14 ANNI FA L’OMICIDIO DI PEPPINO BASILE. QUEL 14 GIUGNO 2008, L’ULTIMO GIORNO DI VITA

| 14 Giugno 2022 | 0 Comments

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Per gentile concessione dell’editore Stefano Donno, pubblichiamo qui di seguito un capitolo del libro scritto dal nostro direttore Giuseppe Puppo Morte annunciata di un rompicoglioni” (I Quaderni del Bardo Edizioni, Lecce, 2021, 86 pagg. 13 euro), il quinto, quello che descrive per intero l’ultimo giorno di vita di Peppino Basile.

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E’ il 14 giugno 2008. Un sabato. E’ l’ultimo giorno di vita di Peppino Basile.

Il giorno che l’avrebbe ucciso, Peppino Basile avrebbe dovuto svegliarsi presto per andare con il Vescovo di Ugento Vito De Grisantis a Santa Maria di Leuca ad aspettare l’arrivo del Papa Benedetto XVI.

Aveva dormito poco e male, si era alzato molte volte, per andare a fare la pipì: da alcuni giorni gli scappava spesso, a causa di una fastidiosa prostatite, che, al solito, come tutto quanto riguardava la salute, aveva trascurato, convinto che sarebbe passata da sola, come tutto quanto.

Quella notte, l’ultima volta che si era alzato per andare a fare la pipì, aveva appena avuto un incubo. Un lunga sequenza, che durò a lungo e divenne via via sempre più drammatica.

Aveva sognato di essere sull’altare insieme al Papa e al Vescovo, che celebravano la funzione religiosa, tenendolo d’occhio, affinché lui non scappasse via, in attesa del momento cruciale, in cui doveva essere crocifisso, davanti a tutti, là, sull’altare, dove una grande croce l’aspettava, con due carnefici dei quali non riconobbe i volti, con in mano già martello, chiodi e filo spinato.

Lui che doveva fare la pipì, ogni tanto diceva ‘mo torno’ al Vescovo, e si allontanava. Quando dopo pochi minuti tornava, Monsignor De Grisantis lo rimproverava, con il  suo dolce modo di porgere le parole tipicamente leccese, ma con il viso increspato dai tratti accigliati: si prendeva la mano sinistra con la mano destra, si ci dava dei colpetti con le nocche, a significare che quando uno è duro di comprendonio, non capisce e allora bisogna insistere e farlo ragionare, per convincerlo.

Lui lo tranquillizzava, dicendo che aveva capito, che non si sarebbe allontanato più, in attesa del momento cruciale della sua crocifissione, ma allora cominciava a rimproverarlo il Papa, solo che Benedetto XVI gli parlava in tedesco, con decisione e severità: per quanto lui non capisse quelle parole, capiva quanto bastava per sapere che lo stava facendo arrabbiare.

E così via. Insomma, un incubo angosciante, che durò a lungo, fino a stremarlo.

 

In boxer e maglietta, Peppino Basile non riconobbe il presagio.

Si era svegliato con il mal di testa, e un residuo sapore metallico in bocca, un’arsura che non aveva placato bevendo, perché l’acqua avrebbe verosimilmente alimentato il bisogno, tanto è vero che l’ultima volta, che era già tardi, si era svegliato non per la pipì, ma per la sete.

Anche se non riconobbe il presagio, Peppino Basile decise che non sarebbe andato con il Vescovo ad aspettare il Papa, quella mattina.

Temeva di fare brutte figure, credendo che verosimilmente avrebbe dovuto assentarsi   molte volte durante la funzione religiosa e che pertanto avrebbe dato fastidio, avrebbe indisposto i presenti, quando meno li avrebbe insospettiti, con suo grande imbarazzo.

Meglio evitare.

 

Presa quella decisione, stette subito meglio.

Il caffè aveva un sapore straordinario, un vero toccasana: gli fece passare il mal di testa e lo mise di buon umore.

Indossò un paio di pantaloni e una camicia, uscì sull’uscio di casa.

Era una bellissima giornata, una mattina scintillante di sole, con la luce impazzita di colori, l’aria profumata di terre lontane, di schiuma di schizzi di onde, di fiori e di piante, montata dai prati dalla brezza marina, che, a tratti lieve, a tratti pesante, arrivava dalla campagna.

