LA TASK FORSE

| 10 Maggio 2020 | 0 Comments

di Crocifisso Aloisi______

La task force sulle cosiddette fake news, voluta dal sottosegretario con delega all’Editoria Andrea Martella (nella foto) del Pd, è inutile, dispendiosa di risorse pubbliche e spesso è funzionale a qualcos’altro.

Un simile organismo fatto di persone nominate dalla politica potrebbe non avere la giusta serenità, il giusto equilibrio, per agire senza condizionamento psicologico. Il rischio di sconfinare nel campo della censura non gradita all’azione del decisore politico che l’ha nominata è continuo, come pure il rischio che ponga in essere azioni che limitino alcuni diritti costituzionali, nello specifico l’art. 21 della Costituzione.

Chi decide che cosa si può o non si può dire?

Quali sono i confini entro cui tale organismo ‘tecnico’ si muoverà senza ledere un diritto costituzionale?

Come e soprattutto con quali parametri una notizia può essere considerata una bufala oppure no?

Individuare e neutralizzare le notizie false, una volta accertato ogni ragionevole dubbio che si tratti veramente di un falso, non può che far bene, bonifica la discussione pubblica. Le dinamiche reali però sono molto più complesse ed il nocciolo della questione si ha quando, per depotenziare o eliminare le notizie scomode, queste vengono marchiate col timbro ‘fake’, ma anche ‘complottara’ è molto di moda.

I debunker sono quei gruppi di lavoro mercenari che girano il web alla caccia di queste informazioni, soprattutto quelle che hanno avuto maggiore evidenza mediatica.
Le tecniche dei debunker sono tantissime, spesso anche raffinate: l’apoteosi di questi professionisti si ha quando sono essi stessi a mettere in circolo dei falsi assurdi in modo da giustificare la propria azione e ridicolizzare il dibattito non gradito al proprio decisore politico.

Così verità e tesi scomode, seppur formulate da esperti o soggetti preparati ma non in linea con l’azione del decisore politico, vengono associate inconsciamente a questi assurdi fake, come se fossero un unico calderone, e subiscono la censura attraverso la denigrazione, ridicolizzazione o l’oscuramento dalla rete: tutto viene trattato allo stesso modo, notizie false, fake creati ad arte e verità o tesi scomode.

 

Un organismo preposto a valutare ciò che è vero/falso è inutile per diversi motivi : con le attuali tecniche di comunicazione di massa la notizia falsa può essere ripresa e girata da una molteplicità di profili, veri o fake, che potrebbero risiedere ovunque nel mondo oppure a due passi da noi. Anche se si riuscisse a bloccare un profilo, vero o falso che sia non importa, chi è proprietario di quel profilo che ha messo in circolo la notizia fake potrebbe rigenerarne un altro (ma anche decine di profili social) e riproporre nuovamente in circolo la notizia falsa. Ed il giro ricomincia. Quindi la task force va in loop e la faccenda potrebbe andare avanti in continuazione. Ma c’è dell’altro.

 

Il margine tra vero e falso spesso è molto sottile, dipendente da diversi fattori. Nella realtà ci sono diverse sfumature di verità : quella reale (che è unica, oggettiva), quella percepita (che è molteplice, soggettiva), la verità accomodante, cioè quella che ognuno si cuce addosso per vivere un po’ più serenamente la propria esistenza (spesso questa forma di verità denota pigrizia intellettuale del soggetto o paura della prima versione della verità, cioè di quella reale). C’è anche la verità che si impone con la forza (fisica o mentale). Infine c’è il paradosso della bugia che, ripetuta più volte metodicamente per diverso tempo, diventa verità per forza di cose oppure per inerzia mentale di chi la subisce.

L’efficacia di quest’ultima versione di verità è direttamente proporzionale non solo al numero di volte che viene riproposta all’opinione pubblica, ma anche alla autorevolezza (vera o percepita dalla gente) della fonte che la mette in pratica: più è istituzionale, più diventa efficace, dove per istituzionale si intendono le istituzioni pubbliche nel senso classico ma anche tutto ciò che viene ritenuto affidabile dall’opinione pubblica.

Raggiungere la verità oggettiva è spesso difficile: per arrivare alla verità spesso si celebrano processi interminabili.

