LA STORIA / IO E LA RAGAZZA DELL’EST, LASCIATA SOLA IN ITALIA COL SUO TUMORE
di Boris Tremolizzo ___________ (Rdl: nella foto, l’autore: post ripreso dal suo diario di Facebook, in quanto riteniamo questa storia, solo apparentemente ‘personale’, contenga in realtà molteplici spunti di riflessione per tutti i nostri lettori. A parte le questioni ideologiche che pone e che ognuno valuterà come meglio crede, la speranza è che la legga qualche dirigente dell’Asl di Lecce, o della Sanità della Regione Puglia, oppure un imprenditore privato in grado di aiutarla concretamente, consentendole di curarsi senza perdere la possibilità di lavorare o, almeno, di aiutare il figlio ) ____________
Ieri sera sono uscito con una ragazza di nazionalità straniera, appartenente a una delle repubbliche ex Urss. Un bel po’ più giovane di me, una che fa parte di quelle generazioni che ancora non si dovrebbero confrontare con gli acciacchi dell’età, né con l’incalzante ed implacabile incedere dei capelli bianchi sulla testa e delle rughe sotto gli occhi.
Come sempre accade in questi casi, le ho chiesto cosa pensava del comunismo, del passato sovietico e, non potevo non farlo, ho chiesto anche dello zio Peppe (Stalin, ndr), di quale ricordo si avesse di uno dei principale protagonisti del Novecento.
Alle domande lei rispondeva che non voleva sentirne parlare, che mancava la libertà, che noi qua non potevamo capire…
Cercavo di approfondire, ma conosceva meno di me l’Unione Sovietica, ne aveva solo sentito parlare, e male, dalla televisione.
Poi abbiamo parlato di altro e, gira e rigira, è emerso che ha un tumore.
Che, quando stava in Sicilia, lo stava curando e lo teneva sotto controllo.
Poi è venuta qua a Lecce, sempre per lavoro, ed ha sospeso la cura perché la chemioterapia la rendeva debole e non le consentiva di lavorare.
Che deve inviare i soldi a suo figlio, rimasto in Patria, per farlo studiare e per finire di pagare la casa, quindi deve lavorare, non può permettersi di continuare la cura.
Che sono solo due anni e poi finisce di pagare tutto ed il medico le ha detto che due anni di vita ce li ha ancora…
Io, naturalmente, ero tra l’esterrefatto e l’incredulo, ho cercato, invano, di dirle tutto quello che mi veniva in mente per indebolire, insidiare, far vacillare questa determinazione a morire di una trentottenne che a me appariva cinicamente lucidissima…
Ma niente, a un certo punto ha voluto cambiare discorso e allora lei è passata all’attacco chiedendomi come faceva a piacere a me il comunismo, a me che avevo la fortuna di essere nato in un paese libero…
Le ho risposto che la libertà di un paese capitalista è quella di scegliere se curarsi un tumore e lasciar morire di fame il figlio, o lasciarsi morire per aiutare lui a sopravvivere.
Che preferirei vivere in un paese comunista proprio perché lì nessuno sarebbe messo nelle condizioni di dover scegliere tra queste due opzioni…
Oggi, al risveglio, ho continuato a pensarci, ripeteva sempre, “che devo fare? Sono sola…”
Ed ho pensato a quante persone, anche Italiani, salentini si sentono soli di fronte a questo o ad altro tipo di problemi.
E penso che, se queste persone si sentono sole, stiamo sbagliando tutto, che noi siamo nati proprio per trasformare i problemi di ognuno in problemi di tutti, proprio perché nessuno più si senta solo…
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Infatti in un paese comunista nn c’è scelta muoino madre e figlio… Stupendo finale… Preferisco vivere in un paese CAPITALISTA ed essere libera di scegliere.. Cosa che nn mi risulta essere possibile in paesi battenti bandiere rosse.