IL CONCERTO DI DE GREGORI A LECCE / ALLE CAVE DEL DUCA C’ERA UN MULINO BIANCO: L’APPROFONDIMENTO DEL CRITICO MUSICALE DI leccecronaca.it FRA VIZI PRIVATI E PUBBLICHE VIRTU’
di Roberto Molle _________
Neanche lo sapevo, del concerto che Francesco De Gregori avrebbe tenuto ieri sera alle Cave Del Duca di Lecce. Solo qualche giorno prima Giuseppe Puppo (direttore di leccecronaca.it) mi aveva telefonato proponendomi di andare a sentirlo insieme, così intorno alle diciannove di un anonimo giovedì di settembre mi metto in macchina e in una quarantina di minuti sono in città, passo a prendere il direttore e, dopo aver superato qualche piccolo ingorgo, arriviamo finalmente alle Cave.
In giornata avevo dato uno sguardo al link del portale di TicketOne e qualcosa non mi tornava: rispetto alla sterminata disponibilità di posti risultavano solo un paio di centinaio di prenotazioni.
Può essere? De Gregori “il principe” non attira più il pubblico? L’avremmo scoperto di lì a poco.
Arrivati sul luogo del concerto, dopo aver percorso un po’ di stradine a piedi, finalmente il gate dove ci convalidano gli accrediti e ci fanno entrare. Dentro lo sconfinato spazio a perdere delle cave, sullo sfondo un palco maestoso e qualche migliaia di persone disseminate tra l’area food e la spianata dove è alloggiato il palco. Mi pareva! Probabilmente il server di TicketOne ha qualche problema.
Le luci sul palco sono tutte spente, il concerto non inizierà prima delle ventuno e trenta. Dalle casse mastodontiche appese ai lati dell’americana si libera la voce di Peter Gabriel, girerà nell’aria per almeno una ventina di minuti (piacevole coincidenza, avevo assistito a un concerto di Gabriel proprio lì ventuno anni prima).
Quando il concerto sta per iniziare i posti a sedere non riescono a contenere tutto il pubblico, in tanti restano in piedi; almeno cinquemila persone in prevalenza boomer (ma curiosamente non solo) sono concentrati a naso in su verso il palco.
La tappa di Lecce si configura dentro un tour che Francesco De Gregori sta portando in giro per l’Italia celebrando il cinquantennale della pubblicazione di “Rimmel”, forse il suo l’album più iconico per molti versi.
A inizio concerto mi aspettavo una set-list di massima che avevo letto da qualche parte, in verità quasi del tutto rispettata. Ovviamente Francesco ha cantato tutti i brani di “Rimmel” e altri random, più o meno sedimentati dentro i cuori degli astanti.
Sul palco il cantautore è spalleggiato da musicisti eccellenti a iniziare da Guido Guglielminetti (basso e contrabasso), Carlo Gaudiello (pianoforte), Primiano Di Biase (hammond, tastiere e fisarmonica), poi Alessandro Valle (chitarra, pedal steel e mandolino), Simone Talone (batteria e percussioni) e le splendide coriste Francesca La Colla e Cristina Greco.
Francesco è stato ineccepibile, a 74 anni la sua voce è ancora calda, profonda, energica. Tutto è filato liscio e il pubblico ha ringraziato puntuale con applausi generosi, l’acustica è stata impeccabile, e in tanti hanno cantato quelle canzoni che almeno una volta nella vita sono state colonne sonore di amori, tormenti, sconfitte e vittorie.
Tutto ok allora?
No, per niente.
Intanto, la zona cuscinetto tra il palco e il pubblico era enorme (si dirà per la sicurezza), i musicisti apparivano come piccoli omini della playmobil, magari un binocolo avrebbe aiutato (di solito in casi di così grande affluenza e ampiezza di spazi si installa un mega schermo).
L’esecuzione delle canzoni era così fedele alle originali (a parte la Buonanotte fiorellino) del finale, letteralmente massacrata nella sua essenza, ridotta a walzerino con annesso invito al ballo (per le coppie invitate sotto il palco) da risultare perfetta per il pubblico presente, a colpo d’occhio ordinato, educato, da “mulino bianco” (verrebbe da aggiungere).
