaci di muovere il mondo; le folli passioni e le lucide profezie.

E vi reciteremo altri versi di Pier Paolo Pasolini, tanto citati e letti, quanto poco e niente interpretati, scelti fra quelli che riteniamo più significativi, a cominciare da questi, del 1956, intitolati “Il pianto dell’escavatrice”.      

ATTRICE

   Solo l’amare, solo il conoscere
    conta, non l’aver amato,
    non l’aver conosciuto.

    Dà angoscia il vivere di un consumato
    amore. L’anima non cresce più.


     Ecco nel calore incantato della notte

    che piena quaggiù
    tra le curve del fiume e le sopite
    visioni della città sparsa di luci,
    scheggia ancora di mille vite,
   

    disamore, mistero, e miseria
    dei sensi

    mi rendono nemiche
    le forme del mondo, che fino a ieri
    erano la mia ragione d’esistere.
   

    Annoiato, stanco,

    rincaso, per neri piazzali di mercati,

    tristi strade intorno al porto fluviale,
    tra le baracche e i magazzini misti
    agli ultimi prati.

    Lì mortale è il silenzio:

    ma giù, a viale Marconi,
    alla stazione di Trastevere,

    appare ancora dolce la sera.

    Ai loro rioni, alle loro borgate, tornano su motori
    leggeri, in tuta o coi calzoni di lavoro,

    ma spinti da un festivo ardore
    i giovani, coi compagni sui sellini,
    ridenti, sporchi.

    Gli ultimi avventori
    chiacchierano in piedi con voci alte nella notte,

    qua e là, ai tavolini dei locali ancora lucenti e semivuoti.
    
    Stupenda e misera città,
    che m’hai insegnato

    ciò che allegri e feroci gli uomini imparano bambini,
    
    le piccole cose in cui la grandezza
    della vita in pace si scopre,

    
    a difendermi, a offendere, ad avere
    il mondo davanti agli occhi e non
    soltanto in cuore,

    a capire che pochi conoscono le passioni
    in cui io sono vissuto:
    che non mi sono fraterni,

    eppure sono fratelli proprio nell’avere
    passioni di uomini
    che allegri, inconsci, interi
    
    vivono di esperienze
    ignote a me.

    Piange ciò che ha fine e ricomincia.

    Piange ciò che muta,

    anche per farsi migliore.

    La luce del futuro

    non cessa un solo istante di ferirci: è qui

    che brucia in ogni nostro atto quotidiano,

    angoscia anche nella fiducia che ci dà vita.

3.

A WHITER SHADE OF PALE – PROCOL HARUM. I DUE ATTORI SEDUTI UNO ACCANTO ALL’ALTRO PRONUNCIANO PAROLE A BASSA VOCE PRIMA DEL TUTTO INCOMPRENSIBILI. POI A VOCE SEMPRE PIU’ FORTE RIPETONO ENTRAMBI PIU’ VOLTE LA PAROLA ‘GUERRA’, L’UNICA A SENTIRSI NITIDAMENTE. INFINE INIZIANO IL DIALOGO, QUANDO SFUMA IL BRANO DI SOTTOFONDO

PIER PAOLO PASOLINI

Adesso gli Americani sono all’opera nel Vietnam, per imporre la propria egemonia sul mondo.

EZRA POUND

Anche l’ultimo conflitto mondiale fa parte fa parte dello scontro millenario fra usuraie contadini: cioè fra l’usurocrazia e chiunque fa una giornata di lavoro onesto con le proprie braccia o con il suo intelletto. I miei compatrioti mi hanno fatto fare tredici anni di manicomio criminale, per aver detto queste cose.

P.P.P.

Morte, distruzione, sofferenza, sterminio, ecco che cosa è sempre e soltanto la guerra. La guerra non risolve mai niente, crea soltanto dolore estremo.

E.P.

Non ci sono guerre giuste.

P.P.P.

Io conosco soltanto le armi della mia ragione, e nella mia violenza non c’è posto neanche per un’ombra di azione. Invece sono gli imperialismi, le avidità, di potere e di ricchezza, che mandano gli uomini a morire e fanno vittime innocenti fra i civili.

E.P.

Sono i mercanti di armi, sono i banchieri, il sistema che crea una guerra dopo l’altra…I politicanti da strapazzo, che soltanto apparentemente detengono il potere, sono in realtà i camerieri di banchieri e mercanti di armi.

P.P.P.

Forse è ancora troppo presto, ma la parola ‘guerra’ deve diventare tabù, deve automaticamente provocare ribrezzo, nella considerazione generale, come oggi suscita repulsione, che so? La parola ‘schiavitù’. Sono processi lunghi, ma bisogna pur cominciare.

EP

I tried to educate him.

PPP

Ti riferisci a Mussolini, mi ricordo. Egli ha precise ed oggettive responsabilità storiche in tutto quanto è accaduto.

EP

Al duce spiegai cosa significano realmente le mie teorie economiche, il denaro che produce denaro, inventato dal nulla e che dà il potere a chi può stamparlo.

Non ebbe il tempo di assimilarle, gli eventi ben presto precipitarono.

Nelle mie trasmissioni da Radio Roma a lungo ho esposto tutte le argomentazioni possibili contro la guerra, cercando di spiegare come a volere il conflitto mondiale fossero gli speculatori del denaro e i venditori di cannoni.

Nel 1939 invece tornai apposta negli States: volevo incontrare il presidente, pregarlo di fermare la guerra che si stava preparando. Ma Roosevelt nemmeno mi ricevette.

La volta dopo che son tornato in America – l’America di oggi è un Paese di pazzi – ci son tornato prigioniero. Mi avevano condannato a morte. Si è dovuto mettere di mezzo Ernest Hemingway per fermare il boia. Bontà loro, poi mi hanno tenuto tredici anni in manicomio criminale, tredici lunghissimi anni prigioniero, per le mie idee. Ma vivaddio…

Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee, o le sue idee non valgono niente, o non vale niente lui.

PPP

Io ho perso mio fratello, il mio amatissimo Guido. Lo so, è stata imposta la verità ufficiale, di mio fratello ucciso dai Tedeschi. Invece nel 1945 a Porzus, nel nostro Friuli, da partigiano cattolico, fu ucciso da altri partigiani comunisti, in un evento tragico e tremendo che mi ha condizionato per tutta la vita, ancor più nel silenzio.

Ma la verità serve forse a ridarmi mio fratello?

Ho pianto a lungo il suo volto.

Come sono amari, solenni, ammonitori, i versi di Eschilo, che nell’ ‘Agamennone’- come li ho tradotti io – dice:

“Tutti li ricordiamo i volti

di coloro che sono partiti.

Ora ritornano in Patria,

ma sono urne e cenere”.

E io a Guido, che non aveva ancora vent’anni, cioè a Ermes, che era poi il suo nome di battaglia, ho scritto versi che sono rimasti intatti in me, cicatrici mai richiuse di una ferita profonda che non si può rimarginare.

ENTRA IN SCENA ATTRICE

No, Guido, non salire!

Non ricordi più il tuo nome? Ermes, ritorna indietro,

davanti c’è Porzus contro il cielo

ma voltati, e alle tue spalle

vedrai la pianura tiepida di luci

tua madre lieta, i tuoi libri.

Ah Ermes non salire,

spezza i passi che ti portano in alto,

a Musi è la via del ritorno,

a Porzus non c’è che azzurro”.

PPP

Nel mondo esistono un’infinità di problemi e nessuno è capace di risolverli, ma senza la risoluzione di questi problemi la pace vera, la pace del poeta, è irraggiungibile. C’è ancora il colonialismo, lo sfruttamento di uno Stato sugli altri, a opera delle elite politiche ed economiche. C’è il capitalismo, lo sfruttamento di un potere economico sui lavoratori e sul popolo,, un neocapitalismo dal volto sempre più feroce, di un egoismo esasperato, che si estende anno dopo anno su scala planetaria col consumismo da esportazione.

