[Il sottobanco] I giovani chiedono un futuro senza Cerano

| 16 Dicembre 2012 | 0 Comments

Nubi tossiche, polveri sottili. A dirlo così sembrerebbe di stare in una di quelle città ultra-industrializzate dell’Asia in cui l’inquinamento tocca picchi elevatissimi. Invece no. Siamo in Puglia. Terra di sole, mare, vento e ora anche di diossina. Se un tempo, infatti, la nostra era la regione dello sfarzoso barocco seicentesco ora è la terra dell’acciaieria Ilva di Taranto e della centrale Enel Federico II che, situata nei pressi di Cerano, si è guadagnata il primo posto nella classifica nazionale per le emissioni di CO2.
Sono più di vent’anni che la provincia di Brindisi è stata dichiarata area ad alto rischio ambientale. Tra i paesi maggiormente colpiti Torchiarolo dove la quantità di sostanze nocive supera il limite massimo impostoci dall’Unione Europea.
Basti pensare che la centralina ha rilevato superamenti di particolato maggiori di quelli rilevati in città come Verona, Milano, Roma. A tal proposito pochi mesi fa, quasi obbligato dal Consiglio dell’Unione Europea, il comune del paesino si era ripromesso di prendere le dovute precauzioni per risolvere il problema. Nel comunicato stampa del marzo 2012, pubblicato dal sito www.regionepuglia.it si legge chiaramente che sarebbero stati applicati dei filtri sui camini di ogni casa. Questo avrebbe limitato le emissioni di gasi inquinanti, la cui quantità superava il livello consentito e danneggiava, secondo il suddetto comunicato, la salute dei cittadini. L’applicazione dei filtri non avrebbe avuto alcuna ripercussione nelle tasche dei torchiarolesi. Tutto sarebbe stato a spese del comune. Finalmente i Torchiarolesi avrebbero potuto respirare aria pulita, aria pura.
E’ da più di venti anni che sono stati rilevati nell’aria livelli altissimi di mercurio, cadmo, rame, ossido di carbonio e nichel. Tutti materiali altamente inquinanti. Risultano, inoltre, ossidi di zolfo e d’azoto in quantità annue sessanta volte superiori alla soglia consentita e arsenico in quantità annue venticinque volte superiori alla soglia consentita.
Sono passati più di sette mesi ma ,ahimè, il margine di miglioramento che i “filtri magici “ avrebbero dovuto portare è ancora insufficiente. Ad aumentare, invece, è solo il numero della gente che si ammala, come ci rilevano i dati del Presidente della Lega anti-tumori di Lecce Giuseppe Sevarezza secondo cui, otto persone su dieci lottano contro il cancro causato dalla centrale.
Ad aggravare il tiro si aggiungono, poi, gli innumerevoli danni che la centrale ha provocato e che continua a provocare alle falde, interamente contaminate dal nastro trasportatore, e alle coltivazioni a ridosso dello stabilimento, soprattutto quelle di carciofi e pomodori, un tempo maggiore fonte di sostentamento della popolazione locale. Nessuno più, infatti, compra i prodotti di quei campi che rimangono incolti o si trasformano in discariche abusive, acuendo così la percentuale di disoccupati già elevatissima. Anche le bellissime spiagge, a ridosso dello stabilimento non sono più frequentate da nessuno ormai. Per non parlare del fondale marino che, se un tempo ospitava pesci ed alghe di ogni genere oggi si è trasformato in un cimitero morto: le temperature dell’acqua sono aumentate e gli animali non riescono più a riprodursi. Questo ce la dice lunga sul reale funzionamento degli ugelli che, collocati vicino al mare, dovrebbero raffreddare le acque prima che esse sfocino in mare aperto.
L’idea che la centrale sia l’unica fonte di sostentamento e di lavoro, come si è voluto far credere agli operai pugliesi, ora non funziona più. La morte governa ormai da molto tempo la nostra terra. Salvare il nostro territorio e le vite di tutti i cittadini pugliesi è, però, ancora possibile. Guardiamoci intorno e rendiamoci conto di quante risorse disponga il nostro territorio. Uno strumento importante per promuovere la competitività del sistema produttivo, la sicurezza dell’approvvigionamento energetico.
La tutela dell’ambiente è, non per semplice demagogia, utilizzare le risorse rinnovabili. Investire nel loro sviluppo significa garantire al nostro ambiente un futuro sostenibile e ai nostri figli una vita migliore. Questa volta senza “Cerano” .

A cura di Mariangela Rosato
per il Sottobanco
Rubrica di Rachele Caracciolo

Category: Costume e società

About the Author ()

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Connect with Facebook

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.