L’ EX INCENERITORE SASPI / LA MAGISTRATURA AVVIA LE INDAGINI. QUARANTA ANNI DOPO

| 28 Novembre 2014 | 0 Comments

 

di Valerio Melcore.
*****Nella foto: i muri alti tre metri che circondano l’intera zona a stento contengono le tonnellate di ceneri.*****
Sono passati trentacinque anni, da quando l’allora sindaco di Cavallino, il democristiano Franco Corallo organizzava nel paese cortei per protestare contro l’inceneritore Saspi, i cui fumi rendevano l’aria irrespirabile.

Qualche anno dopo, nel paese girava la voce che dai risultati di un’indagine era venuto fuori che a Cavallino la percentuale di ammalati di tumore era addirittura superiore a quella di Seveso.

Per i più giovani ricordiamo, che nel luglio 1976  nel Comune di Seveso avvenne un disastro.
Da un’industria chimica del posto,  fuoriuscì e si disperse nell’aria  una nube di diossina del tipo TCDD, una sostanza chimica fra le più tossiche, quell’incidente è appunto, passato alla storia, come il Disastro di Seveso. 

Ebbene, Cavallino poteva vantare il triste primato di avere più decessi dovuti al cancro, di quanti non ve ne fossero nel comune lombardo, nonostante noi non avessimo industrie o altre strutture inquinanti. Ciò nonostante, non ricordiamo che all’epoca ci furono indagini o sollevazioni popolari.

Le proteste degli amministratori di Cavallino erano rientrate, pare a seguito di un accordo con la segreteria Provinciale della D.C., la quale siglò la pace  tra i due sindaci democristiani.
A quello di Lecce fu garantita la tranquillità di poter amministrare senza rotture di scatole, a quello di Cavallino di potersi alleare con il PCI locale, guidato dal compianto Fernando Carlà, senza dover subire le ritorsioni della DC, che in quegli anni non vedeva di buon occhio simili alleanze.

Ma questa è un’altra storia, torniamo a bomba… si alla bomba ecologica.

L’inceneritore Saspi  smise di funzionare, l’intera area fu dismessa, restò soltanto un casermone e una montagna di cenere grigia.

Gli anni passarono e l’unica cosa, che a noi cittadini sembrava straordinaria, era che su quella cenere bagnata dalla pioggia e scaldata dal sole,  l’erba non cresceva, nonostante il trascorrere delle stagioni.

Questa cosa per me resta ancora inspiegabile.

 Sono trascorsi i decenni e oggi, a seguito dell’esposto di un proprietario di un terreno vicino alla “Zona Saspi”, che ha ipotizzato la contaminazione dell’area, giugono le reazioni della politica locale che con un coro quasi unanime ha chiesto di far luce, andando a caccia di presunti veleni nei terreni e nelle acque dei pozzi vicini al vecchio inceneritore, da tempo in disuso, che per decenni ha bruciato i rifiuti di Lecce.

 Due giorni fa il sopralluogo dei carabinieri del Noe di Lecce, guidati dal maggiore Nicola Candido, e dei consulenti già designati da tempo, Mauro Sanna (chimico) e Cesare Carocci (geologo).

I vigili del fuoco del Nucleo antibatteriologico (Nbcr) arrivano con le ruspe, personale dell’Arpa e dell’ufficio tecnico comunale , tutti lì, per fugare ogni dubbio circa l’eventuale sussistenza di sostanze inquinanti.
Ci chiediamo è mai possibile che si indaghi solo ora su quella montagna di ceneri che era sotto gli occhi di tutti, situata alla fine della strada provinciale Lecce-Lizzanello, visibile dalla tangenziale est, sulla quale per oltre un decennio non è cresciuto un filo d’erba?

 

 

 

 

 

 

 

Category: Costume e società

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