Il nostro ordinamento giuridico prevede già una serie di norme che trattano l’argomento false notizie. Norme sia di natura civile che penale, soprattutto l’aspetto penale è importante perché implica l’obbligatorietà dell’azione giudiziaria. Il 656 del C.P. recita:

“Chiunque pubblica o diffonde notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato [265, 269, 501, 658], con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309”.

La norma è semplice e chiarissima: notizie false esagerate e tendenziose che possano turbare l’ordine pubblico. Dunque a cosa serve una simile task force? A sostituirsi ai magistrati? oppure rappresenta una scorciatoia per spegnere voci non gradite al decisore politico che l’ha nominata?

Lo stesso fatto censurato dalla task force, visto con la lente giudiziaria, potrebbe essere giudicato notizia vera perché il magistrato, nella sua azione, ha diversi strumenti per una oggettiva valutazione, dopo aver ascoltato le parti che a loro volta argomentano approfonditamente. E poi si muove con una serenità di giudizio (anche in funzione di una serie di meccanismi di controllo da parte di altri organi giudiziari).

Una task force ha ben poco di oggettivo e nulla che la controlli. Agisce in assoluta libertà aiutata da altri strumenti: apparizioni continue in tv, posti privilegiati nei motori di ricerca in rete.

 

Un video Youtube che passa informazioni non gradite (o considerate false) e che ha poche visualizzazioni potrebbe non essere attenzionato dalla task force per una serie di motivi: sfugge perché le basse visualizzazioni non indicizzano bene il video nei motori di ricerca ma anche perché la task force, per non passare come organo di censura totale, lascia circolare alcune informazioni alternative per crearsi un alibi nei momenti di discussione appropriati. Ma se lo stesso video dovesse raggiungere un numero elevato di visualizzazioni (diverse migliaia o centinaia di migliaia) allora potrebbe essere attenzionato dalla task force ed imposta l’eliminazione dalla rete. Attenzione, lo stesso video diventa oggetto di censura se va a colpire o no l’opinione pubblica. Quindi il parametro determinante diventa l’impatto che ha avuto nell’opinione pubblica.

L’aspetto principale di questo esempio è proprio il numero di visualizzazioni ottenute dalla fonte che diffonde la notizia che è un aspetto intrinseco dell’articolo 656 del C.P. nel momento in cui recita “notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali possa essere turbato l’ordine pubblico”.

Dunque ci troviamo di fronte ad un video, con numerosissime visualizzazioni (turbamento dell’ordine pubblico ?) che subisce la censura perché considerato fake. Cioè siamo di fronte ad un fatto normato dalla legge, non sottoposto alla valutazione di un magistrato ma che viene considerato da censura. Ovvio che così va bene al decisore politico ed alla sua task force perché una voce di dissenso viene neutralizzata bypassando le norme: metti che dall’azione giudiziaria dovesse scaturire una situazione diversa, completamente ribaltata, dove ciò che la task force considera falso diventa invece vero per la Magistratura. Cosa accadrebbe? Chi paga? Chi risarcirà l’opinione pubblica per i guasti profondi provocati nell’inconscio da questa sterilizzazione del dibattito pubblico?

Una cosa è certa: la storia ci ha sempre insegnato che prendere per buone le versioni ufficiali (per il semplice fatto che provengono da fonti istituzionali o ritenute tali) non è un buon esercizio per la ricerca e la diffusione della verità. E noi italiani ne abbiamo viste davvero tante: immaginate per un attimo, soprattutto voi cari campagni che sembrate aver dimenticato (ma forse non li avete mai avuti) alcuni fondamentali della democrazia e del rispetto delle opinioni ma spesso salite in cattedra per dispensare giudizi affrettati, dicevo immaginate un attimo quante fake news e quante sono state le versioni ufficiali per i tanti misteri italiani, dalla strage di piazza Fontana, ad Aldo Moro fino a Falcone e Borsellino. Ricordate vero? Loro erano la verità ufficiale noi i complottisti. Il tempo ci ha dato ragione su moltissime cose, ma quando ormai era andato tutto in prescrizione. Concludo con una frase di un grande giornalista del secolo scorso, Walter Lippmann “Laddove tutti pensano allo stesso modo, nessuno pensa un gran che”《Where all think alike, no one thinks very much》. Penso che abbia proprio ragione.______

 

Crocifisso Aloisi è il referente regionale per la Puglia del Movimento Politico M24A Equità Territoriale

Category: Cronaca, Cultura, Politica

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