LECCECRONACHE / ERAVAMO QUATTRO AMICI AL BAR

| 22 Marzo 2018 | 0 Comments

di Raffaele Polo______

Stefano si è arrabbiato con noi e non ci saluta più. Qualcosa gli abbiamo fatto, evidentemente. E anche abbastanza grave, vista la sua decisione di passarci davanti e non guardarci neppure.

Si, in effetti, un torto ce lo abbiamo.

E dobbiamo spiegarci, perché si comprenda perfettamente cosa, per un leccese, può creare una ritorsione, un dispetto, la rottura di un’amicizia.

Allora, siamo in quattro che, ogni mattina, ci troviamo al bar, e prendiamo il caffè. Per gli italiani la cerimonia del caffè, la mattina, è un rito intoccabile. A Lecce, poi, si intersecano altre sollecitazioni a rendere ancora più consistente la ‘liturgia’ del caffè.

Prima motivazione: c’è una rigida elencazione delle turnazioni per il pagamento dei caffè. All’inizio si è discusso a lungo, ma poi si è addivenuti ad un accordo, stabilendo i giorni di competenza e cercando anche una soluzione (non facile) nei casi di assenza. Ovvero: si salta il turno oppure slitta il pagamento o si stravolge definitivamente tutto il calendario? E per le ferie estive, come si fa?

Seconda motivazione: assieme al caffè, non viene contemplato nient’altro, come consumazione. Ma, in caso di un’eccezione, ovvero un pasticciotto, un cornetto (attenzione: adesso sono ‘esplosivi’, soprattutto quelli con la Nutella. Li addenti e già al secondo morso la crema calda e liquida si spande attorno, colpendo in maniera implacabile giacche, cravatte, camicie e occhiali…) o altra prelibatezza, il costo dello stesso va addebitato al consumatore o rientra nel pagamento di chi è ‘di turno’?

Terza motivazione: se capita un ospite temporaneo, chi si accolla la spesa dell’offertorio?

Proprio su questa opzione, è nato il diverbio con Stefano.

I leccesi, si sa, hanno ereditato buona parte del loro carattere sociale dagli spagnoli. E se era tradizione che la nobiltà iberica fosse litigiosa e legata alle manieristiche precedenze date dalla nobiltà (prima il duca, poi il marchese, poi il conte… anche nel passare dalla porta, anche al bagno, non parliamo poi in una strada stretta….) così anche i veraci salentini di città non transigono sul pagamento dei ‘cafei’.

‘Pago io’ ha detto Stefano.

Ma sono subito insorti tutti e quattro gli astanti, protestando a gran voce: ‘ Che dici! Ci mancherebbe! Non ti permettere! Tocca a noi!’ Ed è stato un tira-e-molla di ‘pago io’, ‘no, io’ con esibizione di banconote davanti alla paziente cassiera che, leccese anche lei, non si è meravigliata più di tanto per questa reiterata manfrina.

Però, è successo che Stefano è capitato, qualche giorno dopo, alla stessa ora, nello stesso bar. E si è ripetuta la scena.

Io credo che si a venuto apposta, proprio richiamato dal senso dell’onore, canticchiando ‘ Si ridesti il leon di Castiglia’ e ha detto subito: ‘Oggi pago io!!’

Ma non ce l’ha fatta, perché Mario lo ha gelato con un ‘E’ già pagato, statte sotu’ che vuol dire ‘siediti e zitto’. Ma Stefano, animo lirico, l’ha presa come Turiddu quando compar Alfio gli dice ‘Grazie, ma il vostro vino io non l’accetto….’ Noi leccesi siamo anche siciliani, oltre che spagnoli: le teniamo proprio tutte…

Da allora, Stefano non ci saluta più.

 

 

 

Category: Costume e società, Cronaca, Cultura

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