“Forward” DI THE SWELL SEASON, “Energumeni” DEGLI ENERGUMENI, “Iter” DEI CALGOLLA. TRIPLA RECENSIONE IN RISPOSTA AD UN SOGNO. O FORSE ERA UN INCUBO?
di Roberto Molle ____________
Stanotte ho sognato De Gregori che mi guardava un po’ male. All’angolo di un palco, seduto su uno sgabello ha cominciato a cantare “Il ragazzo” (conosce il mio punto debole, ho pensato); verso metà del brano si è fermato, ha sbattuto la chitarra sul pavimento e ha detto: “vuoi dirmi che non c’è passione nella mia voce?, che non ha più senso tenere concerti dove canto all’infinito le stesse canzoni sapendo che avrò sempre un pubblico che mi seguirà e non mi contesterà mai per questo? Poi, volevo dirti che la musica di oggi fa schifo, le canzoni sono brutte, non ci sono più gli autori e i cantanti di una volta. Fammi almeno il nome di tre dischi usciti di recente che possano valere qualcosa e me ne farò una ragione”.
In quel frangente Marvel ha iniziato ad abbaiare, come al solito al rombo della moto del vicino che rientrava e mi sono svegliato. De Gregori era svanito e un leggero senso di colpa ha preso il sopravvento. Sarò stato troppo duro nel mio articolo di ieri? Forse, ma dico solo quello che penso. Se qualcosa mi piace, mi trasmette buone vibrazioni, bene, altrimenti pazienza.
Stamattina mi girava nella testa questo fatto di almeno tre dischi usciti di recente che “possano valere qualcosa”, beh c’è li ho!
Tre dischi che sto ascoltando ossessivamente perché mi hanno stregato, diversissimi tra loro e per questo più intriganti.
THE SWELL SEASON: “Forward”. Una storia nella storia. Quello tra Glen Hansard e Marketa Irglová è un rapporto nato nei primi anni Duemila, lui all’epoca folk-singer leader dei Frames (band irlandese con alcuni ottimi album all’attivo), lei cantante e pianista della Repubblica Ceca. Una storia d’amore, un disco e un film dove sono entrambi protagonisti. “Once” è il titolo di film e “The Swell Season” (che ne contiene la colonna sonora) quello del disco, “Falling slowly” è la canzone (di Glen) che nel 2008 frutterà un oscar per la migliore canzone originale.
Nel 2009 esce il secondo album di Swell Season, si chiama “Strict Joy” e riprende da dove “Once” aveva lasciato. Ballate eteree, fraseggi rock intinti nel folk, voci suadenti (Marketa), graffianti (Glen), fuse dentro armonie che regalano canzoni, piccole opere d’arte cesellate sullo sfondo onirico di amori eterni, destinati a non finire mai.
Ma tutti gli amori finiscono, prima o poi… o si trasformano. Dopo “Strict Joy” le strade dei due musicisti si separano, Glen negli anni pubblica cinque album, assumendo un profilo basso e un aplomb che lo tiene coi piedi saldati per terra. Album lontani dal mainstream, dove poesia, impennate rock e rigurgiti folk si legano alla voce carismatica di uno dei migliori musicisti irlandesi, mai abbastanza apprezzato. Marketa, da par suo incide tre album (“Anar”, “Muna”, “Lila”, tre nomi di donna, magici, leggiadri, evocativi) sospesi tra la bellezza immaginifica delle forme evocate dalla sua voce ricca di pathos e le gighe sfinenti del pianoforte che tengono sospesi sul filo di un pop delicato e frammenti camerali dove Mendelssohn dirige il tocco delle mani fatate di Marketá.
Apprezzato in concerto l’anno scorso al Petruzzelli di Bari, un Glen Hansard in forma smagliante a presentare il suo ultimo album “All That Was East Is West of Me Now”, lasciava intendere una possibile reunion per gli Swell Season.
Così è stato, a distanza di sedici anni il duo regala ai propri fans un disco nuovo e una serie di concerti in giro per il mondo (che purtroppo non toccherà l’Italia). “Forward” è uscito da poco e rimarca un rapporto tra i due musicisti che è trasmutato ineluttabilmente in profonda amicizia. Il nuovo album si nutre del passato di un’esperienza che gronda di ricordi e antiche vestigia espressive, ma guarda oltre i confini della memoria.
