LA GIORNATA DELLE FORZE ARMATE / MA IL FUTURO E’ COSTRUIRE LA CULTURA DELLA PACE

| 4 Novembre 2014 | 0 Comments

di Giuseppe Puppo________

Quest’anno la tradizionale celebrazione della giornata delle Forze Armate, oggi, 4 novembre, che richiama la data della fine della prima guerra mondiale, nel 1918, coincide con il centenario del suo inizio, nel 1914.

Nel Salento si segnalano due iniziative: in pratica,  le “porte – aperte” dell’aeroporto militare di Galatina; e la cerimonia organizzata dalla Prefettura, (nella foto, un momento della manifestazione, con il prefetto Giuliana Perrotta) animata da un invito ai giovani ad esprimersi attraverso i social network sui temi dei valori, il cui denominatore comune – riferisce un comunicato appena diramato – “è stato l’invito a trarre insegnamento dal sacrificio dei caduti della Grande Guerra e dei tanti conflitti che hanno segnato la Storia: trasformare la loro passione civile, il forte sentimento identitario di appartenere alla Nazione, l’imperativo morale di difenderla ad ogni costo, nella ricerca quotidiana del Dialogo e del Rispetto reciproco, unica via per riportare la Pace fra gli individui come fra le Nazioni”.

Sommessa, è arrivata poi l’eco dell’esternazione rituale del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

“Si vanno affermando nuove e aggressive forme di estremismo e di fanatismo”, ha insistito il capo del Quirinale, che rischiano di “insediarsi” in Italia “infiltrandone progressivamente la società: questa è una minaccia reale, anche militare che le nostre forze armate devono essere pronte a contrastare e prima di tutto a prevenire, insieme all’Unione europea e alla Nato”. Le difficoltà della Nato e, più in generale, dell’Europa e dell’Occidente di fronte alle crisi internazionali “riflettono una perdita di leadership politica in seno alla comunità internazionale”, sostiene il presidente della Repubblica. “C’è una divaricazione tra chi ritiene di perseguire il necessario livello di efficienza dello strumento militare” e chi all’opposto vive una “ricorrente pressione per una riduzione quasi ‘di principio’ di quell’impegno e dei suoi costi – ha rilevato il capo dello Stato – si sono di recente levate, in particolare in seno alla Nato, voci critiche per la tendenza in diversi Stati membri a una riduzione della spesa militare, mentre l’aggravarsi del quadro delle relazioni internazionali avrebbe dovuto spingere in senso opposto. Ebbene penso che da parte di ogni Paese membro della Nato si debba essere seri nel prendere decisioni che non possono mai avallare visioni ingenue, non realistiche, di perdita di importanza dello strumento militare”. Ma Napolitano ritiene anche che queste difficoltà dell’Europa e dell’Occidente dinanzi alle situazioni di crisi “non abbiano come causa principale un insufficiente investimento” nel settore della difesa “ma riflettano soprattutto una perdita di leadership politica in seno alla comunità internazionale. Varrà la pena, credo, di discuterne”, ha aggiunto.

Bene, discutiamone allora.

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Credo che anche quella di oggi sia stata un’occasione persa.

Cominciamo dagli aerei. Abbiamo una spesa ingente quanto inutile, che muove  somme ingenti, certo spendibili in maniera più proficua per tutti, per gli asili nido, per i trasporti locali, per le pensioni minime degli invalidi, per esempio, invece prevista a bilancio per l’acquisto di aerei da combattimento, cioè di distruzione, i famigerati F35, di produzione americana, fra l’altro di dubbio valore pure propriamente tecnico.