 

Peppino Basile respirò a volontà il sole, il mare e il vento.

Non riconobbe il presagio, spense gli incubi con i mozziconi delle sigarette.

Pensò di occuparsi di sé stesso, insomma, cioè di farsi bello: già, che poi era quello il giorno in cui doveva fidanzarsi.

Lo pensò con i suoi sessant’anni avanzati, con il trepido desiderio di un ventenne.

Rientrò.

Quanta polvere c’era intorno, dentro casa era tutto un velo. La cucina inguardabile, troppi piatti sporchi da lavare. La poltrona vecchia, il divano strappato in più punti. La sua barba, lunga, incolta, trascurata.

Il suo cuore, in subbuglio.

Quella sera, si sarebbe dichiarato a Quintina.

La aveva adocchiata da un po’, una bella signora che viveva in un paesino a pochi chilometri di distanza, o insomma, non tanti da impedirle di venire a stare con lui, libera poi, quindi pensava pronta a essere la presenza femminile stabile di cui quella casa aveva urgentemente bisogno, l’antidoto giusto alla sua solitudine che non riusciva più a sopportare.

Basta avventure, basta rapporti occasionali, lo aveva già deciso, era tempo, questo, che il cuore s’agita, e leva polvere, polvere bianca e grigia, pesante come un cumulo di sabbia, di darsi una sistemazione, perché non ce la faceva più a tronare a casa di sera e trovarla vuota, disordinata, malinconica.

Peppino Basile quella sera voleva dare una svolta alla sua vita.

Aveva organizzato una serata danzante all’albergo ristorante Le Voilier, a Torre Pali, anni Sessanta-Settanta-Ottanta, aveva invitato una dozzina di amici, e sapeva già che avrebbero portato con loro anche Quintina.

Ora, doveva farsi la barba.

Prepararsi la camicia, la cravatta il vestito.

Chiamare a Silvio, al quale doveva dare le carte che gli aveva chiesto pochi giorni prima, la documentazione che gli serviva per la sua attività, ma che comunque serviva pure a lui; l’aveva raccolta con partecipata ricerca, come al solito si era incazzato per quello che aveva scoperto, anzi, di pomeriggio avrebbe messo in ordine quelle carte e avrebbe messo in ordine pure le sue idee, ma adesso non voleva arrabbiarsi, con la storia squallida quanto infinita di Burgesi, un pozzo senza fondo.

Adesso tutto quello che voleva, era farsi una doccia.

 

 

Silvio non avrebbe voluto venire, perché quelle robe là, feste e balli, e pure cene al ristorante in comitiva, come si annunciava quella sera, non gli piacevano: si sentiva come un estraneo, in imbarazzo, e mediamente si annoiava; al telefono Peppino però lo convinse, ad andare, insieme a lui, anzi, sarebbe passato a prenderlo con buon anticipo, in quanto doveva consegnargli la documentazione che aveva raccolto e che, preannunciò, lo aveva fatto incazzare ancora una volta e di più: “Tocca bieni, Silviu, tocca bieni, aggiu le carte. Te lia ditta, ni sta futtenu…”.

 

C’era il sole diventato tiepido, trepido e sapido, quando Peppino, sulla strada per Torre Pali, passò nei pressi di Burgesi, dove fermò la sua Panda nera e si accese una sigaretta dopo l’altra mentre andava e ritornava dal cartellone esposto con le indicazioni dei lavori in corso, sotto lo sguardo preoccupato di Silvio, che rimase seduto sul sedile davanti lato passeggero.

  • A quai ni sta futtenu, Silviu, ni sta futtenu, te lia ditta, porcute…
  • Nu te ncazzare, nu serve a nienti ormai…
  • Sta biti? L’hane scrittu puru quasubbra DISCARICA DI SOCCORSO, cazzu, l’hanno misu propriu chiaru, ca se stallargane…
  • Eh, sempre in soccorso alla munnizza stannu…
  • Porcute…Porcute…DI SOCCORSO…Porcute…Porcute…
  • Nu te stizzare, ci te stizzi cendai?
  • Porcute…Ma porcute….
  • Nu te stizzare….Ormai l’hanu fattu…E’ passato in consiglio…Ormai….
  • Porcute….DI SOCCORSO….Eccu quai, hanu fattu l’inghippu…Ma ieu ni scasciu lu culu…Quannè crai chiamu lu Pellegrinu, fazzu nu casinu ca mancu semmagginanu, lu culu ni scasciu, porcute…Nu macellu cumbinu…Moi hanu ruttu propriu lu cazzu…DI SOCCORSO…Porcute…Ma porcute…