Colpisce come folk e rock si accompagnino (prima in modo quasi invasivo, poi accettato e apprezzato) al chamber-folk che pervade l’intero lavoro. I primi ascolti lasciano confusi, la voce di Marketa Irglová sembra dissolversi dentro gironi malsani di un musical innaturale, quella di Glen alla ricerca di uno spazio dentro storie che non riescono a riallinearsi.
Poi tutto cresce, come detto, solo guardando avanti. Non ci si può aspettare da due musicisti che hanno attraversato tre lustri, nuove storie sentimentali, sconvolgimenti epocali per l’umanità e una crescita artistica che li ha portati a tracciare solchi importanti nelle pagine del songwriting, che restino ancorati a splendidi momenti creativi.
C’è solo bisogno di occhi curiosi e buona disposizioni a ricevere e ascoltare la bellezza nascosta dentro le otto nuove canzoni degli Swell Season.
Glen è più spirituale nel canto, Marketa ha riempito la sua voce di spazialità. Le canzoni hanno un respiro che trasporta dentro mondi interiori finalmente liberati, ed ecco allora la trascinante “Factory Street Bells”, la sognante “People We Used To Be” che certificano la versatilità di voci pronte a conquistare i palcoscenici a stelle e strisce (che di fatto li stanno ospitando nel tour di cui si accennava). “Stuck In Revers” si apre su un falsetto di Glen che tocca il cuore (la versione di “Falling Slowly” dei Frames si apriva nello stesso modo). “I Leave Everything To You” ha un tocco classico in apertura, poi si stende in dolcissima melodia facendosi canto di sirena imbrigliata nelle reti del mondo di sopra. Anche Glen si cimenta con un brano sdolcinato nella sognante “A Little Sugar”. In “Pretty Stories”, si libera tutta la dolcezza vocale di Marketa corteggiata da un violino clandestino e il piglio folk di Glen si riprende nella ipnotica “Great Weight”. Nella conclusiva “Hundred Words” il duetto tra i due si fa ballata struggente ed evocativa.
È indubbio che il progetto The Swell Season abbia spostato le proprie coordinate creative verso i territori lussureggianti di oltre Albione, ma il loro cuore batte ancora forte nel Vecchio Continente, è sicuro!
ENERGUMENI: “Energumeni”. Mondi che si capovolgono, metamorfosi che si compiono, magia di suoni che curano le idiosincrasie. Energumeni è la sintesi musicale di due figure seminali della scena musicale italiana. Fabrizio Tavernelli (En Manque D’Autre, AFA/Acid Folk Alleanza, Groove Safari, Aiello, Duozero) e Manitù Rossi (Le Forbici di Manitù). Aspettavo da un po’ la svolta nel percorso artistico di Fabrizio, uno che non deve dimostrare niente, mai fermo sulle stesse prospettive, continuamente in movimento dentro percorsi sonori che sono passati attraverso la sperimentazione, la canzone d’autore e l’esperienza da dj selector, con la disinvoltura tipica dei creativi. L’incontro con il misterioso fondatore delle “Forbici di Manitù” (collettivo musicale sperimentale) avvenuto tra i solchi del progetto Music For Hotels vol. 2 del vulcanico Vittore Baroni (leccecronaca.it del 27 luglio scorso), ha scatenato una reazione a catena di sonorità confluite dentro un doppio album che prende il nome da quello del duo costituito.
Si ha presente un guazzabuglio fatto di free-rock, psychtronica, weird-jazz, no wave e suggestioni post-industriali? Bene, tutto ciò è solo il punto di partenza. Tribalità lunari, tamburi inscatolati, afasie indotte, suoni montati su litanie dadaiste, e ancora sincopi destrutturate, soundtrack improvvisate dentro lande desertiche. Non riesco a dare consiglio singolo di nessuna delle dieci tracce (più due extra non comprese nel doppio vinile o cd, ascoltabili sulla piattaforma Rizostream), l’ascolto è caldamente consigliato nella sua interezza, un unicum che trascina dentro una trance tridimensionale, popolata da alieni e sciamani che si contendono il pensiero. Il Robert Wyatt di “Rock Bottom” filtrato al post-punk degli Associates, l’iconoclastia dei Neu! trasfigurata nei vocalizzi di Klaus Nomi, e visioni di demoni che si deformano ricostituendosi come ectoplasmi apparsi in cieli plumbei.