Ci sono le ingiustizie sociali, clamorose, devastanti: i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre di più e sempre più poveri.

C’è il razzismo, che nasce dall’ignoranza, dall’atavica paura per tutto ciò che è diverso.

Senza andare tanto lontano, nella tua America, qui in Italia c’è l’odio razzistico dei Settentrionali per i Meridionali, oltre allo sfruttamento dell’immigrazione. Credo che presto il razzismo italiano genererà mostri politici.

Altri mostri saranno prodotti dalla sedicente cultura di massa, diffusa dalla televisione, in primo luogo e da quello che io chiamerei il mondo dei rotocalchi.

EP

In America questa è una realtà consolidata.

PPP

La responsabilità della televisione è enorme. Non certo in quanto mezzo tecnico, ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si fa concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. E attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere.

Non c’è dubbio, lo si vede dai risultati che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Attraverso la televisione il potere ha scalfito, lacerato, violato, imbruttito per sempre l’anima del popolo italiano.

EP

Mi era venuta voglia di indicare un simbolo delle vittime che hanno già provocato ed ho pensato a Marilyn Monroe.

PPP

Povera, dolce Marilyn, sorellina ubbidiente, carica della sua bellezza, come di una fatalità che rallegra e uccide!

Aveva preso la strada giusta, ce l’ha insegnata. Il suo bianco, il suo oro, il suo sorriso impudico per gentilezza, passivo per timidezza, per rispetto ai potenti che la volevano così, sono qualcosa che ci invita a placare la rabbia nel pianto, a voltare le spalle a questa realtà dannata, alla fatalità del mare.

EP

Io rimpiango l’età dei pionieri della mia America, tu la civiltà contadina del tuo Friuli.

Ho cercato di indicare i modi e i mezzi per costruire qualcosa di utile, I tried to build the city of Dioce whose terraces are the color of stars.

PPP

Tu chiacchieri nel cosmo. Ciò che ti ha spinto lassù con le tue incantevoli ecolalìe è un trauma che ti ha reso perfettamente inadattabile a questo mondo, un trauma consistito nella tua scoperta di un mondo contadino all’interno del mondo industrializzato di molti decenni in anticipo sull’Europa. Tu hai capito, con enorme precocità, che il mondo contadino e il mondo industriale sono due realtà inconciliabili: l’esistenza dell’uno vuol dire la morte, la scomparsa, dell’altro.

EP

E’ la tua stessa nostalgia della campagna, dell’età dell’oro pre-industriale e pre-capitalista.

Forse per questo mi hai cercato.

Tu, comunista immaginario, comunque sempre esponente di punta della sinistra egemone nella cultura italiana, sei stato il solo a ricordarti di me, lasciato solo da tutti gli intellettuali che contano, tristemente dimenticato, in questa Italia che io ho amato tanto, perché fascista.

Non solo: se qualcuno si fosse ricordato di me, automaticamente fascista sarebbe diventato subito anch’egli. Ma tu te ne sei fregato. Tu sei un uomo libero. E un uomo libero se ne infischia delle comodità, del conformismo, della paura.

PPP

Il tuo fascismo è un modo di mascherare la tua inadattabilità a questo mondo, un alibi per farti credere presente.

EP

Il tuo comunismo è un adattamento obbligato alla situazione della cultura italiana, una contraddizione vivente, che diventa ossimoro col tuo cattolicesimo, un’illusione col tuo populismo.

Tu ami il popolo, le minoranze, gli emarginati, gli sfruttati, gli oppressi.

Tu ami le tradizioni nazionali e popolari.

Tu più di me sei attaccato e rimpiangi la cultura popolare, le radici contadine sane e robuste cui ti stringi come ad un’ancora di salvezza.

Tu come me disprezzi il potere dell’industria, del commercio e del denaro.

4.

DIO. È MORTO – I NOMADI

NARRATORE

Pochi mesi dopo in Italia successe un fatto davvero “storico”, che viene comunemente considerato l’inizio della famosa “contestazione”, al di là dei tanti episodi isolati già registratisi qua e là in tutta Italia nei mesi precedenti.

A Roma, la facoltà di Architettura, a Valle Giulia, dietro villa Borghese, prima del quartiere Flaminio, era stata occupata e subito dopo sgomberata dalla Polizia.

Il primo di marzo quattromila studenti, fra i quali, tanto per fare qualche nome dei più famosi oggi – l’avreste mai detto? – Paolo Liguori e Giuliano Ferrara – e in cui la componente comunista era la stragrande maggioranza, si radunano in piazza di Spagna e da là mossero per attaccare l’università e “liberarla” dai poliziotti.

Per tutta la giornata, ci furono violenti incidenti, passati alla storia col nome, forse un tantino esagerato, ma certo indicativo, di “battaglia di Valle Giulia”: quasi seicento cinquanta feriti, quattro arrestati, oltre duecento fermati, ingenti danni.

Subito dopo averne avuto notizia, “a caldo”, Pier Paolo Pasolini scrisse una poesia

dedicata, amaramente dedicata, “Vi odio, cari studenti”, ai ragazzi con le bandiere rosse.

Sentiamo ora questi versi, perché in molti li hanno poi volutamente dimenticati.

ATTRICE

II PCI ai giovani!

È triste. La polemica contro

il PCI andava fatta nella prima metà

del decennio passato. Siete in ritardo, figli.

E non ha nessuna importanza se allora non eravate ancora nati…

Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi

quelli delle televisioni)

vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio

delle Università) il culo.

Io no, amici.

Avete facce di figli di papà.

Buona razza non mente.

Avete lo stesso occhio cattivo.

Siete paurosi, incerti, disperati

(benissimo) ma sapete anche come essere

prepotenti, ricattatori e sicuri:

prerogative piccoloborghesi, amici.

Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte

coi poliziotti,

io simpatizzavo coi poliziotti!

Perché i poliziotti sono figli di poveri.

Vengono da periferie, contadine o urbane che siano.

Quanto a me, conosco assai bene

il loro modo di esser stati bambini e ragazzi,

le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,

a causa della miseria, che non dà autorità.

La madre incallita come un facchino, o tenera,

per qualche malattia, come un uccellino;

i tanti fratelli, la casupola

tra gli orti con la salvia rossa (in terreni

altrui, lottizzati); i bassi

sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi

caseggiati popolari.

E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,

con quella stoffa ruvida che puzza di rancio

fureria e popolo.

Peggio di tutto, naturalmente,

è lo stato psicologico cui sono ridotti

(per una quarantina di mille lire al mese):

senza più sorriso,

senza più amicizia col mondo,

separati, esclusi (in una esclusione che non ha uguali);

umiliati dalla perdita della qualità di uomini

per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).

Hanno vent’anni, la vostra età, cari e care.

Siamo ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia.

Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!

I ragazzi poliziotti

che voi per sacro teppismo

(di eletta tradizione risorgimentale)

di figli di papà, avete bastonato,

appartengono all’altra classe sociale.

A Valle Giulia, ieri, si è cosi avuto un frammento

di lotta di classe: e voi, amici (benché dalla parte

della ragione) eravate i ricchi,

mentre i poliziotti (che erano dalla parte

del torto) erano i poveri.

Bella vittoria, dunque,

la vostra!

In questi casi,

ai poliziotti si danno i fiori, amici.

 

 

 

 

5.

MARIA CALLAS – AMAMI ALFREDO

NARRATORE

Già… era l’aria “Amami Alfredo”, da “La Traviata” di Giuseppe Verdi…

Divina! Come la voce che cantava. Unica: potente quanto delicata, sensuale e spirituale al tempo stesso. Una voce che riconosci fra mille: Maria Callas. Divina, sì, semplicemente, perché la perfezione esiste, se non nel tutto, in qualcosa: quando non c’è niente da mettere, né da levare, niente di meglio, ecco, questa è la perfezione, pressocché perfetta, pressocché divina, appunto.