 

Quella carezza della sera volgeva amorevolmente le sue attenzioni su due uomini che stavano per entrare dentro Le Voilier, costeggiando, parcheggiata alla meno peggio la Panda nera, un canale, un ponticello di cemento, le barche vuote dei pescatori.

Sopra di esse si erano fermati, dove la sentivano premurosa e tiepida di salsedine  sulle loro guance.

  • Silviu, maggiu straccatu cu stau assulu…Quannu rriu a casa te sira nu c’è civeddrhi…Moi me pigghiu sta cristiana….
  • Faci buenu, era ura cu te fermi nu picchi…

 

Come era solito fare sempre, aveva voluto pagare lui, spendeva tutti i suoi pochi soldi così, offrendo a destra e a manca, a chi capitava, la consumazione al bar, la pizza in pizzeria, e a chi gli chiedeva qualcosa, era sempre, sempre pronto a dare quel che poteva in quel momento.

Peppino contò e consegno al titolare 360 euro, lo salutò e raggiunse Silvio che lo aspettava fuori.

La notte gonfiava di umidità, di sapore di mare, di speranza, di trepida attesa.

Si incamminarono per raggiungere la Panda nera là dove l’avevano lasciata.

 

  • Peppinu, sai, prima ha binuta te mie cu me chiede…Cu se informa…Ulia saccia te tie…
  • Cine, la Quintina?
  • Sih la Quintina…

SORRIDONO

  • E tie ce n’ha dittu?
  • Eh, naggiu rispustu buenu…Na brava persona, naggiu tittu, proprio una brava persona…Ce nnia dire? Sì, ogni tantu se stizza, ma se stizza sulu pe la politica, se stizza, esse fore te capu quannu ite le cose storte…
  • E iddrha?
  • Me pare ca nanu allargati l’ecchi, comu se sia commossa…Ulia me mbrazza quasi, ma mbrazzatu cu l’ecchi…Come al cinema, come se fosse un film…Se son rose, fioriranno…
  • Fioriranno, fioriranno…

RIDONO

  • Mena, sciamunde…Portame subito a casa ca me sta cala lu sennu…

 

Salirono, Peppino mise in moto, la Panda nera si avviò svogliatamente, quasi a fatica, provata da tutta quell’umidità che aveva accumulato nel frattempo.

Silvio vide che un’altra auto partì insieme a loro, da poco lontano, nascosta nella notte in cui se ne stava come ad aspettarli, una Ford Fiesta nera, o comunque di colore scuro. Non ci fece caso, fino a quando si accorse che aveva preso a seguirli, discretamente, attenta a non farsene accorgere, ma, dopo un po’ ne fu convinto, che li stava seguendo.

Ne fu convinto, ma non disse nulla.

Salutò l’amico, poi, quando scese sotto casa sua.

  • Beh, buonanotte, e grazie di tutto
  • Grazie a te, buonanotte

Ma non fu una notte buona.

Quella notte di inizio estate, dopo poche ore il sonno di Silvio fu interrotto bruscamente dal suono insistito del telefono di casa.

Quella notte di inizio estate, dopo pochi minuti, il tempo di passare dal distributore automatico a prendere le sigarette, perché le aveva finite, la vita di Peppino fu interrotta bruscamente da ventuno colpi di coltello.

La Ford Fiesta aspettava la Panda vicino casa sua, appena Peppino la fermò, ne scesero in due e si accanirono su di lui con una forza inaudita, come drogati di violenza.

In un angolo del cielo, la luna si coprì il viso, per non vedere.

 

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LA RICERCA nel nostro articolo di ieri

14 ANNI FA L’OMICIDIO DI PEPPINO BASILE. “Noi non dimentichiamo e non faremo mai dimenticare”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Category: Cronaca, Cultura, Eventi, Politica

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