“LA DESTRA” A LECCE

| 20 Settembre 2012 | 2 Comments

Sabato 22 e domenica 23 sono le “giornate tricolori” organizzate da “La destra” a Lecce, presso la sala congressi del “President”.

Maurizio Ancora annuncia la presenza di Teodoro Bontempo e Francesco Storace.

Ricco il programma di dibattiti, tavole rotonde, mostre, che si snodano dalla mattina alla sera dei due giorni.

Sabato 22, alle 17, verrà consegnata una targa in ricordo del capitano Roberto Becherini.

***

Comandante Roberto Becherini, presente!

(rdl) Il lavoro di redazione a volte diventa meccanico, e noioso: anche se necessario, rischia di far diventare il giornalista un po’ passacarte, un po’ impiegato, fra un comunicato da correggere, una notizia da aggiustare, un programma da riferire.

Però succede a volte che la mente frema e il cuore cominci a battere più forte, pur mentre si legge un arido comunicato stampa.

E’ successo adesso.

Non per l’iniziativa politica, che magari valuteremo in altra sede e con la necessaria criticità, non certo per la realtà di partiti e partitini, ognuno dei quali chiuso nel suo orticello e incapace di “volare alto”, non certo per le ancora meno entusiasmanti, per usare un eufemismo, prospettive, bensì per un ricordo.

Al di là delle valutazioni di cui sopra, infatti, che sono tutto un altro discorso, bene ha fatto “la Destra” a ricordare il capitano Roberto Becherini.

Senza memoria non c’è presente e non c’è futuro, un albero può svilupparsi in maniera rigogliosa semplicemente se ha le proprie radici ben salde e piantate in maniera tale da trasmettere linfa vitale; in politica poi tutto ciò è fondamentale; chi non aveva tradizioni addirittura se le è inventate, mentre purtroppo  chi invece ne aveva di ancora valide e anzi più che mai attuali, un vero e proprio tesoro ideale, le ha rinnegate e disperse.

Una goccia in senso avverso può scavare una roccia, tracciare un solco, segnare un’identità.

Per questo ricordiamo anche noi il capitano Roberto Becherini, il “comandante Becherini”, come lo chiamavamo tutti noi.

Toscano d’origine, giunto a Lecce dopo gli orrori della guerra civile, con i riflessi condizionati da quelle tragedie da cui era riuscito a venire via, sfuggendo alle liste di proscrizione e alla caccia all’uomo che si scatenò a lungo nel Dopoguerra, mise a frutto il sangue dei vinti.

Negli anni Sessanta e Settanta ha allevato almeno due generazioni di giovani “Italiani di Lecce”, come li chiamava il “suo” Giorgio Almirante, stando semplicemente da mattina a sera negli storici locali della federazione provinciale di Lecce del Msi, in via A.Vignes 15 ( oggi completamente ristrutturati e diventati un “B&B” ) sbrigando i lavori più umili e noiosi di segreteria, col lo stesso piglio di austera importanza di quando comandava un manipolo di soldati in uno scontro decisivo.

Tranquillizzante, ecco. Cascasse il mondo, “al partito” come dicevamo noi tutti, “al partito”, il Msi era l’unico partito, altri non ce n’erano, c’era sempre, almeno lui c’era tutti i santissimi giorni, dal mattino spesso fino a notte fonda, apriva e chiudeva e aveva sempre una parola buona e utile per tutti, specialmente noi ragazzi.

A volte lo facevamo incazzare, con la nostra esuberanza giovanile, con iniziative radicali e pericolose, che egli non condivideva, salvo poi schierarsi successivamente sempre e comunque dalla nostra parte, anche contro i “senatori” e “gli onorevoli”; oppure quando lasciavamo le nostre cose in giro, mettendo a soqquadro i locali della Federazione, che egli invece avrebbe  voluto sempre in ordine.

Ma gli durava un momento, gli passava subito e ritornava a essere il papà, lo zio, il nonno che tutti noi avremmo voluto e che invece a casa, dovendoci scontrare in primis a casa con genitori e parenti, per la nostra scelta politica, non avevamo.

Rassicurante. Il ciclostile non funzionava? E lui lo faceva aggiustare. La Polizia ti cercava? Prima ti diceva dove andare per stare al sicuro, e poi a quelli negava e inventava. Finivi in carcere, e lui ti mandava l’avvocato. Il megafono non aveva le pile a posto, lo striscione non andava bene, si era finita la carta, non c’era più benzina nella scassatissima 124 gialla che usavamo per gli spostamenti? C’era il comandante Becherini.

Tirava fuori di nascosto cinque, diecimila lire dallo stringatissimo bilancio del partito e se proprio non poteva ti mandava in piazza Sant’Oronzo dagli storici “finanziatori”, che tutti noi ricordiamo con uguale affetto. Due in primo luogo, ogni volta uno all’insaputa dell’altro e ognuno con le bestemmie del caso, prima di scucire altre cinque, dieci mila lire, quando gli dicevi  che t’aveva mandato lui, “tinnila allu Becherini”, e allora “ah va bene, teniti uagnuni”.

Eravamo noi ragazzi la sua predilezione, ci diceva sempre che dovevamo raccogliere il testimone ideale che la sua generazione aveva salvato e ora trasmetteva alla nostra, e che noi a nostra volta avremmo dovuto consegnare alle generazioni successive, in “continuità ideale”, ecco, appunto, ecco un’espressione che gli faceva illuminare e commuovere al tempo stesso gli occhi.

Minimizzava, la buttava sull’ironia e il sarcasmo, poi, per il resto. Era sempre là a darti un consiglio, a mettere una parola di conforto, a spronarti e incoraggiarti.

Uomini così non ne fanno più.

Ma qualcosa rimane, proprio come un’incontenibile fiamma il suo ricordo vibra e arde in tutti i cuori di quei ragazzi degli anni Sessanta e Settanta a Lecce che ebbero la fortuna di conoscerlo e passare insieme a lui qualche ora di quei tanti giorni che egli passò in via A.Vignes, 15, dalla mattina a notte fonde, apriva e chiudeva.

Hai aperto porte che nessuno riuscirà mai a chiudere, riposa in pace, Comandante.

( Rdl)

 

 

 

 

Category: Costume e società

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Comments (2)

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  1. claudio penza ha detto:

    Nobis ad un grande camerata. Sempre presente nei nostri cuori!!!!

  2. Graziano De Tuglie ha detto:

    In quelle grandi sale gli era spesso compagno Vincenzino Spagnolo, entrambi custodi di una vera e propria chiesa. A noi, della generazione (d’iscrizione) 1970 raccontavano di chi era passato per quelle stanze prima di trasmigrare altrove.
    Il mio rimpianto è che non siano vissuti abbastanza per buttare giù dalle scale quei tizi che tornarono a salirle nel 1994 per sgraffignare il consenso che gli italiani di Lecce e provincia ci diedero copioso.
    A loro, maestri veri nella più grande umiltà, il mio grato pensiero.

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