Sì, ma – vi starete chiedendo, come direbbe qualcuno – che c’azzecca?

C’azzecca, c’azzecca.

Perché, arrivati a questo punto, adesso vi vogliamo raccontare, oltre a quello fra loro due, altri incontri, altre piccole, ma preziose, perle che abbiamo scoperto e che crediamo meritino di essere conosciute, di Pier Paolo Pasolini: incontri decisivi.

Perché spesso sono gli incontri che ti cambiano la vita.

Alcuni possono migliorarla, o rovinarla; distruggerla, o aiutarla, per un periodo più o meno breve di tempo, per un tratto più o meno lungo di strada, compiuto insieme, mano nella mano.

Ma ce ne sono soltanto pochi, pochissimi, rari, rarissimi, che, magari di colpo, trasformano la vita di chi si incontrano, per caso, si direbbe, anche se mai niente avviene per caso, la influenzano profondamente, la cambiano radicalmente, la esaltano e la fissano per sempre, e comunque rimangono là, dentro, là stanno, profondi, profondissimi, indelebili, l’istante reso eternità, giorno dopo giorno presenti e fecondi, anche quando tutto sembra cambiato, anche quando tutto sembra finito.  

Ecco, sono questi gli incontri decisivi.

MARIA CALLAS – CASTA DIVA

NARRATORE

E questa era l’aria “Casta diva”, dalla Norma di Vincenzo Bellini.

Soprano lirico, Maria Anna Sophia Cecilia Kalogheròpoulos, questo il suo vero nome, sebbene fosse nata a New York da umili emigrati, era greca, mediterranea, dalla voce di un’emozione unica; poi, di una bellezza fisica che richiamava in intensità, in pienezza, e nelle struggenti espressioni del viso, il fascino degli ideali classici, del sole, del vento, del sorriso e del pianto della sua terra d’origine, o di quella Magna Grecia che aveva nel suo portato genetico; donna di una sensibilità estrema, pericolosa per tutti, e in primo luogo per sé stessa.     

Nel 1968 era all’apice della sua prestigiosa carriera e godeva di una fama artistica  unanimemente riconosciuta quale la più celebre cantante lirica del secolo.

Sempre nel 1968, all’età di 46 anni, era giunta al capolinea della sua, come dire? Movimentata vita sentimentale, quando l’armatore greco Aristotile Onassis, allora l’uomo più ricco del mondo, la lasciò per Jacqueline Kennedy, la vedova del presidente americano assassinato a Dallas.

…Altro che gossip! E per tutto questo, purtroppo, non solo per il suo valore artistico, Maria Callas era ogni giorno sui giornali di tutto il mondo.

Nel 1968, in seguito all’abbandono di Aristotile Onassis, a Maria Callas il mondo crollò addosso; abbandonata la scena, entrò in un periodo di depressione severa, come direbbero i medici.

Pasolini aveva sentito la sua voce nei dischi di lirica e ne era rimasto incantato.

L’aveva poi voluta a interpretare il suo nuovo film Medea.

Dopo qualche perplessità, la Divina accettò.

Nacque così una relazione che legò, nell’ammirazione reciproca prima, e nel segno del mito e della tragedia greca, poi, due protagonisti della scena culturale: il “mostro sacro” della lirica internazionale e lo scandaloso intellettuale italiano.

La cantante si innamorò perdutamente e segretamente, e soffrì moltissimo del non essere ricambiata.

Pasolini pure amò la Callas: ma questo Maria non poteva saperlo, né poteva spiegarsi i silenzi, le contraddizioni lampanti degli ondivaghi, contrastanti atteggiamenti di lui nei suoi confronti.

Le rimanevano dubbi e tormenti, quando tutti gli altri se ne andavano, al termine delle riprese cinematografiche, degli incontri pubblici e privati, e pure lui che non poteva spiegarsi se ne andava, e lei che non poteva capire, rimaneva sola, sola ancora più di prima.

LA MUSICA È FINITA – ORNELLA VANONI –  

NARRATORE

“Non buttare via così la speranza di una vita d’amore”… E anche soltanto un minuto sembra impossibile da passare senza la persona amata, quando di una vita d’amore non c’è più neanche la speranza.

Così c’è la perfezione, però.

Perché la perfezione esiste, anche in amore.

L’amore perfetto è quello che non si consuma, che non si inquina, che rimane inespresso, perché impedito, quello che ha trovato tutto il mondo contro, e ha dovuto piegarsi, ma non spezzarsi e, lucido e folle al tempo stesso, pur nel mondo negato, resta così, dentro l’anima, per sempre, pressocché perfetto

Non è difficile dimenticare quello che non hai avuto, è difficile dimenticare la tristezza che te ne rimane. 

______

DOMANI. È UN ALTRO GIORNO – ORNELLA VANONI

MARIA CALLAS – ENTRA IN SCENA CON PPP

MC

Stammi vicino! Siediti qui accanto a me! Se c’è una cosa che mi dà ai nervi è quando stai con me eppure mi stai lontano!

PPP

Ma non è vero!