Francesco De Gregori ha scritto delle canzoni memorabili, che ci accompagneranno sempre e resteranno eterne nell’immaginario di un Paese che quelli come lui li ha sempre amati (in fondo). Insieme a Francesco Guccini, Fabrizio De André, Roberto Vecchioni, Lucio Dalla e Antonello Venditti (solo per citare i più noti o mainstream come si dice adesso), De Gregori ha rappresentato un baluardo contro le disuguaglianze, la brutta politica, un sentire personale capace di farsi popolare, il cantare di storie, di amori e vissuti che sono dentro di noi, ineluttabilmente.
È stato un bel concerto insomma?
Per chi scrive è stato un concerto “addomesticato” buono per le famiglie (che magari sono nate intorno a quelle canzoni) e per certi nerd che malgrado il tempo andasse avanti, mentre il progressive si dissolveva e il punk radeva al suolo la musica rifondandola, e nel tempo grunge, post-rock e alt-rock riedificavano le fondamenta dell’archetipo sonoro, loro ascoltano sempre (e per sempre) i “cantautori”, quei cantautori! Senza vedere o percepirne l’esistenza di altri che, scrivevano e cantavano canzoni altrettanto importanti, in linea col loro tempo e la loro sensibilità, non meno bravi e interessanti dei summenzionati (Claudio Lolli, Claudio Rocchi, Stefano Rosso, Ivan Della Mea, per citarne solo alcuni).
Ero curioso prima del concerto di capire che effetto mi avrebbe fatto ascoltare live quelle canzoni; alcune di esse si sono rimescolate a momenti che mi resteranno eterni a causa di quel mood che le ha impregnate, lasciandone addosso un sapore e una percezione che non andrà mai via. Quella volta di “Rimmel” ascoltato per intero dentro un plumbeo pomeriggio svizzero, con la nostalgia di casa che mi divorava: come faceva Francesco a cantare con quella voce che mi riempiva di dolcezza e, contemporaneamente, mi alimentava dentro uno spleen mai provato prima? E tutti quegli ermetici giri con le parole che a vent’anni non riesci ancora a decifrare? O di quando a causa di una storia che si stava per chiudere male mi attaccai a “Titanic” per non precipitare dentro un vuoto da cui forse non sarei potuto più risalire? Quel disco mi salvò la vita… veramente.
Poi tutte le canzoni fattesi paradigma di un sentire che non smentisce necessariamente mille altre direzioni possibili, fatte di suoni e parole.
Francesco De Gregori è un grande è non ha niente da dover dimostrare, ma come giustificare quel tiepido sentimento che mi hanno suscitato ieri sera l’ascolto di brani eterni come Generale, La storia siamo noi, Caterina, Cercando un altro Egitto, Pablo, Bufalo Bill e cosi via?
Dopo “solo” un’ora e tre quarti il concerto è finito. Con Giuseppe Puppo, mentre ci avviavamo verso l’uscita si è parlato delle sensazioni provate, poi di quella famosa contestazione avvenuta nella primavera del 1976 al Palalido di Milano. Alcuni ragazzi dei collettivi politici studenteschi salirono sul palco interrompendo il concerto e accusando De Gregori di strumentalizzare i temi cari alla Sinistra per arricchirsi. Dopo aver eseguito sottotono e di malavoglia qualche canzone, De Gregori finì il concerto. I contestatori, minacciando ulteriori tumulti lo costrinsero a tornare sul palco e a rispondere in pubblico a una serie di domande tipo: “Quanto hai guadagnato stasera?”, Se sei uno di sinistra non a parole, ma a fatti, perché non lasci qui l’incasso stasera?”. Dopo circa venti minuti di interrogatorio, in un clima delirante la polizia fece irruzione e disperse i contestatori. De Gregori decise di non cantare più in pubblico. Lo fece per un po di anni.
Poi tornò e ci regalò tante altre belle canzoni. Ma chissà cosa penserebbero quei “ragazzi” di allora in un tempo questo, dove l’edonismo, l’individualismo e aggiungo il capitalismo fagocitante ha sdoganato ogni sorta di intenti, caratterizzando anche il più puro degli artisti. Francesco venne contestato per un biglietto di mille e cinquecento lire, ieri sera il prezzo variava da settore a settore dai poco più di ottanta euro fino a un minimo di quarantasei euro. Incassi stratosferici che al netto delle spese sono comunque tanti soldi. Nessuno ha avuto da ridire, neanche per un briciolo di romanticismo.
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