IL CALENDARIO SCANDITO DALLE RICETTE E DAI PROVERBI DI UN MONDO PERDUTO RIVIVE NEL LIBRO DI PAOLA MATTIOLI

| 10 Luglio 2025 | 0 Comments

di Cristina Pipoli __________

“È sparito tutto dell’autentica società romagnola, il nuovo e il progresso hanno portato via benessere e prosperità”, sostiene Paola Mattioli e per questo ha scritto un libro di educazione culunaria “Viera. Ricette e proverbi romagnoli”.

È un vero viaggio culinario e culturale il libro scritto da Paola Mattioli.

Un percorso educativo che parte dal dialetto e sprofonda nella forchetta.

Viene sottolineato al suo interno che la tradizione della cucina romagnola non si limita a piatti, ricette o pietanze, ma si ricollega anche agli oggetti di un tempo.

Il rito del cibo, della sua preparazione alla sua degustazione si svolgeva in una stanza esattamente nella “cambra dll ca” (la camera della casa).

Bastava attraversare la soglia della porta per trovarsi direttamente in “cusèna”, in cucina, dove era presente l’àzadora che cucinava e svolgeva le mansioni quotidiane. Non era una semplice cucina, al suo interno non si trattenevano solo gli ospiti ma anche i componenti della famiglia che trascorrevano il loro tempo libero.

Paola ci fa scoprire un mondo e lo fa in modo dettagliato e preciso, quando leggi il suo libro scopri che il camino si dice “camèn”, il paiolo “paròl”, il cassone per la legna è il “casòn dla legna”.

Le poche posate erano contenute all’interno del cassetto della tavola, il coltello “curtel”, la forchetta “furzèni”, il cucchiaio “cucer”.

Per il vino si usava il boccale di terracotta.

La cucina antica aveva un rituale scandito dai cicli stagionali con il loro ritmo, e dal calendario liturgico, seguito dalle lune e dai soli, dai santi e dai patroni, dalle vigilie e dalle feste legate al ciclo agrario, dal carnevale e dalla tavola si susseguono ricorrenze e festività.

Paola fa leva all’interno del suo manoscritto sull’importanza che aveva il Natale, il pranzo iniziava con affetto. A cena si usava mangiare la minestra di passatelli, per la vigilia invece, i tortellini di ricotta.

Viene ricordata come in campagna si metteva un grosso ceppo “è zoch” nel focolare per farlo ardere tutta la notte di Natale.

Per San Silvestro e Capodanno, si celebra il rito del cenone, i resti del cibo venivano usati per la cena di Capodanno.

Inoltre in queste due giornate i bambini alla mattina di Capodanno giravano per le case dando auguri a loro venivano regalate delle monete, invece le donne dovevano restare in casa perché si riteneva portassero sfortuna per il nuovo anno.

Per Pasqua invece si mangiava l’uovo sodo benedetto dal prete.

Per San Martino si mangiavano le castagne, le nespole e si beveva vino.

La Romagna è nota anche per l’importanza delle sagre; se il mangiare per i romagnoli era il regalo più grande che il giorno può dare, il bere gli teneva compagnia dando il gusto allegro ai piatti, alle parole, alla pancia piena.

Un inno importante viene fatto citando i vini del territorio: il Sangiovese, il Pagadebit, la Cagnina, l’Albana dolce, il Trebbiano perché come dice Paola:《Tutto fa brodo.》

Nell’antico mondo rurale della Romagna, quando una persona si fermava in una casa per ristorarsi e chiedendo da bere, gli veniva offerto un bel bicchiere di vino.

Il mondo del vino ha subito una grande trasformazione nella società romagnola, si dalla parte contadina che da quella benestante e borghese, oggi ha una capacità significativa di qualità e tradizione. In Romagna la viticoltura ricorda una struttura professionale ed economica molto qualificata.

Il clima romagnolo contribuisce a favorire la produzione di vini di qualità.

Il San Giovese “Sanzves” è il vigoroso sangue che scorre nelle vene della Romagna, il vino rosso è capace di arrivare ai palati più affini.

Tra i piatti tipici del territorio romagnolo ci sono i Maltagliati (Mataie), nominati così perché sono tagliati male nati originariamente come cibo piccolo e spoglio.

Oggi li si accompagna molto con i fagioli che una volta venivano definiti la “carne dei poveri”.

Originariamente la pasta ai fagioli era chiamata fagiolata.

Il mondo romagnolo tra detti, scherzi e giochi si ricollega molto al tema dei fagioli.

Lo scherzo più famoso era quello della fagiolata “fasuleda, fasulera, fagiuleda” che veniva fatto la prima domenica di quaresima.

I fagioli venivano sparsi davanti all’uscio di una ragazza un po’ impertinente che non avesse trovato il moroso durante il Carnevale.

Altre fagiolate dette “fasuledi” erano architettate da un innamorato respinto o da una rivale in amore invidiosa di una ragazza.

Venivano usati anche nei giochi per coprire le caselle numerate.

Inoltre un’antica leggenda narra che si mettevano la notte di S.Silvestro sotto il cuscino, se l’indomani mattina si prendeva quello sano l’annata sarebbe stata positiva, se si prendeva quello sbucciato il nuovo anno sarebbe stato cattivo.

Tra i detti più ricorrenti troviamo “A Frampul, i pianta fasul e i nas barsarul” (a Forlimpopoli piantano fagioli e nascono borsaioli).

Uno dei primi molto interessanti della cucina romagnola è il Pancotto (Pancott), un tempo era considerato il pane della miseria più nera, rappresentava la povertà più totale.

Uno dei detti di questo piatto è:”supier int è pancott” (soffiare nel pancotto) ovvero fare la spia, oppure “va a magnè de pan cot” (va a mangiare il pan cotto) per dire va a quel paese.

Category: Costume e società, Cultura, Libri

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