  • Sì invece come se volessi evitarmi!
  • Mariaaaa…
  • Scusa. Hai ragione
  • Ti sono sempre stato vicino, per quello che ho potuto
  • Ma non capisci il tormento per me di desiderarti?!? Di volerti sentire fisicamente?!? La voglia che avevo di sentirmi tua, ma proprio tua?!? Di essere posseduta! Penetrata! Sbattuta! Come dite in italiano? Scopata!
  • Mariaaa…
  • Hai ragione scusa… Di fare sesso! Di fare l’amore con te!
  • Adesso non darmi una colpa che non mi merito. Ho già pagato tanto la condanna della mia natura e so che continuerò a pagarla ancora, per tutta la vita, fino alla morte, con la morte stessa.
  •  Io…Io…Avrei voluto passare tutto il resto della mia vita con te. Pensavo fossi tu l’uomo della mia vita…Sai, quella stupida fiaba che raccontano, della mela divisa in due…
  • Non è una fiaba, è un mito. Lo racconta per primo Platone, nel ‘Simposio’, facendo parlare Aristofane, il quale dice appunto che…
  • …Invece sento che oggi è ‘ultima volta che ti vedo!
  • Ma non dire così! E perché poi?
  • Perché non abbiamo più niente da condividere. Devo prenderne atto. Devo guardare in faccia la realtà, per quanto amara che sia., Amare significa pure arrendersi,, a volte, anche se dentro c’è la forza degli oceani e dei mari in tempesta. Eppure…No, non mi rassegno…A volte ancora mi ribello… (lo bacia con foga, non ricambiata)
  •  
  • Che c’è? Ma cosa c’è?
  •  
  • Perché spegni tu, fuori, quello che mi brucia dentro?
  • Non sono abbastanza bella forse, eh? E guarda!
  • Non vado bene io? (accenna a spogliarsi)
  •  
  • Non ti basto io!?!
  •  
  • Non vado bene!?!
  • Adesso non fare un torto alla tua intelligenza
  • Non basto io?!? (piange) Non vado bene?!? (singhiozza)
  • …Andavo bene soltanto per dare un corpo alle tue pulsioni masochiste, a quella voglia che avevi di farti del male, di distruggerti?…E avrei dovuto essere io la tua carnefice?…Quello che mi chiedevi, io non potevo accettare e non perché mi scandalizzassi, no, ché in confronto a quello che ho visto, e pure fatto, se lo vuoi sapere, nella mia vita, tu sei una mammoletta, mio caro, no, ma perché io ti capivo, proprio perché capivo troppo, capivo tutto, non potevo accettarlo…
  • (la accarezza) Adesso non fare un torto alla mia intelligenza…Se non è un incidente, se è una colpa: ma al posto dell’Altro, per me c’è un vuoto nel cosmo, un vuoto nel cosmo, e da là tu canti.
  •  
  •  
  • (si è calmata) Me la ricordo, sai?!? La sua poesia! I versi con cui hai trovato il coraggio di spiegarmi una realtà che io non sapevo, che pure avevo intuito, ma che non mi porta conforto, anzi…
  • Non era coraggio, era sgomento…
  • … Ancora adesso non riesco ad accettarla. Non mi rassegno.
  • Tu donavi, spargevi doni, hai bisogno di donare. Ma il tuo dono te l’ha dato Lui, come tutto, ed è Nulla il dono di nessuno. Io fingevo di ricevere. Ma il debole sorriso sfuggente non era timidezza. Era lo sgomento, ben più terribile, di avere un corpo separato, nei regni dell’essere…
  • (pausa)
  • MC – A cosa pensi?
  • PPP – Ai tanti momenti che abbiamo trascorso insieme. 
  • Quanto tempo è passato, da quando ci siamo conosciuti?
  • Fra una cosa e l’altra, ormai sono più di due anni, che ci conosciamo.
  • – Che ci amiamo!
  • Tu, sicuramente. Ma io pure! Io pure ti amo, ma a modo mio, per quello che posso, per come posso io. È stata la prima volta che mi è successo. Per la prima volta i miei occhi hanno preso in considerazione i lombi immondi di una donna, non fatta a somiglianza di Dio, ma preda del serpente.
  • Ti era mai piaciuta una donna prima di me?
  • Le ragazzine della mia infanzia, in Friuli, ma confusamente, quando uscivano per andare a ballare. Se dici di adesso, Silvana Mangano mi piaceva, quando la vedevo, ma poi ho capito: soltanto perché mi ricordava mia madre. Sei stata tu la prima, e l’ultima.
  • (pausa lunga)…Ero terribilmente giù, stavo male, malissimo, rifiutavo tutte le offerte di lavoro e starmene tutto il giorno in casa, a pensare, mi faceva stare ancora più male. Quando arrivò la tua proposta, così strana, almeno per me insolita, invece mi venne voglia di accettarla. Forse perciò così sei stato tu a salvarmi!
  • Io in quel periodo pensavo al suicidio. Mi è passata soltanto quando ho visto te. Forse perciò così sei stato tu a salvarmi!
  • (pausa) …Quando ti sei innamorato di me?
  • Prima ancora di conoscerti, prima ancora di vederti.  Mi sono innamorato della tua voce. Non scherzo. Tu hai esperienza di un luogo che non ho mai esplorato: UN VUOTO NEL COSMO. E’ vero che la mia terra è piccola, ma ho sempre affabulato sui luoghi inesplorati con una certa lietezza, quasi che non fosse vero. Ma c’eri tu, lì, in voce. (pausa) E tu?
  • Io cosa?
  • Quando ti sei innamorata di me?
  •  
  •  
  •  
  • Non certo prima di conoscerti! Dopo, dopo: quando ti ho incontrato…            (sorride) Mi avevano fatto vedere il tuo film, “Il vangelo secondo Matteo” e faticai ad arrivare alla fine, l’avevo trovato noioso…
  • Mariaaa…
  • Hai ragione. Scusa. (pausa, poi sorride di nuovo) Eh, questo è niente, in confronto a quando andai poi a vedere “Teorema”…
  •  
  • Roberto Rossellini mi aveva parlato di te, mi esortava ad accettare la sua proposta. Mi diceva dell’importanza per me di interpretare un film, e un film d’autore, indubbiamente d’alto livello artistico, sotto la guida di una personalità ormai indiscussa quale eri tu.
  •  
  • Ero perplessa, non sapevo quasi niente di te.
  •  
  • Così andai a vedere “Teorema”, che in quei giorni davano anche a Parigi. Non ce la feci a resistere, a metà del film abbandonai la sala, scandalizzata. Dopo la cena, tornata a casa, non riuscivo a prendere sonno, ancora sconvolta da quello che avevo visto. Mi ricordo che alle tre di notte telefonai al mio amico Jacques Bourgeois.
  •  
  • Alle tre di notte!?!
  •  
  • Sì (sorride)…E così, senza saluti, senza chiedergli come stava, senza niente, gli dissi subito:
  •  
  • “Jacques, ho appena visto qualcosa di assolutamente disgustoso! L’ ultimo film di Pasolini, Teorema. Quell’uomo è pazzo!”
  • Pazzo eh?!? (sorride anch’egli)
  •  
  • Sììì…Mi ricordo che gli dissi proprio così:
  •  
  • “Quell’uomo è pazzo…
  • Allora, séntimi. Un giovane va in campagna a passare un fine settimana con una famiglia. Fa all’amore con la madre, poi fa all’ amore con la figlia, e poi fa all’ amore anche con il figlio! Ma non è finita qui. Va a letto anche con il padre, se ho capito bene. E prima era andato anche con la loro serva!
  • Ma non è credibile, via! Anzi, sai che ti dico? È una vera e propria buffonata!”
  •  
  • Jacques cercò di spiegarmi che la tua storia era un apologo, quel giovane doveva essere visto simbolicamente, che rappresentava Dio, ma invece di convincermi, mi scandalizzava ancora di più.
  •  
  • “Ma come? – gli dissi – Dio? Ma come Dio? Peggio ancora! Ma è una cosa blasfema! Peggio, peggio! Far vedere Nostro Signore che si cala le mutande! Ma via, via, non è serio, no no! È una bestemmia! Quel Pasolini bestemmia, vaneggia…Un pazzo, un pazzo!” (ridono tutti e due)
  •  
  • In molti mi sconsigliarono dall’accettare. Mi dicevano tutti di rifiutare, quando sentivano il suo nome
  •  
  • « Ah! Pasolinì, l’italien. Il est un communiste, tu sais? Cela peut être dangereux,
  • très dangereux pour toi, Maria. »
  •  
  • Sì, continuavano a ripetermi sempre
  •  
  • « Ah! Pasolinì, l’italien. Il est un communiste, tu sais? »
  • E il mio agente poi, con fare furtivo mi aveva detto di stare attenta, perché eri un omosessuale, come se la cosa fosse un pericolo per me!
  • E allora perché accettasti?
  • Lo vuoi proprio sapere? Andai a farmi fare l’oroscopo dall’astrologa che serviva tout Paris, Madame Joelle de Gravelaine.
  •  
  • Per il Sagittario, il mio segno, c’era solo confusione: né bene, né male.
  • Però Madame vi intravedeva una certa occasione, anche se non chiaramente.
  •  
  • Così dopo qualche tempo mi decisi.
  • Decisi da sola e decisi per il sì.
  • Sentivo il bisogno di uscire dal guado in cui mi trovavo, a qualsiasi costo. Meglio se per una cosa nuova, anzi proprio una cosa nuova, soltanto una cosa nuova, poteva farmi uscire dalle sabbie mobili che ormai da troppo tempo tenevano prigioniera la mia esistenza andata a rotoli.
  • Anche se, per riuscirci, avrei dovuto lavorare con il signor Pasolinì e i suoi strani teoremi simbolici! (sorridono tutti e due)
  •  
  • Mi aspettavo di trovare un rozzo barricadiero, un capellone rivoluzionario, un marxista esaltato…
  • Invece mi trovai di fronte un uomo sensibile, straordinariamente sensibile, dolce, gentile, attraente, col suo fascino particolare, da intellettuale scomodo, un poeta…Ti ricordi la nostra prima cena da soli?
  •  
  • Venni a prenderti al Grand Hotel e invece ti portai in trattoria. Una trattoria alla buona, pure, vicino alla ferrovia. Ci sedemmo sotto una pergola e ogni tanto si sentiva il rumore che facevano i treni quando passavano.
  •  
  • Sì…Mangiammo pasta e ceci! Senza che neppure avessimo ordinato, ci misero davanti un piatto di pasta e ceci così invitante, che io mi misi a mangiare senza pensare neppure un secondo alla mia dieta!
  •  
  • Ci davamo del lei…
  •  
  • Sì…Cercasti di spiegarmi il tuo Teorema…
  • Vede Maria, in quel film io…– mi dicevi… E continuavi – Vede Maria… – così dicevi…
  •  
  • Vede Maria, non è forse vero che l’eros è divino? Più o meno ti dissi questo…
  • Sih…
  • Vede Maria…L’amore è il momento più trascendentale delle nostre vite, quando per un attimo non siamo più uomini anche se non siamo ancora dei. Il sesso è un’ascesa al sublime, come la poesia. Sì, il sesso è un’opera d’arte, che ci fa raggiungere una frammento di felicità, in quel troppo breve sussulto di esultanza, un attimo di eternità. Il sesso è il dono più prezioso. Tutti, almeno per un istante, possono far parte del sublime, trascendere la loro condizione umana, sfiorare le dita di Dio…
  • Ecco… Ecco, mentre tu parlavi, mentre tu mi dicevi quelle cose e il tuo viso diventava di pietra tagliente, smerigliata, d’un fascino dirompente, così, in quei momenti io mi innamorai di te.
  • Vede Maria…Il sesso è anche istinto fondamentale e primordiale, indissolubilmente legato al mistero assoluto della vita. Per questo tutte le istituzioni alte, tutti i poteri forti lo temono, lo avversano, lo ostacolano. Lo sminuiscono, lo mercificano. La sua pericolosità sta proprio nella contaminazione di liquidi vitali, nella sua sacralità creativa…
  •  
  • Poi è stato sempre così, in Turchia, a Grado, a Roma, a Parigi, in Grecia, in Africa. Più di tutto quel giorno in cui mi portasti a casa di tua mamma, all’Eur, a Roma, e c’era pure tua sorella. Mi sentivo perfettamente a mio agio.  Amare davvero una persona significa farla stare bene. Tu mi hai aiutato a risollevarmi, mi hai dato fiducia, mi hai fatto ricominciare.
  •  
  • Sono stato bene insieme a te, Maria. Con le altre donne, anche se erano capaci di dare un’impressione di estrema abilità e di discrezione, l’istinto mi ha sempre gridato di non fidarmi di loro in nulla. Soffia dentro di me un vento solitario, alberga sempre la voglia di non esserci, di fuggire. Di te mi sono fidato. Tu sei stata l’unica. Forse perché tu sei una donna semplice, anche se sei diventata regina…Sì, hai ragione, amare davvero una persona significa farla stare bene.
  •  
  • Avrei voluto sposarti.
  •  
  • Lo so.
  •  
  • Quando, finite le riprese del film, a Grado mi regalasti quell’anello antico, bellissimo, quella pietra di calcedonio rosso, incastonata nell’argento, per un attimo ho pensato che lo volessi anche tu, poi, ma ci ho messo settimane, se non mesi,, lentamente ho capito che non era così
  •  
  • Di te mi affascina la violenza dei tuoi sentimenti. Quando provi una passione, non è mai mediocre, o parziale, o trattenuta. Quando provi qualcosa, lo provi totalmente e fortissimo, e niente può trattenerti.
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  •  
  • a Tragonissi abbiamo vissuto da soli come marito e moglie, più di marito e moglie, su quella piccola isola…
  •  
  • Mi ricordo, era agosto, il tuo mare Egeo era splendido…
  •  
  • Quante passeggiate, quante confessioni…
  •  
  •  
  •  
  • RIPRENDE “DOMANI È UN ALTRO GIORNO”
  •  
  •             PPP
  • È inutile martoriarsi con i ricordi. Ci abbiamo provato veramente. Tutti e due. Non ci siamo riusciti…Adesso…Adesso è vero, sì, tutti e due abbiamo i nostri impegni, le nostre attività, i nostri pensieri, diversi. Adesso sarebbe tutto inutile…
  •  Ah, ecco, è così, e certo, adesso è così Vattene allora, vattene, vai via, vaiiiviaa!

