PAOLA MATTIOLI CI GUIDA ALLA SCOPERTA DELLE TRADIZIONI CULINARIE ROMAGNOLE CON LE RICETTE DI MAMMA VIERA IN UN LIBRO…GUSTOSISSIMO
di Cristina Pipoli _______
“I romagnoli hanno un carattere fiero, schietto e sincero, hanno fatto dell’accoglienza la loro bandiera, ma quando si parla di cucina diventano intolleranti”.
Continuiamo a parlare di Paola Mattioli, fondatrice della pagina fb “Vetrina Poetica di Paola Mattioli”
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Questa volta però decidiamo di recensire il suo libro “Viera ricette e proverbi romagnoli-Antipasti e Primi” EDIZIONI WE.
Il cibo è tradizione, cultura, identità di un territorio, un inno al popolo italiano: quello romagnolo poi non si smentisce mai nell’essere buon gustaio.
Il libro nasce grazie al ricordo di Viera, la mamma della scrittrice Paola Mattioli.
Il libro si apre con la descrizione dei Romagnoli e il loro rapporto con cibo, la loro grande fedeltà al mondo delle tradizioni.
Un popolo gioioso pronto a festeggiare sempre con un buon vino, simpatia, accoglienza e una bella dose di allegria e cultura.
Il libro rievoca i tempi della povertà quando la giornata era fatta di castagne arrostite, marroni, lupini, brustolini.
Il pane era fatto in casa, profumava le stanze, era il mangiare della primavera e dell’estate. La polenta si mangiava invece nelle altre stagioni. Ma la regina della tavola romagnola è la piadina che ancora oggi la si trova nei bar, nelle osterie, nei caffè.
Il pranzo è il momento per ritrovarsi e confrontarsi, è uno scambio di parole.
Le porzioni dei piatti una volta erano abbondanti e anche il condimento doveva esserlo per poter fare la ‘scarpetta’.
Le nonne sostenevano che se il cibo finiva significava che non era sufficiente per tutti i commensali
Ma adesso approfondiamo il dialetto, che come tutti i dialetti, rappresenta l’identità di un territorio.
La moglie era detta l’azdora e nella civiltà rurale, governava la casa e le donne della famiglia, controllava il granaio, la dispensa e il pollaio. Trattava la vendita di piccoli prodotti agricoli come la frutta, la farina, le uova, i formaggi, i polli, i conigli.
Il rito del cibo prevede anche l’uso di oggetti, si pranzava nella camera della casa “cambra dla ca”.
Nelle fredde sere d’inverno il protagonista era il camino “e camèn”, all’interno del quale penzolava una catena ad anelli agganciata al “paròl” (paiolo), mentre la legna bruciava sopra i “cavdòn” (gli alari).
Gli strumenti essenziali per “apiè e’ fug” (accendere il fuoco) erano tutti insieme vicino al camino: “la vètla” (la ventola) era realizzata con penne di tacchino tenute insieme da quattro asticciole di legno, “al mòl” (le molle), “la palèta” (la paletta), e “è sufièt” (il soffietto), e “è tripi de fug” (il treppiede), “al gardèli (le graticole) e “è casòn dla legna” (il cassone per la legna).
All’interno del libro non mancano i proverbi in romagnolo “In do’ cus’ megna us ragugna” (Dove si mangia si ragagna) ragagna significa si litiga.
La scrittrice ci tiene a far conoscere i Cappelletti (Caplèt) e spiega come si lavora la sfoglia e l’uso del mattarello, ricorda come i cappelletti sono parenti strettissimi dei tortellini bolognesi e evidenzia il fatto che è il piatto principale del pranzo natalizio.
Spiega come si preparano varie pietanze, antipasti e primi tra cui i Malfettii (Mafrigol), si chiamano così perché la preparazione è “tirata via”. In romagnolo “mafrigol” è un malfettino tagliato un po’ grossolanamente, il termine deriva da fregare “frigol” con le mani (“man”) descrivendo il modo in cui si confezionano. Sono una buona idea per recuperare l’impasto rimasto della sfoglia, essendo una minestra originariamente povera, quando un tempo non si buttava via nulla.
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