DAL NILO ALLA SENNA, PASSANDO PER IL SERCHIO E TORNANDO DALL’ISONZO. QUEL NATALE DI GUERRA DI GIUSEPPE UNGARETTI, RESTITUITOCI ADESSO DA UN SAGGIO CURATO DA CARLO OSSOLA

| 21 Dicembre 2025 | 0 Comments

di Giuseppe Puppo _____________

Secondo talune teorie sociologiche, ma ci sarebbe da aggiungere secondo il luogo comune del comune sentire, la nostra esistenza viene segnata dal luogo di nascita. Da qui si parte comunque ben identificati, alla ricerca di una o più identità successive, segnate invece da altri e diversi luoghi frequentati e dagli incontri decisivi che facciamo durante il percorso.

La vita straordinaria di Giuseppe Ungaretti, unanimamente considerato ai vertici della poesia contemporanea e uno dei più importanti esponenti internazionai del Novecento, là dove stanno ancora piantate, ben solide e sempre nutrienti, le nostre radici, fu caratterizzata in maniera irresistibile dal luogo natio.

Esso fu, come è noto, Alessandria d’Egitto, da genitori toscani emigrati là in cerca di lavoro e di fortuna nella straordinaria atmosfera di svolta epocale della costruzione del canale di Suez.

Fu egli il primo poeta arabo della letteratura italiana.

Una delle sue prime e importanti poesie, è dedicata “In memoria” dell’amico arabo, anch’egli poeta, Mohammed Sceab, morto suicida  a Parigi nel 1913 soffocato dallo sradicamento, dalla solitudine e dalla perdita dell’ identità, che

 “… Non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano

gustando un caffè

E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono
“.

Come è sempre abbastanza noto, il giovanissimo Giuseppe Ungaretti andò a studiare in Francia e si trasferì a Parigi, che nel frattempo era diventata l’ombelico del mondo: in quel viaggio straordinario dell 1912 vide per la prima volta l’Italia, soprattutto la terra degli avi.

Come è forse meno noto, qui, a Parigi, frequentò per alcuni anni molti e prestigiosi poeti di lingua francese, in primis Guillaume Apollinaire, con il quale strinse una solida amicizia, oltre a studiare con il filosofo Henri Bergson, col filologo Joseph Bedier e con Fortunat Strowski, presso la Sorbona e il College de France.

Alcune sue poesie di questo periodo sono scritte direttamente in francese, altre in italiano fuorono da luin stesso tradotte in francese, come pure tradusse in italiano alcuni componimenti dei suoi colleghi e amici transalpini.

Qui, nell’ombelico del mondo conobbe e frequentò, fra gli altri, Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Aldo Palazzeschi, Pablo Picasso, Giorgio de Chirico, Amedeo Modigliani e Georges Braque, e scusate se è poco, no, per dire quanto contino i luoghi della geografia dell’anima e quanto contino le persone che vi incontri.

Su questo periodo fondamentale quanto poco conosciuto di Giuseppe Ungaretti è arrivato adesso ad illuminarci un libro bello quanto importante, “Il Porto Sepolto seguito da Derniers Jours”, curato e commentato da Carlo Ossola ed edito da Mondadori (304 pagg. 20 euro).

Esso dà finalmente corpo al progetto originario organizzato da Ungaretti, ma rimasto inattuato: abbinare alla sua prima raccolta, del 1916, “Il porto Sepolto”, all’epoca uscita invece da sola, ai versi in francese della plaquette La Guerre e alle poesie francesi di Derniers Jours.

Non è un esercizio puramente filologico: permette invece di collegare la ricerca poetica ungarettiana, che si sostanza in una vera e propria rivoluzione di tempi e modi.

Curiosità filologiche a parte, inoltre, rileggendo adesso in questa occasione la sua prima raccolta, colpisce la straordinaria attualità della parole scarna, essenziale, nuda e cruda dello stile, e pure al tempo stesso la straordinaria attualità dei suoi contenuti, in questo mondo che continua ad essere dilaniato da guerre senza senso e senza umanità, volute dai fabbricanti, dai mercanti e pure dai consulenti di armi.

Per esempio, quel Natale, passato dal poeta a Napoli nel 1916 durante una breve licenza dal fronte, mette ancora i brividi e rimane attualissimo anelito della nostra identità di contemporanei:

“Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare”.

Category: Cultura, Libri

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