La particolarità del barocco leccese/ CHE COSA C’E’ TRA IL VUOTO E L’ECCEDENTE

| 14 Luglio 2014 | 0 Comments

(Rdl) Studioso, saggista, appassionato di cultura salentina, come si chiama una delle riviste cui collabora, che analizza con profondità e originalità, Paolo Marzano si è più volte cimentato nello spiegare in che cosa consista la particolarità del “barocco leccese”: Gli abbiamo chiesto un contributo, adatto ad un quotidiano on line, non quindi un saggio accademico e didascalico. Esercitandosi nella mediazione della sintesi, ci ha inviato questo articolo, che qui di seguito pubblichiamo, ringraziandolo per l’attenzione (nella foto: Nardò, particolare della Chiesa di San Domenico).

La valorizzazione dei monumenti e dei nostri tesori passa necessariamente per una loro maggiore considerazione nell’ambito dell’importanza storica e del contesto in cui sono stati realizzati. I flussi di uomini, culture e merci non prescindono dallo spostamento e alla delocalizzazione dei migliori ‘saperi’, selezionati dalla committenza, dagli artisti che hanno saputo preparare l’allestimento di questo meraviglioso scenario e dalla materia usata, piacevolmente lavorabile.

Da questa miscela posta ‘sotto pressione’, cioè sollecitata da eventi storici decisivi e molto particolari, si è potuta creare una ‘lingua’ scolpita che il tempo ci ha consegnato e che tutt’ora continua a suggerire il suo messaggio.   

Come una galleria d’arte diffusa e aperta alle possibili ‘nuove’ interpretazioni, le soluzioni scultoree sono capaci di passare dalla scabra e sbozzata materia lapidea fino alla cesellatura che la rarefà, nel più gentile ‘ricamo’, modo di sublimarle, i tesori delle città ‘apparate’ salentine, ‘aprono’ il circuito e preparano il loro itinerario ogni giorno. Esse si offrono proponendosi agli occhi dei curiosi o degli appassionati studiosi, come delle stratificazioni, le cui matrici costitutive generano narrazioni tutte ancora da scoprire e da indagare.

Allora, quale migliore linguaggio usare, per poter maggiormente comunicare messaggi utili alla fede cristiana? Le facciate degli edifici dei palazzi gentilizi e delle chiese, mettevano a diposizione superfici importanti, e queste, vennero davvero fatte ‘funzionare’ ai massimi livelli.

Ecco allora IL VUOTO E L’ ECCEDENTE, come titolo del mio ultimo intervento per tentare di spiegare il fenomeno fisico legato alla pietra che muta (molti lo definiscono barocco, ma risulta riduttivo nel nostro caso; la situazione infatti è più complessa ed accattivante, vedi link in calce). Focalizzando la sua metamorfosi e specificando il suo probabile ‘salto’ concettuale che, dal muro liscio attraversa delle fasi; prima diventa immagine appena percepita, poi altorilievo fino alla scultura e, d’un tratto, corpo a tutto tondo, pronto a balzare nell’aria e nello spazio sublimandosi, in idea. Un processo di astrazione che la nostra pietra, così facilmente lavorabile, di certo ci ha educato a percepire e selezionare regalando all’uomo, l’eccezionale condizione di comprendere la migliore comunicazione possibile, usando un vettore ‘locale’, ma moralizzandola.

Più si ricercano i significati e ci si addentra nei dettagli di queste opere e più vengono fuori dei particolari percorsi narrativi che risolvono azioni, episodi, personaggi e concetti da loro trasportati e offerti.  Un esempio su tutti per chiarire il ‘passaggio’, la mutazione e le ‘filosofie’ o i ‘flussi di saperi’  nascosti dietro la pietra. Un esempio tra i più importanti; il domenicano Ambrogio Salvio è vescovo di Nardò dal 1569 al 1577. A lui si deve l’ispirazione, o meglio, la decisione della facciata, della chiesa di S. Domenico a Nardò.

La scelta è praticamente  contemporanea alla battaglia di Lepanto 1571 (ed è uno dei buoni motivi, ritengo, per cui l’opera vada tenuta da conto per il suo valore storico architettonico, nell’ambito di tutto il meridione d’ Italia e non solo). Coincidono troppi elementi per non definire quella facciata preziosa in ogni suo particolare, e sarà certamente ‘scrutata’ ancora. Per esempio, è molto probabile e facilmente presumibile, anche con un confronto visivo (particolare che difficilmente sarà riportato su documenti, ricordo che la facciata della chiesa non è mai stata descritta nei dettagli come stiamo contribuendo a fare, con questi miei scritti), che il domenicano cerca di ‘naturalizzare’ moderatamente l’azzardo, ritenuto esageratamente riferito ad inappropriate figure pagane, della facciata leccese di Santa Croce, il cui tremendo primo livello, a quel momento, era già costruito fino alla balaustra compresi i suoi telamoni reggitori. Il domenicano, teologo, allora, a Nardò, sottolinea l’equivoco sull’interpretazione della legge della natura, ‘sostenuto’, ad esempio, dalle colonne laterali poste all’ingresso del tempio di Lecce. Invece di bacchi danzanti e fauni barbuti a cavallo di volute fin troppo esplicite, di sirene bicaudate o figure femminili che ‘offrono’ il loro ventre come frutto ricolmo, a Nardò, egli contrappone, criticamente la ‘norma’. La serie di regole che la disciplina impone per la salvezza dell’anima.

E, proprio là, dove a Lecce, insiste un nastro con vitigni, spirali e simboli pagani che prepara alla scenografica balaustra sostenuta da telamoni, invece a Nardò ci sono vari omucoli (definizione di M. Manieri-Elia) apparati con i vari messaggi di fede, e che ‘segnano’ un intero livello. Gli dei pagani barbuti, esposti in perverse ammiccanti torsioni, non possono avere posto, all’ingresso del tempio, invece, hanno l’obbligo di ‘reggere’ o sostenere la regola che conduce alla salvezza dell’anima. Ne risulta una semplice, ma sconvolgente teoria critica, teologica, estetica, simbologica. Penso che possa essere stato proprio questo, uno dei motivi dell’ispirazione della facciata di San Domenico. Essa nasce da una ridiscussione dei modi e dei metodi di lanciare messaggi, di ‘parlare’ con le facciate e di esibire simboli.

Il domenicano neritino, azzarda e retrodata il linguaggio della scultura riferendolo ad uno stile romanicizzante, anzi ancora prima; usa la simbologia della seconda versione dell’ animula bizantina (la prima era la simbologia di un bimbo in fasce, la seconda un fanciullo con boccoli e nudo vedi scritto al link indicato in calce). La facciata, dunque, è generata dal semplice incontro con Dio nel dies irae (giorno del giudizio). 

Di fronte alla sua presenza, infatti, messa da parte l’arroganza e la superbia, eccoci di fronte ad una probabilissima realtà; risultano i 13 facinorosi telamoni a Lecce, trasformati, a Nardò, in 13 fanciulli nudi, pronti per il giudizio.

Paolo Marzano

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Category: Costume e società

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