Sarebbe stata un’ occasione per rilanciare il dibattito sull’opportunità di un simile “investimento” di morte, in favore di un investimento di vita, inchiodando il governo del Pd alle sue opportunità, in un discorso più ampio, volto a rendere effettivo il dettato costituzionale dell’articolo 11, per cui “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

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I ragazzi, poi. Sui libri di scuola “la grande guerra” viene raccontata ancora in forma retorica ed edulcorata. Ne vengono taciute le responsabilità, i costi immani di morti, feriti, mutilati, e folli, sopportati dal popolo, dai ceti più umili ed emarginati, il coinvolgimento nella carneficina delle popolazioni civili, donne e bambini in primo luogo. Non viene detto che ne trassero unico giovamento  i ricchi, i grandi industriali, i commercianti, gli affaristi, gli speculatori e i mercanti di armi. Continua a sfuggire in essi il senso di carneficina senza senso, dipinto nella letteratura da Junger, Celine, Ungaretti, tanto per fare soltanto alcuni nomi e su cui certo più proficuamente essi avrebbero potuto esercitarsi.

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Portava il mio stesso nome, era mio nonno. Lasciò i campi su cui Cristo si era fermato nel profondo Sud e partì volontario per il fronte. Se la fece tutta quanta, la grande guerra. Non sapeva neanche lui come e perché riuscì a tornare vivo e vegeto. Da bambino, alle prese con le mie prime curiosità, lo interrogavo, e mi raccontava volentieri, ancora come in trance. Mi raccontava dei plotoni di soldati di cui faceva parte nei combattimenti, da cui tornava da solo, senza più i suoi “fratelli” d’arme, rimasti cadaveri; dei campi di prigionia da cui era riuscito a scappare, dei gas che portavano la morte immediata dal cielo; delle armi terribili che gli facevano usare; della perdita di ogni umanità che la guerra sempre sottende.

L’altro mio nonno, materno, dallo stesso paesino, Giovanni Grandinetti, si chiamava, partì due anni dopo, era un “ragazzo del ’99”, i ragazzi che a diciotto anni finirono a essere massacrati, perché chiamati a fronteggiare la situazione disperata dopo  Caporetto. Mi raccontava dei sacrifici, delle privazioni, delle prove terribili cui  furono sottoposti tutti quelli come lui.

Ai ragazzi che oggi hanno mandato sms, avrei voluto fare ascoltare le sue parole, altro che celebrazioni delle Forze Armate. Aveva la vostra età, cari. Non mandava sms senza rischiare nulla, assecondando la retorica delle Istituzioni, mandava pallottole volute dalle Istituzioni, che poi lo fecero “cavaliere di Vittorio Veneto” e gli regalarono un’elemosina in denaro, solo decenni dopo, e lui mi mostrava l’assegno, stringeva l’onorificenza e, già vecchio e provato, piangeva, piangeva e basta, senza dire più nulla.

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Un’occasione persa anche oggi  per rilanciare il dibattito sull’inutilità e la disumanità totale della guerra, e sul fatto che, checché continui a pensarla diversamente il nostro presidente della Repubblica, “non ci sono guerre giuste”.

Possiamo pensare finalmente a una cultura che spieghi come la guerra debba  diventare non più un’opzione, ma un vero e proprio tabù?

Possiamo pensare il sogno di John Lennon nella pratica attuazione di un impegno che preveda costantemente la costruzione della cultura della pace, dopo tanti secoli, ancora oggi, di pseudo – cultura ella guerra?

Possiamo pensare a una politica che preveda, subito, senza se, e sena ma, l’ uscita dell’Italia dalla Nato?

Possiamo pensare ad avere finalmente una nostra politica estera fondata sull’ordinamento del Mediterraneo e sulla cooperazione internazionale?

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Ecco i compiti, le vere e proprie battaglie di civiltà che attendono le giovani generazioni e che occorre urgentemente concretizzare e attuare.

Molte sono le forze, e disparate, che hanno già cominciato a muoversi, tanti i mezzi che possono essere usati a tal fine.

Ognuno faccia la sua parte, nessuno resti indietro.

Il futuro, l’unico possibile, questo, esattamente  questo, è già cominciato.

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Category: Costume e società

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