(PPP si alza, si avvia verso l’uscita, si volta prima di uscire, fa come se volesse dire qualcosa, scuote il capo, esce. Dopo che è uscito MC piange, singhiozza, si dispera senza ritegno).

6.

(entrano in scena, mano nella mano, Ezra Pound e Patty Pravo da bambina)

EP

Tu sei figlia di questa città unica al mondo. Straordinaria, inimitabile, che segna in maniera irreversibile, chiunque ci venga, anche per una volta soltanto: e figurarsi chi, come te, ci nasce e ci vive.

Un miracolo.

Più che una città, sembra un museo in scala reale che perpetua il prestigio dei palazzi che sembrano uscire dal mare a galleggiarvi per chissà quale sortilegio capace di mettere i brividi.

Chi vi abita, chi vi transita per diletto, assume così irresistibilmente le sembianze di un attore, il Fascino discreto di una maschera, un’altra di quelle false e meschine di cui però ci ricopriamo continuamente, affinché gli altri comprimari dell’esistenza non ci riconoscano e non ci possano dunque far del male più di tanto.

PP

Ma come parli bene, tu! Rimango incantata ad ascoltarti…

EP

Perché le parole sono importanti. Le parole hanno un valore enorme e a volte pesano come pietre, pesano come macigni.

PP

…Però le tue sono difficili, a volte, sai?

EP

Non ci sono parole difficili. Ci sono parole che non conosciamo, ma che possiamo conoscere. Bisogna sempre avere voglia di imparare cose nuove. Non smettere mai di studiare e non smettere mai di avere voglia di apprendere. Se qualche parole ti incuriosisce e ti sfugge, tu corri a inseguirla, con curiosità.

PP

…Curiosità?

EP

Sì. La curiosità è sempre un formidabile strumento di conoscenza. Sarai sempre curiosa, mia cara, di quello che ti piace, o quanto meno ti interessa…

PP

Io …Io…Ecco…Allora…

EP

…Ma intanto finiscei il gelato, se no si scioglie tutto…

(sorride e le fa una carezza)

A te cosa piace, piccola mia?

–          La musica!

–          Oh la musica! La musica…Che cara!

–          Sì, ho fatto domanda al Conservatorio e mi sto preparando…Riuscirò ad entrarci, tu che dici?

–          Ci riuscirai se ti impegnerai. Un tale un po’ pazzoide, ma saggio, sai, tanto filosofo, diceva che tutto quello che viene fatto per amore accade sempre; e diceva poi, che alla vittoria si arriva col sacrificio: è la quantità di sacrifico compiuto che determina la vittoria. Dunque, parlando chiaramente e semplicemente: ama la musica, studia con impegno, anzi, con accanimento e vedrai che entrerai al Conservatorio. Tutte le porte si apriranno, se andrai a bussare con amore e accanimento.

–          A te piace la musica?

–          Tantissimo. La mia compagna è una musicista.

–          Chi? Quella signora americana che viene qualche volta con te a casa di nonna?

–          Sì, Olga.

–          Olga…Che bella che è!

–          Olga suona il violino, poi è una ricercatrice di antichi testi musicali, fra cui Vivaldi, ritorniamo a Venezia, anche se per trovarli noi siamo andati a Siena e a Torino.

–          Sta sempre con te a Venezia anche lei?

–          Sì, insomma…

–          Io…Io…A me piace pure cantare!

–          Sì, ma perché lo dici con quel faccino triste?

–          Perché ho paura di non riuscirci. Sono triste, perché i miei sono soltanto sogni.

