IL MESSAGGIO DI SPERANZA DI MARIA RAFFAELLA SANTORO
di Cristina Pipoli ___________
Non tutti hanno la fortuna di uscire dal coma o di ritrovare quello che avevano lasciato a loro fianco. Maria Raffaella Santoro ha questa grande fortuna, e ci tiene a condividerla qui a leccecronaca.it perché perché comunicare non è solo scrivere un libro, ma anche diffondere speranza.
D- Pensa che ci siano ancora molti stereotipi oggi verso chi è disabile?
R- “Credo che oggi ci sia molta attenzione alla produttività, si ritiene che una persona che non produce ricchezza tra virgolette non è una persona di valore. Questo ha un peso importante quando si deve avere a che fare con una persona disabile si guarda di più a ciò che non sa fare e non può non fare piuttosto che a ciò che può fare e e dare. Se si pensa anche al fatto che oggi si da un valore smisurato alla bellezza, all’apparenza e alla prestanza fisica . Molti programmi televisivi ci fanno vedere soprattutto donne perfette uomini muscolosi; ma danno valore o attenzione alle interiorità, alla bellezza morale che una persona può portare ed essere. Ritengo invece che la persona vada vista nella sua completezza. È vero che una persona fisicamente piacevole è una persona che si riesce ad apprezzare di più, questo non basta per giudicare una persona. La bellezza di una persona sta in quello che prova, in quello che sente, in quello che pensa, in quello che fa e anche nel modo in cui si relaziona a agli altri”.
D- Quanto è importante l’amicizia per lei?
R- “Importantissima. Io ho diverse amiche con le quali ho un rapporto molto molto intimo, stretto. Ci piace parlare molto condividere momenti belli momenti meno belli. Ritengo che gli amici siano un po’ famiglia. In particolare noi che abbiamo lasciato la nostra città di nascita, Napoli ,e siamo venuti a vivere a Roma, abbiamo costruito relazioni di affetto e di amicizia e quindi per me le amiche che ho qui a Roma sono assolutamente delle sorelle perché sono amiche con cui condivido la mia vita, i miei pensieri, i miei desideri. Tra noi c’è conforto e aiuto, c’è preghiera l’una per l’altra perché siamo tutte credenti quindi ci diamo sostegno e aiuto quando c’è necessità. Ritengo di essere una donna fortunata, mi sento molto amata e spero che anche loro sentano il mio amore, la mia attenzione, il mio pensiero costante, le mie preghiere. A proposito di preghiera sono anche molto amica di una suora della nostra parrocchia. Si chiama suor Deborah e spesso le chiedo consigli se ho dei dubbi. Ci tengo anche ad affidarmi alle sue preghiere che non mancano di portare frutti. Lei è un po’ una guida spirituale e ringrazio Dio per avermela donata”.
D- Il 12 agosto sono passati tredici anni in cui lei è ritornata in famiglia?
R- “Sì, il 12 agosto ho festeggiato tredici anni da quando sono stata male. Il modo di festeggiare, che normalmente realizzo ogni anno, è andando alla messa per ringraziare il Signore per il dono della vita che mi ha donato due volte. Generalmente preferisco stare in famiglia o con qualche amico e spesso si stappa una bottiglia di spumante”.
D- Il ritorno ha rafforzato i suoi legami?
R- “II mio ritorno a casa lo ricordo con grande emozione per tutto l’affetto che ho ricevuto dai miei e anche dagli amici. Fu un momento che mi colpi molto perché ritrovare la propria casa e riassaporare la gioia di toccare di nuovo le proprie cose, dormire nel letto proprio piuttosto che in quello dell’ospedale fu una grande emozione. Ricordo, poi, la gioia di mio marito e la sua emozione quando avvinandosi il Natale, era il 20 dicembre con le poche forze che avevo e sostenendomi in qualche modo riuscì a preparare la tavola per pranzo di Natale. Mi fu di grande aiuto mio figlio che mi sosteneva anche fisicamente per evitare di cadere. Infatti ancora non non potevo camminare e muovermi in maniera autonoma. Sicuramente quel ritorno ha fatto in modo che noi tre ci unissimo ancora di più perché abbiamo vissuto insieme questa sfida del mio ritorno a casa e del mio riprovare a riprendere per quello che era possibile una vita normale.
La grande forza per ritornare alla vita me l’hanno data proprio loro: mio marito e mio figlio che mi hanno sempre aiutata, sostenuta e mi hanno fatto sentire la loro gioia profonda di riavermi nella loro vita. Il giorno dopo il mio ritorno a casa mio marito ha organizzato una grande festa in parrocchia con molti amici. C’erano anche gli striscioni di bentornata. Mi sono truccata e messa un bel vestito. Ero ancora molto affaticata ma fu una grande gioia. Durante il periodo in cui sono stata in ospedale”.
D- Ha conosciuto altre persone con la sua stessa esperienza?
R- “Ho conosciuto una ragazza che anche lei era passata attraverso il Coma. Non avemmo modo di parlare molto perché lei ancora non riusciva a fare lunghi discorsi. Ho invece conosciuto molte persone che sono passate attraverso il Coma quando ho fatto il tempo di riabilitazione al centro Adelphi, una struttura specializzata proprio per persone che sono state in coma o comunque hanno avuto gravi cerebrolesioni. Lì ho conosciuto altre persone che hanno vissuto un periodo più o meno lungo di di coma molti di loro purtroppo non stavano bene come me. Ricordo che desideravo loro conoscessero quanto Dio quanto li amasse tanto che proposi al centro Adelphi di fare un incontro di preghiera settimanale con con i pazienti ma anche con gli assistenti un incontro in cui lodare Dio e provare a pregare insieme. In quel periodo al centro Adelphi c’erano pazienti rappresentanti di varie religioni allora proposti agli organizzatori di fare un momento di preghiera ecumenico ciascuno con la propria sensibilità religiosa. Questo perchèe ritengo che la fede possa iniziare e non separare. Si può imparare a pregare insieme ad altri con che hanno religioni diverse rivolgendosi a Dio Padre. Devo dire che l’esperimento andò molto bene perché c’era una buona partecipazione e mi feci guidare nel realizzare questo questo progetto dal mio ex parroco don Filippo che mi diede un grande sostegno ma manifestò anche i suoi dubbi dicendomi: ti sei imbarcata in una cosa molto complicata da realizzare. Ma io ero cosi motivata e convinta non volli mollare anche perché pensai a san Giovanni Paolo II che fu promotore della preghiera ecumenica. Chiamai il progetto “Dio infondo al cuore”, perché sono convinta che Dio è presente nel cuore di ogni suo figlio e se si fa silenzio e si apre il cuore si può sentire la Sua Voce e si può entrare in relazione con Lui. Andò benissimo, molti pazienti parteciparono con entusiasmo. Fu molto apprezzato anche dagli operatori sanitari che vi parteciparono”.
Ammiro la calma di Raffaella, le auguro tutto il bene di questo mondo. Spero che la sua esperienza possa aiutare tante persone a ritrovare la pace e la serenità. È importante prendere spunto da queste belle anime.
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