LA POLEMICA / “Meraviglioso” SUO FRATELLO LUIGI, E “Sei tu la mia città” A CARLO SALVEMINI. COSI’ GIULIANO SANGIORGI DEI NEGRAMARO ENTRA NELLA CAMPAGNA ELETTORALE LECCESE. CON UN DOPPIO SCIVOLONE

| 7 Giugno 2017 | 0 Comments

di Giuseppe Puppo_______”Ho pensato molto prima di scrivere queste poche parole. Ho temuto di poter sembrare di parte parlandovi di mio fratello, soprattutto trattandosi di elezioni. Ne resto sempre fuori perché mi dispiacerebbe poter correre il rischio di influenzare minimamente chi dovrà scegliere col voto. Ma poi ho capito che il fatto di conoscere in maniera profonda e vitale questa persona non può che essere un vantaggio per la comunità leccese che il prossimo 11 giugno dovrà eleggere il governo della città. Ho un obbligo morale, in tal senso, nei confronti della mia terra“.

Comincia così il lungo post, accolto con sconcerto da molti dei suoi stessi fan, con cui Giuliano Sangiorgi, dei Negramaro, ieri su ‘Facebook’ fa campagna elettore per il fratello Luigi, candidato nella lista “La Puglia in Più”, che sostiene il candidato a sindaco del Pd Carlo Salvemini.

In più, ‘concede’ a Carlo Salvemini stesso di far suonare venerdì in piazza Sant’ Oronzo durante il comizio di chiusura la sua canzone “Sei tu la mia città“, singolo tratto dall’ ultimo album dei Negramaro di due anni fa “La rivoluzione sta arrivando“.

La rivoluzione sta arrivando? Quale, quella di Carlo Salvemini? Che fra i banchi del consiglio comunale di Lecce c’è già stato quindici anni, insieme ad un’ opposizione ‘di sinistra’ addormentata, quando non partecipe, con il silenzio assenso  (“Hai dormito, e ti sei svegliato solo ora”, lo ‘salutò’ polemicamente a febbraio Paolo Perrone) e che aveva annunciato di voler lasciare.

“Non mi ci vedo a fare il professionista a Palazzo Carafa“, aveva scritto, infatti, annunciando di non volersi ripresentare nemmeno da consigliere, appena prima di essere ‘designato’ a candidato a sindaco dalla nomenklatura locale e regionale del Pd, Teresa Bellanova e Michele Emiliano in testa.

Il Pd, appunto. Quale sarebbe “l’ obbligo morale” di Giuliano Sangiorgi nei confronti della sua terra? Quello di far votare per un Pd dalla morale politica salentina molto discutibile, tanto per usare un eufemismo, su tutte le questioni più scottanti, e che non ho certo bisogno di ricordare?

Vediamo il lungo post, altro che poche parole, del resto fin dall’ inizio un capolavoro di ipocrisia:

“Ho deciso che sarebbe stato sbagliato tacere, sapendo di poter dare una testimonianza vera su chi è Luigi Sangiorgi, mio fratello.

Tralascerò l’aspetto più professionale e i successi da lui conseguiti con lo studio legale condiviso con Salvatore, nostro fratello maggiore e colui che ci ha indirizzati tutti verso l’amore per la musica e la devozione per la giurisprudenza. 

Insieme mi hanno educato, sin da piccolo, al valore incommensurabile della giustizia e della legalità. 

Pensavo fosse una deformazione professionale la sua, la loro ossessione per “le cose giuste”, una sorta di pignoleria eccessiva dovuta al loro mestiere.

Lo pensavo, ma poi ho ricordato tutto il tempo vissuto con luigi e salvatore prima che loro diventassero avvocati e io diventassi il loro primo assistito, quello che avrebbe occupato, poi, gran parte delle loro giornate lavorative. 

Quel tempo piccolo, fatto di gesti piccoli e di sogni grandi non era per nulla diverso da come lo vivo oggi. 

Quella purezza e quella correttezza non è frutto di un eccessivo zelo nei confronti della professione, ma fa parte della sua essenza, da sempre. 

Fa parte di Luigi quel rispetto smisurato per le persone, per le regole che sono alla base della convivenza pacifica e civile. 

Mi emoziona molto, ogni volta, pensare a come lui riesca a starmi accanto con una discrezione assoluta, impensabile per due fratelli che si amano come noi. 

Ma lui in silenzio mi ama.

In silenzio mi rispetta.

In silenzio mi aiuta.

In silenzio mi porta davanti a tutti gli obiettivi che insieme ci siamo prefissati. 

Forse è proprio per quel silenzio che odierà questo mio intervento ma, davvero, non è possibile stare zitti quando si è sicuri di non aver conosciuto mai persone simili nel mondo che possano assomigliargli. 

E in questo momento in cui ognuno di noi ha bisogno di certezze e giustizia, non posso fare altro che augurarvi di avere un punto di riferimento come lo è lui per me dal primo giorno in cui me lo sono ritrovato a fissarmi arrampicato alla mia culla. 

Sono certo che saprà proteggervi come fa con me e non vi farà sentire mai soli, nei vostri giorni e nei vostri sogni”.

Gaudeamus igitur: una specie di angelo custode vivente, presentato in un mix ibrido di impliciti rimandi, da Sigmund Freud, a Edmondo De Amicis, da Cicerone a Edward Banfield, che farebbero la felicità degli studiosi delle materie, ci manca solo Madre Teresa.

La canzone, poi, non c’ azzecca per nulla. Si tratta di un brano di maniera, che, al di là del titolo, e a parte la brutta base musicale riadattata,  è bruttissima nel testo, che vorrebbe essere ermetico, un po’ alla De Gregori prima maniera, ma non ci riesce, ed esprime solamente un nonsense generale, un vuoto cosmico. E’ dedicata ad una donna, poi. Ma Carlo Salvemini, almeno la conosce? L’ ha sentita, prima di farsela dedicare?
Scusate, ma che effetto fa sentire Giuliano Sangiorgi che canta a Carlo Salvemini, “sei tu la mia città”? e gli dice:

“La strada si aggroviglia nei tuoi capelli
i lampioni che esplodono come fanali nei tuoi occhi
hai il cuore che sa di asfalto e di preghiere
e le macchine ti attraversano senza più guardare
e sciogliti i capelli
del fango solo se ci riesci
riallacciami i tuoi dubbi
alle scarpe se poi tu non mi credi, se non mi credi”.

E vai, sciogliti i capelli, Carlo, dai, e credigli, ché vediamo come stai spettinato! Con gli occhi esplosi, e asfaltato dalle auto.

Effetto comiche finali, che tanto evaporano, a parte, tutto il resto, purtroppo, rimane.

Certo, nell’ ultradecennale assai controverso rapporto fra musica e politica, anzi, per meglio dire, per la precisione, fra musica e partiti, che è un’ altra cosa, uno scivolone simile non si era mai visto, nemmeno nel più sgangherato dei Festival dell’ Unità degli anni Settanta.

Mai un cantante, un cantautore di un ceto rilievo si era prestato, abbassato a tanto, mai era sceso così in basso, con “gli impresari di partito” del potere.

E, a proposito, arridateci Edoardo Bennato: “Ma che politica? Che cultura? Sono so, sono so, sono solo canzonette…”.

 

 

 

 

Category: Cronaca, Cultura, Politica

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