–          Non devi avere paura. I sogni sono importanti, sai? Ci aiutano a crescere a migliorarci. Poi, se ci credi, ma ci credi davvero, a volte diventano realtà. Per te sarà così, vedrai. E canterai dei tuoi sogni e della tua tristezza…

–          Mi sento sola…Tu sei l’unico che mi ascolta…So che mi capisci. Con gli altri non ci provo nemmeno: non capirebbero…

–          Parlerò io con tua nonna, che è meglio che parlare con i tuoi genitori…And that is every think, my dear…

–          Davvero?!? Mi fai felice!

–          Promesso. Ma adesso si torna a casa, a studiare!

–          Sì, ma prima mi dici una delle tue poesie? Mi piacciono tanto, anche se le dici in inglese, in americano…Non le capisco, però sono belle!

–          Very nice of you. La poesia non c’è bisogno di capirla. La poesia si sente. C’è se si sente, e basta. Mi hai fatto il più bel complimento che potessero farmi, sai piccola? Most beautiful words from you, my little friend!

–          Allora me la dici?

–          Uhm…Vediamo…Ma sì, te ne dico una di quando ero ragazzo, un po’più grande di te, ma insomma, an cora un ragazzo…Quando arrivai la prima volta a Venezia…

–          Dai, sììì! Tu quando sei arrivato a Venezia.

–          Tanti anni fa. Oh my God, sarà passato mezzo secolo!

–          E ti ricordi ancora?

–          Certo che mi ricordo. In questa città succedono fatti che restano sempre impressi nella mente a tutti quelli che il destino ha chiamato a passarci. Now in the mind indistructible…

–          E perché ci sei venuto?

–          Perché ero triste. Perché ero pieno di sogni. Perché dove stavo io, in America, nessuno capiva i miei sogni e la mia tristezza. Amavo l’Italia che avevo conosciuto attraverso i suoi poeti. Consideravo Venezia una specie di premio, per noi esseri mortali, quasi un dono divino, a compensare quello che avevamo perso, ma pure una colpa imminente, a farci scontare poi tanta delizia! E poi, perché ero solo…Quando arrivai qui la terza volta, non di passaggio, come le prime due, per starci, ero ancora un ragazzino, avevo 23 anni e in tasca un manoscritto di poesie, i fogli scarabocchiati dei miei versi e una banconota da dieci dollari. Un giorno, poco dopo che ero arrivato, mi prese lo sconforto, di non riuscire a combinare nulla. Avrei voluto buttare a mare i fogli delle mie poesie… (cominciano a camminare con in sottofondo l’inizio del brano che poi continuerà in pieno quando avrà finito di recitare i versi)

–          E lo hai fatto poi davvero? Le hai buttate in mare?

–          No, no…Senti…I versi che mi vengono in mente ora, fanno così, te li dico in italiano, sentili…

shd/I chuck the lot into the tide-water?

      Le Bozze “A Lume Spento”/

            and by the column of Todero

      shd/I shift to the other side.

Accanto ai pilastri lisci come sapone dove San Vito

incontra il Canal Grande

tra Salviati e la casa che fu di don Carlos

butterò tutto nell’acqua

le bozze di A lume spento?

O Dio delle acqua, quale grande gesto di bontà/abbiamo fatto in passato, e dimenticato, /Che tu ci doni questa meraviglia, /O Dio delle acque?

O Dio della notte,

Quale grande dolore

Viene verso di noi,

Che tu ce ne compensi così

Prima del tempo?

O Dio del silenzio

Purifiez nos coeurs,

Purifiez nos coeurs,

Poiché abbiamo visto

La gloria dell’ombra della

Immagine della tua ancella,

Sì la gloria dell’ombra

della tua Bellezza ha camminato

Sull’ombra delle acque

In questa tua Venezia.

E dinnanzi alla santità

Dell’ombra della tua ancella

Mi sono coperto gli occhi,

O Dio delle acque.

O Dio del silenzio,

Purifiez nos coeurs,

Purifiez nos coeurs,

O Dio delle acque,

illimpidiscici il cuore

Poiché ho visto

L’ombra di questa tua Venezia

Fluttuare sulle acque,

E le tue stelle

Hanno visto questa cosa, da loro corso remoto

Hanno visto questa cosa

O Dio delle acque,

Come le tue stelle

A noi son mute nella loro corsa remota,

Così il mio cuore

in me è diventato muto.

(escono di scena)

“Ragazzo triste”, Patty Pravo

PRESENTATORE

Era, l’avrete riconosciuta, ‘Ragazzo triste’ di Patty Pravo, il brano che le consegnò il successo, qualche anno dopo quell’incontro decisivo con Ezra Pound.

Come decisivo fu l’incontro con Ezra Pound di Olga Rudge, che, nonostante la prima moglie Dorothy Shakespeare, è la donna della sua vita.

La magia del teatro, l’istante reso eternità, così loro due Olga ed Ezra,, si raccontano.

7.

EZRA POUND CON OLGA RUDGE

EP – Il bello è difficile!

OR – Guarda che io non avevo bisogno di te, quando ti ho incontrato. Non avevo niente da guadagnare a frequentarti. Avevo 27 anni, ero già più che una promessa: ero già una musicista affermata, io, a Parigi, mon cher!

Era l’autunno del 1922, I remember…

–          Mi ricordo, mi ricordo sempre tutto io! Fu ad un ricevimento a casa di Natalie Barney, fra i suoi abituali ospiti bohemien, spie, lesbiche e a vario titolo versatili che a te tanto piacevano. Avevi una giacchetta con su disegnati i dragoni cinesi e io proprio in quel periodo stavo studiando il poeta cinese Li Po, l’immortale Li Po, che dall’ottavo secolo non ha cessato di essere a noi presente col suo fascino; poi, ecco, ero particolarmente interessato alla musicalità del verso, dai tempi del miei saggi sui poeti Trovatori, al rapporto fra musica e poesia… Beh, presi quei dragoni addosso a una violinista come un doppio segno del destino, addirittura in contemporanea!

– Mi piacevano le tue mani…Avevi una testa bellissima e un volto attraente…Presi subito confidenza con te. C’erano tante cose che ci univano, tantissime, tutte forti, ci legavano.

– “Dolcezza mia”, cominciavi i tuoi biglietti, quando mi scrivevi. “Ti voglio J want you”, mi ripetevi

– Ci scrivevamo ogni giorno, anche più volte al giorno…Abbiamo seguito il nostro destino in ogni dove. Nel 1924 avevo ricevuto una proposta di matrimonio da un ottimo partito, una specie di play boy straniero: invece seguii te a Rapallo…Come te, anche prima, quando tu non c’eri, avevo fatto il tuo stesso percorso: dagli States in Inghilterra e poi a Parigi. Ma c’era l’Italia nel nostro destino!

– Sì, nel nostro, nel mio, nel tuo: nel nostro!

-…E Venezia! Al conservatorio Benedetto Marcello. Sì, ma prima a Firenze, e poi Siena, con le mie scoperte degli inediti di Vivaldi, fra un concerto a Parigi di nuovo e di nuovo un altro a Londra, e Budapest e Vienna. Poi sempre a Rapallo, dove ti inventasti le rassegne musicali. L tuo, ahimè per lunghi tratti il vostro appartamento di via Marsala, ma poi il tuo, per fortuna il nostro, la nostra villetta a Sant’Ambrogio, vicino la Chiesa, di Zoagli, la ‘Casa 60’…  I muri in perfetto stile ligure, le pareti arancione, le porte verdi; le viti,, gli ulivi, i ciliegi e poi i fiori, e l’orto, con la salvia, il basilico e il rosmarino; dentro, il focolare, la libreria, il tavolo, le sedie, e di là il nostro letto… Tua moglie voleva farti andare con lei in Sicilia, avrebbe voluto mettere quanta più distanza possibile fra me e te…Ma ormai era troppo tardi! Io volevo un bambino e quel figlio ormai l’avevamo concepito!

