Presentato il nuovo esecutivo MATTEO RENZI NELLA PALUDE

| 24 Febbraio 2014 | 0 Comments
IL “GOVERNICCHIO RENZI NELLA PALUDE DELLA PRIMA REPUBBLICA” di Tonio Leuci

Nonostante la propaganda dell’informazione di regime – su Renzi il più giovane Presidente del Consiglio, sul governo più rosa della storia della nostra Repubblica, sulle facce nuove dei ministri – questo governo è in realtà un “governicchio”. Anzichè essere un un Renzi-uno è piuttosto un Letta-due, con il premier-non eletto che ha fatto un bel rimpastone.

Il renzismo si impantana subito nella palude della Prima Repubblica, con un governicchio: dei partiti, delle lobby, di Confindustria, Coop, BCE, OCSE e clan D’Alema . Con una logica da “spartizione democristiana”, il rottamatore si affida innanzitutto ai leader delle tre principali forze della maggioranza: il Pd, con Renzi stesso che fa il premier; il Nuovo Centro Destra, con la riconferma di Angelino Alfano all’Interno(ma non più vicepremier); Scelta Civica, con Stefania Giannini all’istruzione. E ancora accetta un Lupi, riconfermato alle Infrastrutture. Una Lorenzin alla Sanità.

Compiace i “pote! ri forti “: Confindustria, che si prende il cruciale Ministero dello Sviluppo, con Federica Guidi. Il capitalismo di sinistra, quello delle Coop, conquista il Ministero del Lavoro con Giuliano Poletti. Con un formidabile conflitto di interessi, come la Pinotti alla Difesa.

Si arrende ai diktat di D’Alema, dell’OCSE e della BCE: Renzi voleva Delrio all’importante Ministero dell’Economia, ma alla fine ha dovuto ingoiare la nomina di Pier Carlo Padoan, già consigliere economico di D’Alema, direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale e vicino alle direttive degli eurocrati.

Le famose quote rosa renziane occupano le Riforme con la Boschi, la Pubblica amministrazione con la Madìa, gli esteri con la Mogherini.

L’unica vera novità nella lista dei ministri, portata da Renzi al Quirinale, era quella del procuratore antimafia Nicola Gratteri, nemico numero uno della ‘ndrangheta, ma ha incontrato il veto di Giorgio Napolitano: “non voglio magistrati alla Giustizia”. Renzi, nel “braccio di ferro” (termine usato ironicamente anche da Napolitano per smorzare i toni) durato due ore e mezzo, ha dovuto scendere a patti col “Partito trasversale del Gattopardo” e rinunciare alla nomina di un ministro che faceva paura, forse, perchè finalmente, avrebbe fatto funzionare la Giustizia in Italia, nominando al suo posto uno sconosciuto ragionier Orlando.

Insomma un governo che è più una minestra riscaldata, invece di rappresentare la svolta per il Paese. Genuflettendosi ai diktat di re Giorgio, BCE, UE, Bankitalia e poteri forti, Renzi ha già perso in partenza. Voleva la nascita della Terza Repebblica, ma con questo governo è, invece, ritornato alla Prima. Sarà il terzo premier imposto agli italiani dall’alto e insabbiato nelle secche, che rinfacciava a Letta. Voleva essere il rottamatore, ma si è già autorottamato.

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Fra i commenti apparsi sul web, il nostro Bepi Anguilla ci segnala quello di Davide, dal sito wordpress.com, dal titolo: IL PROGRAMMA? SALVARE DE BENEDETTI! – che qui di seguito riportiamo:

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Qualunque governo cencelliano esca fuori dal poco magico cilindro dell’ex rottamatore, una cosa è certa: che assieme ad esso dovranno essere onorate le cambiali firmate per il sostegno politico e mediatico, al limite della decenza, che è stato fornito al sindaco di Firenze negli ultimi sei mesi. Se Berlusconi verrà ricompensato politicamente con l’intoccabilità del conflitto d’interessi e con la legge elettorale, nell’ambito di un’alleanza reale e opaca al tempo stesso, la prima tessera del Pd ossia De Benedetti dovrà essere salvato con i soldi pubblici.

Si sa da tempo che Sorgenia, la maggiore azienda del gruppo che edita L’Espresso e Repubblica, si trova con l’acqua alla gola: ha quasi 1,9 miliardi di debiti di cui 60 milioni già scaduti a gennaio e non pagati. Il principale socio, l’austriaca Verbund non ne vuole più sapere e ha azzerato il valore delle azioni in suo possesso, mentre le banche creditrici ( tra cui Mps è di gran lunga la più esposta) sono disponibili a un taglio del debito di 600 milioni purché però i De Benedetti se ne accollino la metà, ipotesi cullata per due settimane ma venuta meno giovedì scorso in contemporanea con l’ascesa di Renzi.

 

 

L’ingegnere non ci vuole mettere più di cento milioni visto che nonostante l’aiutino di Letta da 130 milioni, rimangono parecchie altre grane, tra cui quella di Tirreno Power, controllata al 39%, oberata da 875 milioni di debiti e per i quali ancora non è stata trovata una soluzione con Unicredit.

Sono situazioni difficili, ma risolvibili con la benevolenza della politica che certo a un grande editore non può mancare. Ma qui il problema è strutturale: Sorgenia è entrata nel mercato dell’energia nel momento sbagliato, vale a dire quando i consumi hanno cominciato a scendere, il prezzo del gas si è alzato e la concorrenza di solare ed eolico insieme ad altre circostanze, ha reso di fatto marginale, inutile e in perdita la piccola Enel messa in piedi dall’ingegnere: per rimediare occorre un rapporto organico con il governo. Ed è chiaro che va in questa direzione l’interventismo politico debenettiano, reso plateale in questi giorni dal caso Barca, per conquistare un sostegno strutturale e sistematico dello Stato chiesto già nel 2012, ma non ottenuto.

L’idea sarebbe quella di creare una bad company che metta insieme diverse centrali, alcune di Sorgenia, altre della E.ON e altre ancora di Edipower partecipata dai comuni di Milano e di Brescia (entrambi a guida Pd) nell’ambito di un accordo che diminuisca di 12.500 megawatt (Sorgenia 3.200, E.ON 3.300, Edipower 6000) l’energia prodotta. In pratica rimarrebbero di riserva in attesa di un nuova crescita della richiesta energetica e/o di una insufficienza delle rinnovabili, condizione che naturalmente diventerebbe un altro obiettivo di governo. Ma la bad company come ricompensa per fare da “riserva energetica” vorrebbe accaparrarsi 250 milioni di contributi pubblici: una vera bazza per chi spesso produce in perdita per una serie di problemi connessi al calo della domanda. E un’operazione che aprirebbe la strada a una riduzione di altri 25 mila megawatt da parte di Enel e degli altri produttori, in cambio di altri 500 milioni di contributi pubblici. Tutto naturalmente da addebitare in bolletta sotto qualche voce generale o sul bilancio dello stato con un partita di giro più lunga.

Si tratta di un’operazione sulla quale i grandi media tacciono perché cane non mangia cane, ma è evidente che per tirar fuori tutti questi soldi in una situazione finanziaria in cui si raschia il fondo del barile e si sacrifica ogni tutela, occorre qualcosa di più di un governo comprensivo, ci vuole un governo amico per la pelle. Anzi sulla pelle dei cittadini.

Fonte: http://ilsimplicissimus2.wordpress.com

Link: http://ilsimplicissimus2.wordpress.com/author/ilsimplicissimus2/

20.02.2014

 

Category: Costume e società

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