Ci sono in “Energumeni” il vapore dei tombini che si libera nelle strade di metropoli desertificate, le litanie sghembe e trascinanti pensate da Genesis P-Orridge per l’opera omnia dei Throbbling Gristle transitati dentro gli Psychic-TV,Il Rael Mozo di Peter Gabriel che gira come l’ultimo dei raminghi alla ricerca di Lilywhite Lilit che lo condurrà oltre le porte.
Metamondi, galassie, universi che passano attraverso buchi neri sonori, sistemi solari oltre muri di suono incatenati dentro realtà virtuali, e mi fermo. L’ascolto di “Energumeni” causa fantasiosi stati mentali meravigliosamente incontenibili, senza fumarsi niente… per inciso. Disco Stupendo!
CALGOLLA: “Iter”. Insieme ai Fiesta Alba e ai Pale Blue Dot, la band che chiude il trittico perfetto in ambito math-post-punk-alt-rock-spoken-word si chiama Calgolla. Anche se alla fine le etichette lasciano il tempo che trovano, sono importanti per la geografia della musica.
“Iter”, l’ultimo concept album dei Calgolla è un viaggio sonoro intenso e stratificato all’interno delle contraddizioni della condizione umana contemporanea. Con un linguaggio musicale che combina alt-rock, post-rock, post-punk, spoken word e incursioni nella performance art, il gruppo costruisce un’opera complessa che sfugge a ogni definizione semplice. Il disco affronta temi come la migrazione, la trasformazione interiore, l’alienazione sociale, il collasso ecologico e il senso di perdita, stratificando testi e sonorità in una narrazione coerente ma frammentaria, come il tempo che racconta.
Tutto inizia con “Morning Star”, chitarre acide che si addolciscono su una batteria pulsante. La voce leggermente sotto, squillante come nelle migliori situazioni live. La title-track parte gelida, evocativa. Continua esangue in notturne traiettorie che si avvitano in loop deliranti. “Erdelose Pflanze” si stende su scenari devastati da conflitti post-atomici, si nutre di comunicazioni stentate e umanoidi che hanno fagocitato ogni forma di vita umana. “Frantic Movement” è deragliare di chitarre dentro strapiombi che si perdono nell’oscurità. Frequenze disturbate interrompono collegamenti tra insediamenti di sopravvissuti allo stremo. “Calm Waves”, si muove ipnotica, mossa da chitarre lancinanti che dilaniano per la loro fredda bellezza.
Chissà cosa ci aspetta là fuori, la polvere ha creato una coltre che separa mondi indivisibili, le onde della calma restano la speranza. “The Puppetter” è un grido di rabbia verso chi manipola il mondo: “Il burattinaio con il mal di schiena anima lo straccio degli inerti, delle creature gerbidi.”; è tempo di rivolta, di consapevolezza. “Pupilla Digitale”, “Zenobius I, 16” e “Dicotomiàs” chiudono un disco complicato, grezzo come un diamante che non si fa scalfire.
“Iter” è Opera di rottura, coraggiosa e provocatoria, disturbatamente lirica e dannatamente attuale, “lanciata bomba” contro ogni distopia. Come un parafulmine, questo album attira tutte le negatività e le scarica lontano neutralizzandole. Per poter essere apprezzato in tutta la sua siderale bellezza, “Iter” andrebbe ascoltato nel cuore di una notte gelida, dove ogni rumore tace e nel cuore alberga tutta la rabbia del mondo da scaricare. Si aspetterà l’inverno dunque, dopo, si potrà guardare il mondo con occhi diversi.
Se stanotte Francesco mi tornerà in sogno avrò il nome dei tre dischi richiesti, chissà se mai li ascolterà? ___________
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Category: Cultura