– Tu non volevi un figlio: non ci avevi mai pensato, anzi solo l’idea ti faceva stizzire, prima. Tu volevi un figlio da me., E’ diverso.

– ‘Hai avuto la tua vittoria. Tu sei necessaria per Ezra”, mi scrisse il tuo amico del circolo del tennis di Rapallo Adrian Stokes…Fu una consapevolezza raggiunta, un desiderio fortissimo realizzato. Come avresti voluto chiamarla Mary?

– Xena, mitologicamente.

– E poi, oltre a Rapallo, anche a Venezia, dove passare un po’ di TEMPO NOSTRO, insieme alla nostra bambina, per il resto affidata alla tata, Frau Marcler, in Sud Tirolo. I posti dove non c’era e finalmente sempre qualcuno nella stanza accanto! Se penso per esempio ai tanti, ai troppi Natale passati lontano…

– Non diventiamo tristi ora! Sei sempre l’amore della mia vita, per me, come prima, più di prima!  Sei sempre tu! E per sempre sarà così! Ricordiamoci invece qualcosa di bello…

– Il concerto privato per il Duce! Mi aveva invitato a suonare per lui e fu una serata straordinaria. Fu di una gentilezza squisita, impeccabile: i calorosi complimenti alla fine, i magnifici fuori in regalo…

– Quando ricevette me, gli parlai delle mie teorie economiche: J tried to educate him… Poi gli regalai i miei Cantos, quelli che avevo già finito…’Ma questo è divertente’, said the Boss…

– Divertente, cioè straordinario, suppongo…Divertente…Divertente… Invece divertente proprio, per esempio, fu quando, in viaggio, verso Capri, in macchina, con la mia amica Lindy Shaw, sui prati del passo della Porretta ci fermammo per un picnic che lasciò esterrefatto un ignaro contadino, che, non avendo mai visto una cosa del genere, si chiedeva che cosa diavolo stessimo facendo, e alla fine pensò che avessimo improvvisato una vendita estemporanea di generi alimentari!

– ‘Ciao, amore, tante belle cose, auguri e carezze”, direttamente in italiano: io di bello mi ricordo i tuoi biglietti…

– Poi, finita la guerra, arrivata la pace, vennero gli Americani e ti portarono via.

– Una pace senza giustizia non è pace, ma semplicemente il preludio a una nuova guerra.

– They taken the poeta to Zoagli…T’hanno messo in gabbia, old Ezra was a prize exhibit…,T’hanno fatto stare tredici anni in manicomio c riminale a Washington, condannato come traditore per le trasmissioni che avevi  fatto a radio Roma.

– Libertà di parola senza libertà di parola per radio è zero!

– Passarono sette anni prima che potessi venire a trovarti, almeno per qualche ora.  Tre visite di tre ore l’una. Una conquista, non c’è che dire…Tredici anni di solitudine, e poi il silenzio…Il tuo TEMPUS TACENDI. Perché, Ezra?

– L’arciere che manca il centro del bersaglio cerca la causa dell’errore dentro sé stesso.

– Ma c’è un senso, my love, a tutto questo? E qual è la meta?

– Bisogna mettersi in ordine le idee. Poi, non pensare più a niente, lasciarsi trasportare dal ‘qui e ora’ e vivere la vita così, nella sua immediatezza, nella sua spontaneità.

La conoscenza, poi…E’ proprio questo il grande segreto.

Bisogna iniziare da sé stessi. Se conosci, vinci la paura, sublimi te stesso e l’esistenza. E ridi, come il Buddha. Ridi, perché stai bene, nel corpo, e nell’anima. Stai bene tu, e stai bene col mondo intero.

Ridi, perché scopri di non essere nulla e di essere tutto. E sei umile. Se non hai l’umiltà non hai compreso nulla. E ami le cose semplici che trovi nella vita di tutti i giorni. La differenza è che ne hai consapevolezza e ricerchi quelle autentiche. In armonia col mondo intero, yin e yang, caldo e freddo, aspirazione e inspirazione, non sei nulla e sei tutto. Questo è il senso, questa è la meta.

8.

NARRATORE

È unica, unica al mondo, inimitabile, ineguagliabile: la magia della voce. Vive soltanto per te, attivo spettatore, anche tu protagonista.

LA MIA SOLITUDINE – IVA ZANICCHI

NARRATORE

Siamo arrivati alla fine  – o quasi – di questa nostra rassegna di motivi e personaggi, di pensieri e di parole, di musica e di poesia, di idee, che speriamo abbiano trovato posto dentro di voi, e, magari col tempo, anche a distanza di mesi, se non di anni, speriamo possano tornarvi in mente, ed esservi preziose.

Abbiamo, in maniera provocatoria, certo, come ci si addice, e in maniera originale, come era indispensabile, ridato vita, insieme a voi, a personaggi incredibili, maestosi, lucidi e profetici, della cultura del Novecento, là dove stanno le nostre radici: senza radici non ci può essere sviluppo e non c’è equilibrio, non c’è futuro.

Ma prima di finire, frammenti di un ricordo, dell’autore, diretto, dagli inediti, quanto interessanti risvolti. E in ultimo, attraverso l’interpretazione di due giovani attori, che hanno la stessa età, 18 e 16 anni, dell’autore all’epoca e del suo amore, un amore impossibile, vero e proprio specchio dei tempi.

Ed eccoci al 1975, già, eccoci allo spettatore – partecipe e protagonista…

Sentiamo prima cosa dice l’autore.

Se di incontri decisivi, quelli che ti segnano la vita, abbiamo parlato, il mio incontro con Pier Paolo Pasolini è stato decisivo.

Io ero “il giovane fascista” di cui parlano i resoconti del tempo, che nello sbigottimento generale, nella contrarietà montante, osò chiedere a Pier Paolo Pisolini che cosa pensasse della cultura di destra, dando così il via alla sua risposta che lasciò tutti senza fiato. Ripeto: quel giovane fascista ero io.

RIMMEL – FRANCESCO DE GREGORI

NARRATORE

Nell’autunno del 1975 frequentavo l’ultimo anno del liceo classico “Palmieri” di Lecce.

Ospitato dalla mia scuola, in collaborazione con la locale università, si era

tenuto in quelle settimane un corso di abilitazione per professori, o qualcosa del genere: insomma, una specie di tirocinio prima della concessione ministeriale delle nuove cattedre. 

Alla fine di ottobre, per i neo docenti, gli organizzatori avevano invitato Pier Paolo Pasolini a tenere una conferenza nell’aula magna dell’istituto, allargata ai rappresentanti degli studenti delle varie classi.

Fu così che quella mattina potei ascoltare quelle che sarebbero rimaste le ultime parole in pubblico di Pasolini.

Infatti, pochi giorni dopo, rientrato a Roma, sarebbe andato incontro al suo tragico destino.

Ne resta traccia in un sunto, per quanto parziale, che il “Corriere della sera” pubblicò qualche settimana dopo in prima pagina, dal momento che qualcuno dei presenti aveva provveduto a registrare la conversazione.

Pasolini aspettò pazientemente che nell’aula, riempitasi al massimo, tutti riuscissero a trovare una qualche sistemazione.

Il viso scarno, aveva addosso un paio di jeans, una camicia di flanella a quadroni e stivaletti ai piedi. Cominciò a parlare convinto e convincente, riprendendo e sviluppando, in una sorta di fresco riepilogo, molti spunti delle sue ultime e più clamorose polemiche.

Se la prese con Mike Bongiorno e con la televisione, denunciandone l’omologazione e l’asservimento prodotti.

VOCE ESTERNA

L’omologazione ha operato una vera e propria distruzione dell’Italia, paragonabile a  quella venutasi a creare in seguito alla fine della seconda guerra mondiale.

La verità va detta a qualunque costo, a qualunque costo io dico che il sorriso di un giovane di dieci anni fa era un riso di felicità, mentre oggi è di un infelice nevrotico.

Io non so cosa sia la felicità: ma se è sorridere, cantare e inventare linguisticamente tutti i giorni una battuta, una spiritosaggine, una storia, se la felicità è questa, allora prima erano molto più felici di oggi.

Se la felicità non è questa, allora non parlo più.

NARRATORE

Affrontò la tematica del linguaggio nazionale, specificatamente la tesi della lingua che ci farebbe eguali, da lui confutata, naturalmente.

E, a seguito della mia domanda, accennò alla “cultura di destra” sostenendo che essa possedeva autori e tematiche che non era possibile continuare a ignorare, o denigrare, mentre, al contrario, bisognava discuterla, analizzarla e accettarne i valori positivi.

È appena il caso di ricordare il clima di quegli anni, in cui in una qualunque discussione vinceva chi riusciva per primo a dare del “fascista” al suo interlocutore, con ciò annientandolo…Gli anni delle demonizzazioni, delle persecuzioni, delle violenze…

VOCE ESTERNA

Occorre un confronto operativo con la cultura di destra. Non possiamo insistere nell’ignorarla: dobbiamo discuterne, analizzarne e accettarne i valori positivi, come quelli di Ezra Pound. Altrimenti, se non lo facessimo, sarebbe come se continuassimo a tirarci appresso una palla al piede.

Esiste una destra sublime, che non deve assolutamente diventare monopolio dei fascisti.

NARRATORE

Soltanto molto dopo sarebbero venute le “riscoperte”, le analisi, i confronti e le valorizzazioni. Invece Pasolini aveva il coraggio e l’onestà di dirle allora, in pieni “anni di piombo”quelle cose.

Anche in tutto questo, Pier Paolo Pasolini fu lucido polemista e straordinario profeta.

9. “Sabato pomeriggio”, CLAUDIO BAGLIONI

CLIC

Pronto? Pronto?!? Chi è?

Puoi parlare?

Lo sapevo che eri tu, me lo sentivo…C’avevi una faccia oggi davanti la scuola…

Puoi parlare?

Ma non devi telefonare, te l’avevo detto! Ero stata chiara, no?!? Evidentemente non ero stata chiara…NON DEVI CHIAMARMI A CASA!

E dove dovrei chiamarti, al centralino del Palmieri? Scusate, mi potete passare la…la trovate in classe, la…

I miei mi controllano, non vogliono che stia al telefono e già hanno da ridire…Poi, ci potrebbe essere chiunque…Ci potrebbero essere altre persone…E poi tu mi metti a disagio…

A disagio?!?

Sì, sono confusa, non riesco a gestirti…

Beh se ti faccio questo effetto…

Non c’entri niente tu…Sono io che…Non chiamarmi più!

Comunque grazie per l’accoglienza eh? Ero stato a lungo in silenzio, indeciso, dibattuto, poi non ce l’ho fatta, non ho resistito…Ogni squillo del telefono, un tuffo al cuore, silenzio, un altro squillo, un altro tuffo…Finché finalmente hai risposto…E grazie ancora dell’accoglienza…

Ma che volevi dirmi?

Niente.

Come niente?

Niente. Volevo sentire la tua voce…

Ecco, l’hai sentita

Già, l’ho sentita…

Domani ti scrivo…

Ecco, altri tuffi per il mio cuore…Tanti quanti quelli che disegni tu, che fai le I CON IL CUORE, che scrivi tutte le i, gli articoli i, tutti quanti, ogni vocale i di ogni parola, nessuna esclusa, un testo di poche frasi, o una pagina di quaderno che sia, disegnando un cuoricino al posto del puntino…

Già…

E tu, che cosa devi dirmi, per scrivermi un altro dei tuoi bigliettini colorati chi mi passi di nascosto? Furtivamente…Badando bene che nessuno ti veda…?

Che non possiamo continuare così…Meglio finirla…

La nostra storia non può finire…

Perché non può finire?

Perché non è nemmeno mai cominciata…Non può finire quello che non è iniziato…

Che mi fai, un riassunto di filosofia aristotelica?

Me ne guardo bene, tu conosci solo Carlo Marx, ma io non sono all’altezza di cotanto genio…Marx Engels Maotsetung…Come gridi nei cortei…

Stai zitto!

No, parlo. Parlo! Anche se come a scuola ogni volta alle assemblee vi incazzate e vi prende la crisi isterica…Comunque, comunque ecco, la nostra storia…Hai ragione, non possiamo continuare così, quando hai ragione, hai ragione…Dobbiamo trovare qualche altro modo per andare avanti, ecco, qualche altro modo di comunicare…

Magari fra qualche tempo, nel futuro, inventeranno altri modi per comunicare…

Già, ma noi chissà dove saremo…Hic et nunc…Come vai in latino?

Hic et nunc ci sono solo bigliettini…

I bigliettini…I bigliettini sui foglietti colorati con i cuoricini…Non funziona così…

Ah sì, e come funziona?

Funziona che dobbiamo trovare il modo di conoscerci meglio, e di frequentarci…

Funziona che non è colpa mia se tu sei fascista! Ecco…Già mi immagino che cosa direbbero solo se sapessero che …

Chi? Direbbero chi?

I miei compagni…

I tuoi compagni…Buoni quelli…Io comunque non sono fascista…Mi ci chiami tu così, ostentando pubblico disprezzo e democratico disgusto a ogni assemblea…Mi ci avete fatto diventare voi, un fascista…

Stai zitto, ché è meglio…

E parla tu, no? Allora, parla, scrivimi, almeno quello, e dimmi quando ci vedremo…Domani mattina, dimmelo, quando ci vedremo, magari domani stesso, domani è sabato, possiamo fare per sabato pomeriggio…

Sì, cantiamo Baglioni pure?

Che c’hai contro Baglioni?

Insulso e commerciale…Invece di parlare del proletariato, di rivoluzioni, di liberazioni, di pace e di locomotive, di giustizia e di libertà, lui canta  ‘passerotto non andare via’….Aha ah ahh ‘Ti prego passerotto non andare via’ aha ah ahh

Guarda che non fa ridere…

A me fa ridere…

Ma sentiti gli Inti Illimani allora…Che sono meglio….

Lo vedi?  La nostra storia, come la chiami tu, non può continuare…A parte che a me piace la musica classica…

Facciamola iniziare, almeno…

Ma come facciamo?

Ci vediamo di nascosto…Andiamo fuori Lecce, andiamo al mare…

E come facciamo, ad andare al mare?

Col tuo motorino, io non dispongo di mezzi, il vero proletario sono io, siamo noi, voi siete i figli della Lecce bene, della buona borghesia che tanto a parole disprezzate, salvo poi goderne da buoni figli di papà tutti gli agi e i privilegi…

Lo vedi?  La nostra storia, come la chiami tu, non può continuare…

Può, può…Basta volerlo, basta trovare il modo di…

Non può…

Può…E comunque, se proprio deve finire, facciamola almeno iniziare, così potrà finire…Andiamo al mare…Soli, io e te, senza che nessuno ci veda…

Vediamo, dai, vediamo nei prossimi giorni…

Non ce la faccio ad aspettare…

Perché non ce la fai?

Ho bisogno di guardarti, di vederti tutto il tempo che voglio, e sarà tantissimo, senza limitarmi a qualche occhiata furtiva, ho bisogno di accarezzarti i capelli lunghi, prenderli fra le mie mani…Intrecciarli fra le mie dita…

Va bene, vediamo…Ora devo chiudere…

E poi di prendere le tue mani nelle mie, di stringerle forte…

Devo chiudere…

Voglio sentire il profumo che ti porti come una seconda pelle….Voglio respirare il tuo  Patchouli, voglio drogarmi di Patchouli…

Devo chiudere…

E poi voglio accarezzare la tua pelle, sentire il contatto con la tua pelle…E poi ancora…

CLIC

Category: Cultura

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